Una città - anno I - n. 6 - ottobre 1991

B1 storie intervista a Mariella Rivafta Abbiamo incontrato Mariella Rivalta nella casa dove vive con la sua famiglia, nella campagna di Forlimpopoli. Ci ha spinto da lei lasua storia di oggi: l'esperienza dell'affidamento, di una famiglia "aperta". Ma è una storia con radici lontane. In questa intervista vengono fuori tutte e ci fanno conoscere una persona che è partita sola ed è arrivata alla grande famiglia di oggi. Con lei e il marito Francesco Della Corna, oltre ai tre figli, ci sono due gemellini, un maschio e una femmina, che furono presi in affidamento quando avevano pochi mesi. Oggi hanno cinque anni o poco più. In affidamento, oltre ai due piccolini, anche due "nonne". Una di 88 anni e una di 91! Vivono tutti assieme in una casa che Francesco ha sistemato utilizzando tutto materiale di recupero. La sala grande, che altro non era che la stalla, ha il pavimento ricoperto da interi campionari di mattonelle. Alle pareti tantissimi oggetti di valore, inestimabile per loro, essendo i ricordi dei cinque anni di missione in Ciad. Al centro tre, quattro grandi divani, sistemati in modo da formare "stanze teoriche". Una casa vissuta in ogni angolo, dove la semplicità, la modestia e l'utilità sono gli unici criteri salvaguardati. In questa intervista parla solo Mariella. Francesco chiacchiera su unaltro divano e sembra non interessarsi a noi, ma in realtà ha le orecchie lunghe come di chi ascolta per la prima volta una storia. Solo che è anche la sua storia. Di giorno lavoravamo tutti per mantenerci. Ognuno si arrangiava. L' A sociazionc ti dava solo delle indicazioni. Francescotrovò da fare il muratore. io la baby-si11cr e la tu11ofare presso una famiglia. Di sera c'erano i cor i: etnologia, psicologia, teologia. medicina tropicale, la lingua. Prima della fine del corso ricevemmo la destinazione. lo. Francesco e altri due o tre saremmo andati in Ciad. Il Ciad era indipendente dal '60, ma l'organizzazione, la lingua ufficiale, era francese. • 1n mezzo a loro ti sembrava di non resistere entrare nel loro mondo. C'era il rischio che piano piano i bianchi facesserolapropria vita e i neri la loro. Ci guardavano sempre, ci studiavano per capire . e eravamo andati là a fare i padroni o cos'altro. Poi prendevano confidenza e allora ti chiedevano di tutto. Pcrchè tu sei il bianco che ha tutto e loro non hanno niente. Per fare la differenza bastava il vestito e mangiare tutto l'anno. Loro mangiavanounavolta al giorno per 4 o 5 mesi, poi ... non si sapeva. Radici, foglie ... La povertà era estrema. E anche la sporcizia. Ma l'acqua non c'era. Chilometri e chilometri per arrivare ad un pozzo e prendereun secchiod'acqua. E con quel secchio doveva lavarsi tutta la famiglia. Ci vuole tanto tempo, credo che noi e: abbiamo messo un paio d'anni, prima di riuscire ad entrare nel loro modo di vivere, prima di capire dal di dentro i loro problemi. Sono stata anche aiutata dal fatto di non conoscere bene il francese. co ì ho imparato prima la lingua locale. La parlavo mcgl io io del le suore francesi che erano lì da tanti anni. li lavoro della missione consisteva in una·•animazione rurale", così si chiamava. In ogni villaggio venivano scelte una o due ragazze che venivano portate alla missione per un corso dove si insegnavanopucricultura. igiene, alfabetizzazione. Queste conoscenze sarebbero poi state trasmesse nei vari villaggi. L'attenzione era soprattutto su come curare una piaga, la malaria. la diarrea, malattie agli occhi. ecc... Cercavamo di sviluppare i loro metodi, perchèera inutile usaHo cinquant'anni e sono-nata in una casa dove la mia famiglia abita dal 1700 o poco'più. a San Martino in Yillafranca. Eravamo una famiglia numero a: c'erano i miei genitori, le mie cinque sorelle, mio fratello, due nonni, il fratello di mio babbo con la moglie e i loro qua11rofigli. In quella confusione stavo bene, mi divertivo proprio. Quando ci sono tanti bambini è difficile badarli tutti! E poi, come se non fossimo bastati noi, venivano empre anche i vicini e i loro figli. Sono cresciuta in un ambiente così, con un grande via vai. Dopo i primi anni di scuola mia mamma mi hamandatoad imparare a fare la magliaia per lavorare poi in casa.Mi piaceva. però piaceva di più a mia mamma! lo avrei preferito continuare lascuola. Unadopo 1 ·altra anchelemie sorelle sono state infilate lì, a fare le magliaie in casa. Qualcuna, da ragazza, ha poi celto altre strade.Mia mamma era molto credente e ci ha tirato suco ì. on si andava solo alla messa tulle le domeniche, ma anche ai ritiri spirituali e a tulle le a11ivitàdella parrocchia. Mio padre era di quei tipi severi, senza parole. Bastava una sua occhiata a tavola e non volava più una mosca. l'occasione dell'Africa Hai avuto dei ripensamenti re bende e disinfettanti che durante il corso? No, la celta dopo erano introvabili. Il diffìera tata sofferta prima, ma ci leerapassaredalla teoria alla una volta presa la decisione pratica. La teoria per loro non non ci sono stati ripensamenti. esiste,esistesolo 1• esperienza. Certo mi costava lasciare la Ad esempio: spiegareche I' acfamiglia e il paese.Poi quando qua non era potabile e che era ho saputo che mio babbo non la causadella diarrea o di pegusciva più. che si era qua. i gio. on ci credevano e allora chiuso in casadal dispiacere... facevamo vedere con un miInsomma, un po· di crisi c'é croscopio tutti i microbi. Ma stata, però ono andata avanti dove sono dei microbi così convinta. el frattempo Fran- grandi nella loro acqua? Loro cesco si era accorto di me... lo non li avevano mai visti! E poi però non mc la sentivo. Pensa- le usanze. Cera una tribù, i Ad un certo punto. avevo già vo che farf una famiglia mi Tabah, molto belli e molto più di vent'anni, mi si è pre- avrebbe fatto perdere r Africa. simpatici, che facevano il bascntata l'occasione dell' Afri- Mi sembrava una cosa un po' gnoai bambini appenanati due ca:avevolettochec'eraun'as- fuori posto. volte al giorno con un'acqua sociazione che faceva partire Nell'agosto del '67 sono parti- dove veniva bollita la conceanche i laici. Fino ad allora ta insieme ad un'altra ragazza. eia di unalbero. Dopo unpo· di partivano solo religiosi e me- All'aeroporto non ci a pc11ava tempo molti bambini morivadici, qualche volta gente spe- nessuno, il caldo era inimma- no. Alla fine abbiamo scoperto cializzata. Così ho cominciato ginabile, noi due a11accatcalle che quella corteccia rovinava a pensarci. Ne ho parlato un valigie(''statcallcntc, vi rubano la nora intestinale. li difficile è po' in giro, ho chiesto consigli tutto!"), insomma l'inizio fu stato però convincerli, non ed informazioni. Piano piano unochoc! Dalla capitale siamo c'era verso! Il cambiamento o mi sono convinta e ho deciso andate ad un'altra ci11à, poi l'abbandono di certe usanzeè di andare a fare un colloquio a ognuna alla suamissione. Sono lentissimo. Mi Iano con l'associazione stata una decina di giorni in Per quanto tempo sei stata Cooperazione Internazionale, questo centro di suore italiane nel Ciad? Ci sonostatadal '67 fondata dai Gesuiti. Dopo il e con loro potevo parlare. Con al '72. I primi due anni ero da primo contatto aMilano, neho gli indigeni si parlava un po' in sola, Francescoera in un'altra parlato in casaeho cominciato francese,ma non erasemplice. zona. Poi ci siamo sposati e a partecipare a stagesprepara- Poi un padremissionario mi ha siamo stati insiemeper treanni. tori. Sono stata a Bassano del accompagnato alla missione Il lavoro di Francesco consiGrappa, poi a Sondrio e infine, vera e propria. nel bel mcz70 stcvancll'inscgnarca famiglie. per un anno, a Milano. della savana. La prima cosa che perdueanni si trasferivano Fin dall'inizio le mie sorelle chcticolpisccèl'impossibilità in un centro appositamente sonostatecontente. Mia mam- di camminare. Poi arrivi là e creato, metodi più moderni di ma invece aveva paura e pcn- vedi che lagentehail suomodo coltivazione e di allevamento. sandoamcdasolainAfricami divivcrccosìdivcrsodaqucllo Cosa c'è alla base di tutto diceva ·'ti mangiano i leoni ...". che ti a<,pc11avi,cosdìiverso da quello che hai fatto? C'è la Mio babbo è stato l'ultimo a quello che sci tu... non é facile. fcdc. Senzanon avrei resistito. saperlo, perchè nessuno si ar- Poi l'odore. Lorodiccvanochc I momenti più brulli '>011s0tati rischiava a dirglielo. Dovevo sentivano il nostro, che aveva- quelli di solitudine. Ma solitupartire in ottobre e gliel'ho mo il puzzo del bianco. e noi dine profonda. che mi prendedetto solo in ago<,to.Con mc sentivamo il loro! ln mc1zo a va facilmente. pcrchè 111 si fa non ha detto niente. non era il loro ti sembravadi non resiste- giorno alle sci di malli nae si fa tipo. Ma con mia mamma ha re. Le donne non parlavano buio alle sci di sera. Per tutto dello un bel po'' Più che con- francese e con loro non c' era l'anno. I I sole tramonta e tu ti 1rario era dispiaciuto. A Mila- comunicazione. Insomma, per ritrovi nella tua stanza con la no eravamo in diciasscuc e fra mc era una scelta vera, ero radiolina o il giradischi. con questi c'era anche Francesco sicura di quel che facevo, però una candela o il lume a pctroche.vcnivrf dalla Lombar~ .vedevo eh ad lio. Ogni tanto, ma proprio di o rado. si andava in qualche villaggio dove c'era una festa, una danza, ma normalmente rimanevi lì, da sola. Girare di sera poi era pericoloso e le suore non volevano E poi serpenti, scorpioni, cli no11cnon vedevi dove mettevi i piedi. C'è stato un gruppo di giovani france i che ha contestato la missione. ha rifiutato quel tipo di organizzazione cd è andato avivere in unacapannacon gli indigeni. Maunadopotrcme i è diventata malia, un altro si è ammalato edè statorimpatriato e nel giro di sei mesi erano anelati via tutti, nessuno era riuscito a resistere di più. In effetti appenaarrivi ti viene da contestare: ma come, venite in Africa, c'è la gente che muore di fame e voi fate la vostra vita dabianchi, da ·'separati"? Però dopo ti accorgi che è l'unico modo per resistere. Resistere per che cosa? All'inizio credo ci siano entrambequcstcduecosc: la fede e laconvinzionedi daredavvero un grande aiuto. Poi ti accorgi che l'aiuto che dai è una goccia nel mareeal !orati resta solo la fede. Perchè pensoche molti degli interventi, chiaramente fatti in buona fede, abbiano ancheguastato. on che tutto quello che è stato fallo laggiù sia stato inutile o sbagliato. Il livello della vita era sui trent'anni. Non so se vi rendete conto. I bambini piccoli, le donne che partorivano, morivano come mosche.Ecco, qualche miglioramento è stato portato. Solo che bi ogncrebbeandaregiù con unamentalità diversa, più vicina alla loro, e bisognerebbe aiutarli a fare passi in avanti con le loro gambe e con i loro tempi. Chi va giù. prima cli un paio di anni non si rende conto del mondo in cui è arrivato c. pur con tulla la buona volontà, può fare dei danni. Quante cose abbiamo vi~to fallire! Arrivava l'O. .U. e risolveva il problema dell'acqua. o così credeva.: trivellavano a 80-100 metri e con una pompa portavano su l' acqua. Ad ogni villaggio davano una pompa e poi partivano. Nel giro di sci mesi non cc n'era più una che runziona<,sc. Pcrchè non e·erano i pezzi di ricambio, pcrchè non c'era manutcn1ionc, pcrchè ncs<.,uno ci capiva niente, pcrchè dopo un po' che la pompaera lì rotta e inutile la gente cominciava a <,montarlae a portare via i pezzi che a qualcos'altro forse potevano servire. Da qualche parte ci sarà scritto quanti milioni di aiuti sonostati dati. ma non c'è scri110che non sono serviti a niente. Gli aiuti sono pilt utili alle industrie che li forniscono che alla gente che li riceve. E poi, anche senon ci fossechi ci mangia sopra, la realtà in cui questi aiuti arrivano è talmente difficile ediversa dalla nostracheè impossibile 011enererisultati concreti in poco tempo. I passi in avanti sono lenti e piccoli. L'aiuto viene solo dachi capisce quel mondo, da chi è integrato in quella realtà. Ma per questooccorrono anni. Fra 1'85 e 1'86 i padri missionari hanno chie to a Francescodi tornare in Ciadperqualchemese.C'era la guerriglia, c'era la siccità, la carestia uccideva tante persone. Francescoè andato nei villaggi ed ha insegnato l'uso dell'aratro, del bue. della semina. Qualche risultato c'è anche stato, qualche famiglia si è appropriata di queste "novità'', ma la siccità ha fatto seccare tante cose, molti animali da lavoro sono stati mangiati, gli aratri sono diventati inutilizzabili e tulio è tornato come prima. Senon ci cmpre lì e se non riesci a "tirare su" qualcuno come te, la tua ballaglia è persa. stare in Africa per sempre o tornare Dal Ciad siamo tornati nel '72. Il lavoro che faceva Francesco era stato preso in mano da un africano. un tipo bravo. E quindi era giusto quantomeno cambiare posto. Una dilla cli coltivazioni offrì a Francesco fino a cinque milioni per farlo lavorare per loro. Ma questo non faceva parte della nostra scelta... Poi non riuscivamo ad avere figli. probabilmente per via del clima, e in Africa una famiglia scnn figli non vale niente. Infine nel '69 eravamo tornati in Italia per 2-3 mesi e ci eravamo sentiti poveri pesciolini fuor d'acqua. E allora dovevamo decidere: o stare in Africa per sempre o tornare. Siamo tornati. Con l'idea di costituire una famiglia aperta. aturalmentc siamo tornati senzaniente e ali' inizio ci siamo appoggiati alla mia famiglia. Poi, visto che nè i miei nè i suoi avevano bisogno di noi, abbiamo deciso di mellere su casa da soli. Francescoha deciso di rimanere qua, gli piaceva la gente, più aperta, e gli piacevano i posti. Per due, tre mesi siamo stati in una casa abbandonata. Poi una signora ci ha offerto di abitare in una casacon del terreno a11ornoda lavorare. Non avevamo nè un mobile nèunali rezzo,ci siamo arrangiati come potevamo. Del resto il nostro riferimento era l'Africa e non capivamo le preoccupazioni di chi ci era vicino. Intanto ero rimasta incinta. Piano piano ci siamo sistemati e abbiamo cominciato adospitare qualcuno. Di solito era gente che tornava dal1 'Africa e non riusciva a reintegrarsi o personeche volevano prepararsi alla partenza per l'Africa. Senonchè la padrona di casaci ha fatto capire chiaro e tondo che quella casaera per noi e non per tutta quella genie... Dovevamo cercare un'altra casa,che fossegrande, con molta terra per manteneretulli e non avevamo una lira per comprarla. Eravamo in questa situazione quando arriva un signore di Milano, un "signore coi soldi" intendo, sposatoe con tre figli che vuole parlare con noi perchè pensadi andare in Africa. Gli raccontiamo un po' tutto e lui cosa fa? Dice che non parte più, perchè gli piace l'idea di famiglia aperta e vuole stare con noi. Lui ci mette i soldi, noi l'cspe1ienza. Dello e fallo. In capo a qualche sellimana troviamo un poderedi 15 ettari con due case, una vecchia e una nuova, a Branzolino. Lo compriamo, anzi lo compera lui eci trasferiamo tulli lì. Loro nella casa nuova, noi nella vecchia. on eravamo solo io, Francescoe il primo bambino, con noi c·eraancheunacoppia piemontese appena tornata dall'Africa e un ragazzo, anche lui appena tornato perchè ammalato di nefrite. Abbiamo così cominciato questa esperienza di vivere e lavorare insieme. Tuili noi avevamo esperienza di vita comunitaria, tranne la famiglia di Milano. E infatti dopo un mese, un po perchè lavorare nei campi, era anche inverno, era dura, un po' pcrchè quc ta famiglia era davvero ricchi - sima, con possedimenti in giro per 1· Italia. senesonoandati in vacanza e per qualche mese non li abbiamo pili visti. Quando sono riapparsi ci hanno comunicato che mollavano tulio e andavano in Australia! Ci lasciavano però la terra in affitto. Prima di partire hanno fatto un patto con Francesco: chi rompe raccordo paga una penale di un milione. Per loro era niente, per noi ... Non abbiamo più saputo niente di loro per tanto tempo. Noi abbiamo continuato a lavorare e ad ospitare gente. Un giorno un prete che conoscevamo, Don Gino Ribold,, ci chiese se potevamo prendere con noi un tossicodipendente che tentava di ·'uscire''. Della droga non sapevamo molto, se non cose di cui avere paura. Però... però abbiamo dello di sì. E' stato con noi pochi giorni e poi sene è andato. Don Gino cc ne ha allora mandati due, "pcrchè in due si sarebbero falli compagnia" e da allora, era più o meno il ·74_ per undici anni abbiamo accolto questi ragazzi, anche 4, 5, 6 alla volta. e anche • me, m1 chiamano mamma Durante questi anni, intanto, mi pare nel '77, sono tornati i mi lancsi. Dall'Australia erano finiti nel Canada, dove finalmente avevano trovato quello che cercavano: avevano comprato un Motel! E siccome avevano bisogno di soldi erano tornati per vendere il podere.Noi non avevamo i soldi per comprarlo e così loro in tre giorni, l'hanno venduto, anzi svenduto. Hanno rispettato l'accordo del milione di penaleehannoconsentito aFrancesco di tenere gli attrezzi che voleva, compreso il trattore, per un valore di un milione circa. Dopodichè noi eravamo sulla strada! Per fortuna uno dei quallro acquirenti del pod.ereabitava lì vicino, ci conosceva, e ci ha lasciato lì gratuitamente in attesadi trovare un'altra casa.Cheèquestaqui, dove stiamo ancora adesso. Era un podere abbandonato dell'Istituto Prati. Erano solo due ellari, ma abbiamo accettato lo stesso. Abbiamo sistemato lacasacon l'aiuto di tanti amici. E' stato un bel periodo anchese,ancoraunavolta, non avevamo proprio niente. Però venivano tanti amici, ci davano una mano, era nato un altro figlio ... C'erano anche tensioni, naturalmente. Avevamo in casaqua11roragazzi eogni tanto ne combinavano qualcuna. Peròcoi bambini sono sempre stati bravi. Avevano solo bisogno di un po' di polso duro e questo a Francesco non è mai mancato. ell'85 abbiamo smessodi prendere in casagli cx-tossicodipendenti. Ormai ci sono tante comunità dove possono es,ere seguiti da medici e psicologi e non ci è sembrato più il caso di continuare. Abbiamo invece cominciato a prendere in affidamento bambini e ragazzini. Cinque anni fa, avevamo già tre figli, c'erano questi due gemellini qui, avevano cinque mesi. Chi li avrebbe presi? C'era chi neavrebbepresouno. ma tutti e due? E allora li abbiamo presi noi. Il babbo è morto, la mamma viene regolarmente a trovarli. La ehiamano mamma. Eanche mc. mi chiamano mamma ... a cura di Liana Cave/li e Massimo Tesei.

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