' ' • racconti 1A PULCE cli Silvano Gafeoffi Ma cosa giustificava le esecuzioni? Guarda, la morte ai fascisti era giustificata da questo: che in provincia di Forlì abbiamo avuto 700 morti, a Bertinoro abbiamo avuto 12 morti, i nomi sono sulla lapide del municipio. E se a Bertinoro io non avessi fatto giustizia ... pensa che in tutta Forlì nessun fascista è stato fucilato attraverso una sentenza emessa da una corte d'assise straordinaria ... sarebbe stata la solita storia. coi vinti che, qualunque crimine avessero commesso, e nel caso di Bertinoro si trattava di strage, l'avrebbero fatta franca. Nessuno di loro è stato fucilato, all'infuori di quelli che mi sono passati per le mani e che ho potuto ammazzare. Tu immagina 700 morti da una parte e nessuno dall'altra ... Perchè poi ... Loro ammazzavano al coperto delle truppe tedesche, come fecero qui in casa, aiutati, accompagnati, spalleggiati dai tedeschi, a noi, invece, quando venne l'insurrezione, gli inglesi non permettevano di fare altrettanto, e lo dovemmo fare di notte, di nascosto. Seppellendo i cadaveri, perchè altrimenti saremmo stati arrestati. Gli inglesi ci diedero 48 ore di tempo. Appena Forlì fu liberata io potei giustiziare per 48 ore e fucilai tutti quelli che mi furono indicati dal Comitato di Liberazione. Però dopo dovetti andarmene perchè già secondo loro avevo superato i limiti del consentito. Dopo doveste consegnare le armi? E immagino che tu non fossi molto convinto. Non ero convinto per niente, tant'è che il mio distaccamento non consegnò pressochè nessun'arma. lo che ero il comandante del distaccamento consegnai, perchè dovevo farlo, un mitra, ma prima di farlo ritirai la massa battente, perchè ero contrario. Poi andai da Zanelli, Adamo Zanelli, segretario della federazione, e gli dissi "Damì, io non capisco perchè dobbiamo consegnare le armi ai carabinieri, che è come dire ai fascisti". E lui mi disse "è un problema tattico, bisogna aspettare che gli alleati se ne vadano e poi faremo la rivoluzione". Di fronte a questo, ero un ragazzo, mi sentii soddisfatto. 6 giugno del 45? No, del 46. Ma hai continuato ad usare le armi anche dopo le 48 ore concesse dagli alleati... Sì e lo sento come un onore. E lo rifarei. Io tutti quelli che ho potuto li ho mandati all'altro mondo. Certo se mi venivano a dire che uno di loro era nella caserma dei carabinieri, lì non si poteva più fare nulla, ma gli altri, quelli che abbiamo preso noi, li abbiamo tutti sepolti. Fino agli ultimi due, del 6 giugno, che poi mi hanno arrestato . ... 6 giugno del 45? Del 46. Parliamo del processo. Il mio processo fu trasferito a Perugia per legittima suspicione. Con la scusa che forse i giudici non avrebbero avuto il coraggio di condannarmi. In realtà pare, e non posso portare prove perchè chi mi disse questa cosa è morto, che fosse stata la federazione del PCI a consigliare il trasferimento per la paura della propaganda dannosa che un processo ad uno come me, che per altro era stato segretario comunista circondariale, avrebbe potuto provocare fra i benpensanti della provincia. A Perugia trovai una situazione tremenda. La corte d'assise di Perugia era praticamente una specie di Tribunale Speciale per la Sicurezza dello Stato. Tutti i fascisti che dovevano essere salvati venivano dirottati a Perugia così come tutti i partigiani che dovevano essere dannati. Prima del mio erano già stati celebrati parecchi processi ai partigiani. E quello che più ci aveva fatto pensare alla gravità del pericolo fu il processo a carico degli uccisori di don Pessina. Tra gli altri c'era Nicolini, il sindaco di Correggio, un comunista, ex-comandante partigiano, che era stato artatamente inglobato in questa provocazione e si era preso 27 o 28 anni di galera. Senza che ABBONATEVI A UNA ClffA' gli fosse riconosciuto il movente politico. Lui si era professato sempre innocente, ma ammettendo pure il fatto, perchè mai un comandante partigiano con altri quattro avrebbero dovuto ammazzare un prete, se non per motivi politici? Ma il riconoscimento dei motivi politici avrebbe comportato la riduzione di due terzi della pena. Per il delitto comune la pena era tutta da scontare. e cosi scrissi a Togliaffi Così mi resi conto che la corte d'assise di Perugia era una specie di corte dei miracoli dove poteva succedere di tutto. E scrissi a Togliatti. Dicendogli che non stavano impegnando i migliori avvocati per i compagni che rischiavano l'ergastolo, quelli imputati di omicidio. E Togliatti si interessò. Mandò a trovarmi in carcere il senatore socialista di Trento che mi disse che Togliatti lo aveva incaricato della sua difesa. E che Togliatti mi mandava a dire di testimoniare apertamente perchè sperava, attraverso i I mio processo, di rompere questo muro contro cui si erano scontrati gli avvocati a Perugia e arrivare al riconoscimento del movente politico anche a Perugia. Io che fino ad allora non avevo rilasciato nessuna dichiarazione, mi dichiarai d'accordo, così Ferrandi parlò col giudice, disse che ero disposto a confessare a patto di poter parlare liberamente. li giudice pose l'unica condizione che non offendessi la corte e mi concesse tutta l'udienza d'apertura per dire le mie ragioni. lo mi ero preparato bene e per tre ore tenni banco. Rivendicai il mio diritto di uccidere i fascisti visto tutto quello che mi era successo. E alla fine, per la prima volta a Perugia, si ottenne il riconoscimento del movente politico. Mi condannarono a 21 anni di cui, appunto, 14 condonati. E ne ho fatti 6 perchè poi, me ne fu condonato un altro. a cura di Rodolfo Galeotti e Giovanni Orlati ''Una ciHà''è in tuffe le edicole all'inizio di ogni mese. Volete sostenerci in questo tentativo di fare un giornale, libero, indipendente, un giornale "delle più voci"? Abbonamento: a 1O numeri: 20000 lire. Sostenitore: 50000 lire. Supersostenitore: 100000 lire. Siete interessati alle affività della cooperativa "una ciHà"? Scriveteci e fateci avere il vostro indirizzo. Per contaffarci per telefono ecco qualche numero: Marzio, 67077; Massimo 64587; Vero, 22672. Quella del 26 luglio I943 era una giornata torrida, afosa, tanto che neanche l'ombra riusciva a mitigare il caldo opprimente. Lucio, non ancora ventenne, sembrava non accorger ene. Si recava in corriera a Forlì allo scopo di sbrigare alcune pratiche alla Previdenza Sociale per conto della piccola impresa edile del padre. Questa almeno era la ragione ufficiale. Quella vera era un'altra: il giorno prima era caduta la dillatura fascista, il "Gran Consiglio del Fascismo" ne aveva decretato la fine prendendo atto delle sconfitte militari e dell'isolamemo dalle grandi masse popolari. Lucio voleva vedere da vicino come si comportava la gente del "Cittadone" nella nuova situazione. Durante il viaggio in corriera da Rocca a Forlì tornò con la memoria agli anni del recente passato. Nel 1941 era entrato anima e corpo nelle file dell'antifascismo attivo, frequentava gli anziani del paese, quelli che avevano vissuto e sofferto gli anni dell'olio di ricino, delle bastonature e della galera. Gli avevano perdonato di essere stato, come tutti i suoi coetanei del resto. un "Balilla". li loro non era un antifascismo fatto di azioni concrete, ma aveva come tendenza soprallutto fare del proselitismo sommerso nel piccolo paese dove i più non avevano il tempo di pensare alla politica, indaffarati com'erano a mettere insieme il pranzo con la cena. Alla guerra si era fatta l'abitudine, anche se ormai anche nelle menti dei più semplici e dei più inquadrati era passata l'euforia della vittoria ineluttabile. Si campava alla giornata, si badava a sopravvivere, poi si sarebbe veduto. Le previsioni di "Trampalén", il gobbo libertario, sapiente d'istinto, filosofo del popolo ed antifascista da sempre (vendeva varie cianfrusaglie con il suo carretto d'ambulante) si stavano avverando: "Questa, -diceva- "sarà una guerra lunga, la perderemo e forse vedremo anche gli inglesi e gli americani passare dalle nostre parti"; poi aggiungeva beffardo, ghignando da sollo la gobba, "vogliono la vittoria i nostri fascisti, ma bisognerà che si accontentino della Vittoria ·'ad Bochet" ... se gliela da ... !!''. "Bochet", tartufaio e grande bevitore di Sangiovese. aveva una moglie che si chiamava Vinoria. Lucio partecipava alle interminabili discussioni dei più anziani "Adané", "Breton", "Balilla", "Fischiarén", la "Plicia", "Finé", "Mengo" ed altri; Si dividevano in gruppeni di 3 o 4 per non dare nell'occhio e, in lunghe passeggiate lungo la strada provinciale commentavano le notizie della guerra, esaminavano le reazioni del paese e gli atteggiamenti dei paesani, analizzavano le chiacchiere udite al caffè Garibaldi o al caffè Perla. Si vagliavano gli atteggiamenti da tenere in pubblico e si selezionavano le persone da acquisire alla causa antifascista. Si faceva il punto sulla guerra di Russia, si esaltava Stalin e si facevano progetti per costruire il socialismo anche in Italia. Lucio ascoltava molto e parlava poco. Quando timidamente esprimeva il suo parere era sempre l'entusiasmo a trasportarlo. Tutto ciò che dicevano i più anziani era ben dello, contraddire non aveva senso. Del resto, si affermava, la situazione era chiara: la guerra, con l'aggressione alla Russia, era per- ~ ~ Dalla natura 0Kl1~·YOC:ilt Erboristeria - Prodotti naturali - Shiatzu FABBRI Dr. Enrico Forlì - via Albicini, 30 (ang. via S. Anna, 2) Tel. 0543/35236 Ingrosso: 47023 Cesena via Ravennate, 689 Tel. 054 7/384523 Punti vendita: • 47100 l'orli viale 2 Giugno, 62 Tel. 0543/53063 · 47023 Cesena via Savio, 546 Tel. 054 7/600022 1oteca 1noBianco frutta e verdura biologica, legumi, pasta, riso, farina macinata a pietra, passata di pomodoro, marmellate, succhi, miele, olio extra vergine, pane. Prodotti per l'igiene e la pulizia. Quaderni, bloc notes, articoli per l'ufficio. Consegne settimanali nelle provincie di Bologna, Forlì, Ravenna, Pesaro e Ancona. sa (la Russia era invincibile agli occhi di quegli antifascisti), il fascismo era spacciato, era questione di pochi mesi. Erano passati da allora quasi due anni, di alti e bassi, di entusiasmo e di angoscia, di euforia e di storiche delusioni. Ma ormai era fatta, per il fascismo era giunta la fine, cominciava il tempo della riscossa, dell'edificazione di una società a misura d'uomo. interpellò aggressivo: "Cos'è questa?". La reazione dell'uomo fu assai imprevedibile: impallidì, sbarrò gli occhi terrorizzato, espresse in ogni lineamento del volto la paura fisica, il timore di essere aggredito e linciato dalla folla, balbettò una frase strozzata e incomprensibile e si lasciò cadere sul selciato. Forse la paura gli aveva tolto la forza delle gambe o forse semplicemente si concedeva ormai rassegnato e perduto ali' ira degli antifascisti. Lucio di fronte a tanta manifesta sottomissione si sentì alquanto imbarazzato e, un poco titubante, si guardò a11orno, aiutò l'uomo a rialzarsi, gli tolse la "pulce" dal bavero della giacca e disse: "vada a casa, è ora di pranzo, scusi, buona giornata". Ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni e a testa bassa, un poco confuso, si avviò verso la corriera. Macinando questi pensieri Lucio scese dalla corriera in Piazza Saffì a Forlì. Davanti al "caffè della Borsa", ali' interno dell'ovale centrale del la Piazza, di fronte all'entrata della federazione fascista che aveva ede nel palazzo Albertini sostava una folla vociante e concitata. il campanone Da un capannello Lucio vide uscire un compaesano, certo Teseo, che, con l'agilità di un gallo, si arrampicò lungo la facciata dell'edificio e, raggiunto il balcone principale su cui faceva bella mostra il fascio liuorio, cominciò a menarvi botte con un oggetto che si prestava alla bisogna, fino alla sua totale distruzione. Dalla folla si levarono grida e battimani di approvazione. Lucio continuò il suo peregrinare fra i capannelli della piazza cercando di capire il sentimento degli antifascisti, il senso degli avvenimenti e il da farsi nel futuro. Venne così a sapere che il giorno prima erano successe cose importanti. Molti fascisti erano stati picchiati. alcuni quasi linciati, molti erano stati arrestati per sottrarli ali' ira della folla. Prefettura e Questura erano di fatto controllate dagli antifascisti che uscivano organizzati dalla lunga clandestinità. La sede della federazione del fascio era stata assaltata, occupata e semidistrutta e coi materiali che vi furono trovati venne acceso un falò sulla piazza. Si parlava ora di ripulire la città dagli ultimi fascisti ancora circolanti, si organizzavano squadre, si compilavano elenchi con nomi e indirizzi. A Lucio venne voglia di aggregarsi ·ad una di queste squadre, ma si ricordò della sua missione: riportare a Rocca il quadro della situazione e soprattutto avere orientamenti politici su come comportarsi in paese. Salì così le scale di palazzo Albertini, dove si era installato in seduta permanente un improvvisato comitato antifascista. Si presentò, spiegò chi rappresentava e chiese disposizioni: "Hai visto tu stesso", fu la risposta, "fate come qui a Forlì: botte prima di tutto, poi si vedrà, torna fra due o tre giorni". Con questa chiarissima indicazione "politica" Lucio a mezzogiorno e un quarto risalì sulla corriera che l'avrebbe riportato a Rocca. A Do vado la ci fu una sosta più lunga del solito, a causa di assembramenti di persone sulla piazzetta del paese. Lucio scese e si guardò anorno. In un angolo della piazzetta, un poco in disparte, sostava un anziano e distinto signore. Il suo atteggiamento era timoroso, spaurito, sembrava non rendersi conto di ciò che stava accadendo. Lucio gli si avvicinò incuriosito e il suo sguardo si soffermò sul bavero sinistro della giacca che l'uomo indossava nonostante il gran caldo. Nell'asola del bavero era appuntata la famigerata "pulce", il distintivo che i fascisti portavano per osLentare l'appartenenza al partito: era un piccolo rettangolo metallico bleu al cui centro spiccava, dorato, il fascio littorio. Lucio si avvicinò deciso all'uomo, lo prese per il bavero e lo ~ Appena rientrato a Rocca Lucio corse alla bottega di "Fischiarén" per metterlo al corrente dei fatti a cui aveva assistito e delledireuive ricevute. Udito i I racconto l'anziano antifascista rimase pensieroso, pareva perplesso. Poi decise: "Macchè botte, ho un'idea migliore! Convochiamo un'assemblea alla "Cameraccia", lì, tutti insieme, decideremo". E così fu. La proposta di Fischiarén, poi accettata dall'assemblea, in sintesi era stata questa: le botte sono un metodo incivile e controproducente, ma i fascisti che hanno infierito sugli antifascisti, i torturatori, vanno puniti; si compili una lista e li si condanni a far suonare il "Campanone" della torre civica per 30 minuti ciascuno. La torre civica della Piazza Grande di Rocca, massiccia, a pianta quadrata, con la cupola coperta di squame di cotto, rappresenta per i rocchigiani l'iconografia dell'appartenenza a quella grossa comunità appenninica. Simboleggia le radici, il ventre materno, l'originedellecose, l'essere comunità. "E Campanon" ne è la voce, suadente, calda, rassicurante, virìle e materna allo stesso tempo. Durante secoli ha scandito il tempo e gli avvenimenti della comunità: con tocchi e suoni differenti segna le ore ed i quarti ed un tempo annunciava l'alba ed il tramonto, il bello e il cattivo tempo, l'incendio e la ·'piena" del fiume Montone, la festa ed il lutto. E' stata ed è la voce di tutti e per tulli, esiste da sempre e sempre esisterà. L'origine della campana non è mai stata molto chiara. C'è chi afferma che venne commissionata dal Granduca Leopoldo II ad artigiani locali. Altri sostengono che venne fusa a Firenze, del cui territorio Rocca faceva parte, e trasportata al di qua dell'Appennino anraverso il passo del Muraglione. Il "Campanone", è, qualunque sia la sua origine, una splendida opera d'arte che potrebbe fare il paio con la storica campana medicea del Bargello. Ma, ahimè, all'inizio della guerra il "Campanone" rimase anch'esso vittima della stupidità e dell'esaltazione schizoide di alcuni fascisti locali. Successe che si era in piena mobilitazione in appoggio alle truppe combattenti in Russia e in Africa e quindi, fra l'altro, era necessario raccogliere grandi quantitativi di materiali ferrosi per poterli riciclare nella costruzione di ordigni bellici. Fu così che il semi-analfabeta podestà locale, appoggiato dalla sua corte, decise di raggiungere rapidamente l'obiettivo fissato per Rocca offrendo anche il "Campanone" alla campagna. Un giorno, dunque, i rocchigiani videro gli operai di una ditta locale costruire un'impalcatura a sbalzo, al livello della loggia campanaria. A li 'inizio si credette trattarSERCOM s.r.l. TECNOLOGIA E ARTE NELL'ARREDARE NEGOZI 47100 Forlì - Zona industriale Via Correcchio, 21/A Tel. 0543/722330 - Fax 725483 lafurtma SPI\ BIZERBR ICAn"AlAl'\HIE •nAUJC.Hf WACCHtNf IJ(R PEIAT\JAE si di lavori di ordinaria manutenzione. Poi videro la campana rimossa dalla sua sede, trasportata sull' impalcatura a sbalzo, sospinta verso il vuoto e precipitata sulla piazza atterrando su un enorme cumulo di sabbia appositamente disposto. Non c'erano più dubbi ormai: stavano sacrificando alla guerra il "Campanone". Vi furono proteste, perfino dal1' interno dello stesso partito fascista, ma i responsabili vennero rapidamente ricondotti all'ordineed accusati di disfattismo ed antipatriottismo. La campana rimase per settimane nella medesima posizione che aveva assunto nel momento dell'abbattimento perchè l'organizzazione bellica del fascismo aveva esaurito a quel punto la sua capacità di mobilitazione. Avvenne così che la campana non lasciò mai Rocca e dopo alcuni mesi ed infinite discussioni una sotterranea, ma riuscita sottoscrizione popolare guidata dal parroco offrì i mezzi necessari per il ritorno del "Campanone" nella sua sede naturale. Ma l'offesa portata al simbolo stesso della comunità non venne dimenticata. La condanna inflitta ai fascisti dall'assemblea della "Cameraccia" era dunque esemplare e veniva eseguita per mezzo del simbolo stesso della comunità che i fascisti volevano sacrificare alla guerra. Alle 21 in punto coloro che dovevano essere puniti vennero tirati fuori dalle loro case, portati nella piazza e costretti a suonare il "Campanone" a distesa per annunciare la fine del fascismo. Insieme alla notte la voce calda del la torre civica avvolse la valle e le colline, le vigne ed i campi di grano appena trebbiati, risalì l'erta del Borgo ed invase la piazza del Mercato. penetrò il cuore dei paesani e dei contadini sulle aie dei poderi a Casanova, alla Guna, al Castellaccio, scivolando sulle acque del Montone. fino a Campomaggio. E tutti ebbero la notizia: il fascismo è caduto, il "Campanone" è al suo posto, i fascisti sudano e sbuffano attaccati alle corde della campana. Con la notizia si sparse la gioia e di nuovo tornò la fiducia nel futuro. Solo "Trampalén", il gobbaccio, non faceva festa. se ne stava serio in un angolo della piazza scuotendo la testa. Interrogato in proposito emanò l'ennesima sentenza: "Fate festa, finchè potete, perchè il peggio deve ancora venire". Meno di tre mesi dopo Rocca e l'Italia erano occupate dalle truppe tedesche; cominciarono i bombardamenti, i fascisti rialzarono la cresta, iniziò la lotta di Liberazione. Nuovi conti vennero presentati per essere saldati. Fino a quando, come previsto da "Trampalén", dalla torre, il "Campanone" annunciò, toccando a distesa, l'ingresso in paese dell'esercito alleato. UNA ClffA' Hannocollaborato: Rosanna Ambrogetti. Giorgio Bacchin, Roberto Balzani, Paolo Bertozzi, Patrizia Betti, Roberto Borroni, Barbara Bovelacci, Andrea Brigliadori, AndreaCanevaro, Libero Casamurata, Fausto Fabbri, Graziano Fabro, Rodolfo Galeotti,SilvanoGaleotti,Gilberta Gardini, Liana Gavelli, Enrico Lombardi, Alice Melandri, Franco Melandri, Stefania Navacchia, GiovanniOrlati,Livia Pinna,Carlo Poletti, Massimo Pulini, Vero Ravaioli, Rocco Ronchi, Gianni Saporeui, Fabio Strada, Massimo Tesei. Le foto sono di Fausto Fabbri. Foto di pag. 2: dall'Espresso. Dipag.6 dal Sabato,particolaredi una foto di Tano D'amico. Progetto grafico "CasaWalden" UNA CITTA' 9
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==