Una città - anno I - n. 5 - settembre 1991

vecchie storie------------------------------------ Chiacchierando, come chi scrive ha recentemente fatto, con alcuni protagonisti della Resistenza nel forlivese si ha l'impressione che le dichiarazioni di Montanari, l'ex-partigiano "pentito" di Reggio-Emilia, sui presunti eccidi da parte dei partigiani, già abbiano partorito due mostruosità dall'aspetto specularmente identico. Da una parte la speculazione politica spicciola di chi, magari strumentalizzando i sentimenti delle famiglie degli scomparsi, riduce la ricerca storica alla dialettica degli escavatori e delle ruspe che, al di sopra delle parti, dovrebbero riportare alla luce la prova provata dei crimini partigiani. Dall'altra parte, per reazione, il più elementare dei meccanismi di difesa: il far quadrato attorno alle proprie posizioni, l'arroccarsi dietro le barricate ideologiche su cui difendere comunque ed a qualunque costo le proprie verità. E' inutile sottolineare che la polemica condotta dai contendenti con questo tipo di approccio ha già fatto una vittima eccellente: una ricostruzione storica della Resistenza finalmente liberata da ogni sovrastruttura ideologica, da ogni strumentalismo di parte, da ogni costrizione determinata dalla contingenza e dall'attualità. Quello a cui stiamo assistendo non è certo del resto la prima strumentale polemica ai danni della Resistenza e dei suoi protagonisti. Nell'immediato dopoguerra, per esempio, furono decine i partigiani che, per presunti crimini commessi durante o immediatamente dopo la Liberazione, vennero incarcerati e processati da giudici già in carriera sotto il fascismo e riciclatisi, senza soluzione di continuità, nello Stato democratico. Anche allora, inevitabilmente, si rispose con l'unica arma a disposizione: la chiusura a riccio, l'autodifesa delle organizzazioni e dei partiti che dalla Resistenza traevano legittimità politica e valore morale, la solidarietà militante nei confronti dei singoli colpiti dalla campagna repressiva. Da quei giorni tragici la necessità, altrettanto tragica, di tacere, di dimenticare, di coprire, a volte di mentire. Successivamente, con il passare degli anni e soprattutto con il cambiamento dei rapporti di forza nelle istituzioni e nel paese reale, in particolare nel corso degli anni '70, la Resistenza si è fatta spazio nella storiografia e da episodio eversivo ha assunto ufficialmente il ruolo di culla della Repubblica e delle istituzioni democratiche. Ma questa ufficializzazione della Resistenza, questa istituzionalizzazione dei valori della lotta di Liberazione, la sua definitiva omologazione, hanno coinciso con lo svuotamento del suo significato, con la perdita della realtà storica, umana e politica in cui essa si è sviluppata. Provate a chiedere ad un ventenne di oggi cosa successe in Italia ed in Romagna da/l'autunno '43 all'autunno-inverno '44, chiedete cos'erano i C.L.N, i G.A.P o le Brigate Garibaldi ed avrete l'idea di quanto la lotta armata di Liberazione nazionale abbia perso ogni significato per trasformarsi, quando va bene, in un qualsiasi asettico episodio della storia d'Italia, al pari di Cesare che passa il Rubicone o della disfida di Barletta. Chi invece guarda ancora oggi alla Resistenza come ad un punto di riferimento storico ed ideale deve porsi il problema di restituirle il suo valore e la sua immagine reale fatta di sangue e di nervi, di compagni massacrati e di nemici uccisi, di grandi ideali e di opportunismo spietato, di spontaneità popolare e di esasperazione, di scelte ideologiche e di umanità, di crudeltà e di generosità, di sacrificio e di tradimenti, di torture inflitte e subite, di coraggio e paura, di entusiasmo e disperazione, di un tempo in cui i giovani erano costretti a scegliere fra la propria morte e quella di altri uomini. Questo il senso della pubblicazione dell'intervista al partigiano Fusaro/i Casadei coscienti che ciò che egli racconta solo in parte è riconducibile alla storiografia ufficiale della Resistenza. Egli racconta di sè e della sua esperienza di giovane diciassettenne in armi a cui i fascisti hanno trucidato il padre e lo zio paterno insieme ad altri tre compaesani. Racconta del suo odio smisurato verso i fascisti e del suo desiderio di uccidere i "mostri". Descrive le azioni a cui lui personalmente ha partecipato e si rammarica di ciò che è rimasto incompiuto. Per tutto questo pensiamo che l'intervista sia in qualche maniera originale. Perchè non tiene conto delle contingenze politiche, ma solo della necessità di testimonianza. Necessità questa doverosa ed impellente per una duplice ragione: perchè fra un certo numero di anni, che ci auguriamo il più possibile consistente, non sarà più possibile awalersi della testimonianza dei diretti protagonisti della Resistenza e, in secondo luogo, perchè dovendo scegliere tra una verità scoperchiata dalle pale delle ruspe e degli escavatori ed una verità testimoniata e documentata che ricostruisca il clima politico, storico ed umano in cui gli awenimenti si sono sviluppati, scegliamo comunque quest'ultima. R.G. Umberto Fusaroli Casadei, classe 1926, di Bertinoro, aderisce giovanissimo alla Resistenza. Nel marzo '44 raggiunge, insieme ad un gruppo di giovani compaesani, il comando delle Brigate partigiane Romagna (poi 8° Brigata Garibaldi) sull'Appennino tosco-romagnolo. Nell'aprile dello stesso anno è commissario politico e vice-comandante della 9° Compagnia (comandante Tom) e partecipa alla battaglia di Fragheto durante il grande rastrellamento della primavera '44.111 ° maggio perde ilpadre, da sempre antifascista e repubblicano e lo zio, che insieme ad altri tre bertinoresi, vennero fucilati dai repubblichini in rappresaglia all'uccisione di due militifascisti awenuta nella stessa Bertinoro. Nell'agosto '44, per ordine del Comando, lascia 1'8° Brigata Garibaldi per scendere inpianura a comandare il2° Distaccamento del 29° G.A.P. Durante la guerra partigiana è per tre volte ferito incombattimento. Dopo la Liberazione è segretario della sezione del P.C.I di Bertinoro fino all'arresto awenuto il 10 giugno '46. Scontata la pena ed uscito dal carcere il 1 O giugno '52 è prima segretario del Comitato provinciale di Solidarietà Democratica con sede presso la Camera del Lavoro di Forlì (sarà membro anche del Comitato regionale e nazionale dello stesso organismo, sotto la presidenza di U. Terracini). Assumerà poi la direzione dell'I.N.C.A fino al 1965. Dal 1970 si trasferisce in Africa, prima nell'allora Rhodesia, poi in Tanzania e successivamente in Mozambico. Con il Fronte di Liberazione Nazionale di quest'ultimo paese collabora attivamente durante la guerra di liberazione nazionale contro ilcolonialismo portoghese. Da anni è residente a Maputo, capitale del Mozambico, di cui ha assunto la naZjona ità. a • UNA CITTA' E ALLO VE I OGIU' intervista a Umberto Fusarofi, ex-partigiano Il I maggio del 1944 a Bertinoro fucilarono 5 antifascisti fra cui tuo padre e suo fratello, tuo zio. Ci puoi raccontare la storia? Volevamo fare un colpo alla Rocca delle Caminate, nientemeno, pensa che testa avevamo allora. Andavamo di pattuglia fra Rocca delle Caminate a Predappio. E una sera passò una motocicletta fascista. Io avevo una divisa che assomigliava a quella fascista, in una mano tenevo lo Stern, gli feci segno di fermarsi e li prendemmo. Bruciammo la motocicletta e li portammo a Pieve di Rivoschio, nel castello. Per farla breve, li interrogammo con i metodi che avevo imparato dai russi e venimmo a sapere che il principale carnefice di Orsi, il commissario politico generale della 8° Garibaldi ammazzato e buttato nel CALBOELZI IO CALBOGLIACOMO FUSAROALNI TONIO FUSAROGLAI ETANO MANGELFLILI IPPO fiume a Meldola dopo essere stato to11urato alla Rocca delle Caminate, era stato un sergente dei battaglioni M. di Bertinoro, un certo Livio Giunchi, poi sepolto nel cimitero di Bertinoro. Quei due li impiccammo entrambi. Credo che siano stati gli unici due impiccati della storia dell'8° Brigata. Perchè da quello che mi avevano raccontato non si potevano uccidere come eravamo soliti fare, nel modo più indolore, gli si diceva "vai al campo di concentramento" e poi da dietro gli si sparava alla nuca, senza, cioè, che se ne accorgessero. Quella volta lì non si poteva, perchè avevano commesso un'atrocità orribile, avevano violentato la figlia ... così io gli dissi che li condannavamo ali' impiccagione ... Otft.COM Il l&.~ INOt .... .)flkt-....J.11uolircQr1- _,...IICf ... ,"t~~-- .... ,aoc-. ~.....,,,..tOtm.ora• .,..,.,..,.Ot,..,. c,_.tt:ncertct ~ ... ",,..._ t.,..,. .,..._tQ1t·1rt•ClelM(t1At E dopo ci si pose il problema di giustiziare il torturatore di Orsi. E il problema era anche politico. Anche se allora avevo pochissi- me capacità politiche, mi rendevo conto che tutti quelli che, dopo il rastrellamento, venivano giù dalla montagna, raccontavano, anche per giustificare la loro fuga, storie molto più tremende e gravi della realtà. Per loro lassù eravamo morti tutti . Anche a Pieve di Rivoschio quando mi avevano visto arrivare avevano pensato ad un redivivo, perchè mi avevano dato per morto. Allora si trattava di dimostrare che la Brigata non era morta. Così decidemmo di Il .... ,CO \Il\ 'ltlUit 1M. flka I Ml bit\l,, pe' ,._ ~ - -~-tttr'MIOclQ91'!1.JflCftOIIOM~dllla~11,...._. t lt 'f'IIOlltt .. e,,_.• ,-.)11116 teld.- l:iito Ctt1'1d'ft N<'Wlltf'OM l ~P"_.~_,..~••upnolllft'riffi•--"ttCNIIN .... -1t0- n10t1...cre,,... ' ,o. ....... MERCOLED1I •MAGGIO1991 ~ ..... ..... .. ...... " ....... ,... ...,.,,.._,,.. ------•ç.-. ..... c-.............0.. ..... ..,... . on. AngSelaotanassi venire a Bertinoro e di ammazzare il torturatore di Orsi. E infatti venimmo giù. mio padre cosi firmava la sua condanna a morte Siccome per ammazzarlo non c'era bisogno di molte persone, venimmo giù in tre. E come era avvenuto l'altra volta, quando avevamo ammazzato i due tedeschi, mandai a chiamare mio padre. Ci eravamo fermati in quella casa che è a sinistra della strada del cimitero, dove ci stava un repubblicano amico di mio padre. Mio padre venne lì, adesso non sto a ripetere tutta la storia, ma il nostro piano era quello di entrare in casa e di ammazzarlo di giorno. Ma mio padre mi disse che di giorno avremmo avuto poi poche possibilità di fuga, mentre invece di notte, ci consigliò, loro vengono di pattuglia fino alla chiesetta lì a due passi. Quello che bisogna notare è che mio padre mi diede questo consiglio sapendo che così firmava la sua condanna a morte. Perchè, e lo seppi dopo, mio padre sapeva già che esisteva una lista per rappresaglie, e che il suo nome figurava al primo posto. Ma rifiutò di andarsene perchè ritenne di dover dimostrare come un antifascista doveva comportarsi di fronte a questo mostro che era il fascismo. Come aveva previsto mio padre, li vedemmo arrivare quella sera stessa. Io sparai a Giunchi e ci rimase. li mio amico sparò a Cortesi, il segretario del fascio, il terzo sparò al terzo di loro, ma lo mancò. Io sentii Cortesi lamentarsi a terra e lo finii con una raffica. Poi cercammo il terzo, giù per la scarpata, ma fummo accolti da degli spari. A quel punto scappammo e non riuscii neanche a recuperare il mitra che aveva Giunchi. Questo accadde il I maggio. Dopo due o tre ore andarono a prendere mio padre e gli altri. Cinque persone, un sesto riuscì a fuggire e gli distrussero il negozio. Tu eri già partigiano allora, avevi diciotto anni, ma mi sembra di capire che la morte di tuo padre ha segnato la tua vita. Ma ... la convinzione che i fascisti andassero uccisi senza distinzione, l'avevo già maturata. Perchè i russi che combattevano qua nella Resistenza ci avevano raccontato quello che succedeva nei campi di concentramento. Le morti orrende, i casi in cui erano stati costretti al cannibalismo per non morire di fame. E poi da un partigiano che era stato in Croazia avevo appreso che gli Italiani, in Libia, in Grecia, in Croazia avevano commesso gli stessi crimini che i nazisti stavano commettendo in quel momento in Europa. E poi mio padre mi disse "ai fascisti non risparmiargli niente, dagli tutto quello che meritano". E me lo disse il giorno prima di morire. E allora, dopo, tutto questo condizionò indubbiamente tutta la mia futura condotta. Quando fu possibile io davo piombo per piombo. D'altra parte era una guerra. Ma poi, noi eravamo istigati a fare questo da radio Londra, da radio Mosca, da radio Bari. Il leitmotiv era "uccidete i fascisti e i tedeschi." Ed eravamo giovani di diciotto anni ... ed era un ordine ... quello che abbiamo faHo andava faHo Ma negli anni 30 i fascisti erano tanti, tantissimi... ma noi per fascisti allora intendevamo i repubblichini. Quelli che dopo 1'8 settembre erano andati nelle Brigate nere. Gli altri era tutt'altro discorso. Per esempio Gatti che era su con noi, prima, era stato in Croazia a combattere i partigiani, nelle bozze del mio libro racconto la storia anche di un altro partigiano che era stato nei battaglioni M, e fu il primo di Bertinoro ad andare su in montagna coi partigiani. Io sono del parere che quello che abbiamo fatto andava fatto. Bisogna avere il coraggio di difendere quello che abbiamo fatto. E se un rimprovero ci va fatto è di non aver fatto abbastanza. Perchè vedi, io so, per diretta testimonianza, che quelli che morirono lottando contro il fascismo, combattevano per mutare completamente l'Italia. Volevamo combattere i fascisti ma come primo passo, perchè i fascisti non erano nati come funghi dopo una notte di pioggia, avevano dei mandanti, degli "ufficiali pagatori". Mio padre mi diceva sempre "i nemici in Italia sono tre: il fascismo, il papato ed il re". Allora noi pensavamo di fare i conti prima con i cani da guardia poi coi loro padroni ... Era questa l'intenzione di allora. Era questa l'intenzione di quelli che sono morti. Tu dici che tutto quello che si è fatto andava fatto. E di fronte alle polemiche di questi mesi? Gli scavi, le presunte fosse comuni, i giudizi sommari. Sono esistiti? Sì. Durante il periodo che sono stato nell'8° Garibaldi ho comandato diverse esecuzioni per ordine del comando della Brigata. Poi quando il comando si dissolse, io per un certo periodo esercitai i poteri del comandante, mi assunsi l'onere di decidere ... perchè la guerra si fa uccidendo. La guerra e soprattutto se è guerra civile, non è un banchetto di nozze, o si uccide o si è uccisi. O se no si va in montagna, come alcuni, solo per nascondersi ... NE VALEVA LA PENA? Parla Enrica Fusaroli clte, una sera del 44, vide portar via il padre Enrica Fusaro/i Casadei è la sorella minore di Umberto. Quella notte in cui i fascisti fucilarono suo padre a Bertinoro lei era in casa insieme ai suoi genitori. il ricordo in lei è sempre vivo. Momenti che segnano una vita. il tempo non può placare la memoria. Non questo tipo di memoria. Cosa successe quella notte? Mio padre è stato uno che il fascismo ha spezzato, ma piegato mai. Qui a Bertinoro commerciava nella frutta, venivano i fascisti e gli proponevano la tessera dei commercianti fascisti e lui l'ha sempre rifiutata; così lo facevanochiudere spesso: una volta quindici giorni, una volta una settimana. Lui si è sempre definito un mazziniano, non ha mai detto sono un repubblicano, diceva sono un mazziniano, ma di quelli di una volta, ovviamente, di quelli che il fascismo non l'hanno mai accettato e che sono andati avanti così sino alla fine. Quella sera lì, che sono venuti a prenderlo, c'era stato uno scontro tra partigiani e fascisti, CO dalle parti della Chiesa di S. Rocco, vicino a casa nostra. Io, presa dalla paura per gli echi degli spari, saltai nel letto dei miei genitori. Più tardi sentimmo dei colpi furiosi alla porta. Mia mamma si alzò e disse: "Tonino u iè i fascesta ..." e mio padre con tutta calma disse: "Se ci sono i fascisti, apri". Quelli continuarono con questi colpi furiosi, mia madre dovette andare ad aprire ancora in camicia da notte. Arrivò di sopra con tutti i mitra puntati addosso. Mio padre era a letto con me. Gli chiesero: "Dov'è vostro figlio? ( Anche se già lo sapevano che non poteva essere lì) "Non lo so" rispose mia madre. "Bravi genitori avete un figlio ribelle" dissero. Allora mia madre chiese: "Perchè a voi l'han detto i vostri genitori di fare quello che state facendo?" "Vestitevi e venite con noi" ordinarono a mio padre. Intanto uno di quelli disse a mia madre: "Dateci tutti i soldi che avete". Ma c'era con loro un ufficiale tedesco che fece duro: "No, basta papir. Soldi lasciare a signora". Così non presero niente. Mio padre intanto stava vestendosi. Si mise davanti allo specchio per farsi il nodo alla cravatta e uno gli disse: "Per dove dovete andare state bene anche così". Un altro gli urlò: "Voi siete un sovversivo!" Rispose: "Io sono un mazziniano" E con quello lo presero e lo portarono via. Di fuori, di sotto, c'era anche mio zio Gaetano. Erano già andati a prenderlo. Vennero fucilati subito dopo in fondo al paese, dove adesso c'è la lapide, alle cinque di mattina. Da come furono trovati i corpi sembra che prima uccisero mio zio che venne ricomposto da mio padre e poi uccisero anche lui. Mia zia Rosa riconobbe mio zio, ma non riuscì a riconoscere mio padre tanto fu massacrato. Ma gli autori del crimine vennero poi puniti? Quella notte c'era un bel chiaro di luna, tutti quelli che erano sotto, quel Ii che avevano preso mio zio e mio padre, gente di Bertinoro, noi li vedemmo bene. Naturalmente, quando venne il suo momento, noi li denunciammo tutti. Però nessuno di loro che abbia detto sì, io c'ero lì di sotto, ma poi non partecipai ali' esecuzione (e lì non avremmo potuto dire più niente perchè noi laggiù non c'eravamo andate). No, invece, non c'era nessuno di loro. Quel giorno lì risultavano essere stati da tutt'altre parti. Io avevo allora sedici anni, non ero mica più una bambina e li conoscevo bene tutti, Bertinoro non era certo più grande di adesso. Questo cosa vuol dire? Che avevano la coscienza sporca, sennò perchè dire di non esserci stati quando noi li avevamo visti bene in faccia? Quando ci furono i processi a Forlì, nessuno di loro venne condannato! Io ricordo un giorno in udienza. C'era l'avvocato Messea che difendeva i fascisti e quando fui interrogata disse: "Questo non è un teste credibile perchè è la parte lesa". lo mi girai come una belva e gli dissi: "Scusi, ma quanti spettatori credeva ci fossero quella notte, oltre a noi e loro?". Il Presidente del Tribunale mi richiamò e disse "Qui le domande le faccio io, non le può fare lei!" Però non le fece neanche lui e nessuno venne condannato, nessuno perchè erano tutti innocenti! Noi che li avevamo visti, eravamo la parte lesa, non credibile. Con due morti al cimitero e mio fratello in prigione. Fu tutta una pagliacciata. Pensare che mio padre rientrò dal l'America, dov'era andato a lavorare, per andare volontario nella prima guerra mondiale, era interventista, e poi vent'anni dopo la Patria seppe ricompensarlo in questa maniera! Zia Rosa si è spenta da pochi giorni, a novantatre anni, lucidi sino in fondo. Ha voluto essere seppellita con la bandiera del PCI di Bertinoro della sezione "Gaetano Fusaroli", suo marito. Abitavamo insieme nella stessa casa. Spesso la sera, guardando come è stata ridotta l'Italia in tutti questi anni, come è stata usata la repubblica "nata dalla Resistenza", spesso ci siamo chieste: "Ma ne valeva la pena?". a cura di Giovanni Orlati

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