LA SOFFERENZA E' GIA' STATA TROPPO GRANDE PER TUTTI Amit ha 26 anni ed è di Tel Aviv. E' il responsabile della comitiva israeliana, una ventina di ragazzi che appartengono al movimento giovanile del RATZ, piccolo partito di sinistra presente alla Knesset, il parlamento israeliano, con 6 deputati. Il Ratz pensa che la sicurezza possa venire solo dalla pace e la pace vada costruita non solo nelle conferenze ufficiali, ma anche nelle singole città favorendo I' incontro e la conoscenza reciproca. "A Jaffa, vicino a Tel Aviv, lavoro con gruppi di bambini arabi. Ci incontriamo due volte alla settimana. Sono molto giovani, dai 6 ai 13 anni. Li guido in escursioni che hanno al centro la conoscenza della natura. Ai più piccoli insegno anche l'inglese e l'ebreo. In tutto ciò non c'è niente di direttamente politico, però credo sia un lavoro importante perchè questi ragazzi, conoscendo me che sono israeliano e ciò per loro rappresenta non poco, potranno cambiare il loro punto di vista. Ad esempio con me si sentono al sicuro e il rapporto é molto amichevole. Sanno che possono avere fiducia in me. E in ogni caso insegno loro cose che potranno servire in futuro. Questi ragazzi non vengono dai territori occupati, sono arabi israeliani e questo comporta per loro problemi psicologici. Infatti, da una parte sono cittadini israeliani e quindi un paese, in qualche modo, ce l'hanno, dall'altra si sentono col cuore molto vicini ai palestinesi di Gaza e della West Bank per cui dentro di loro vivono una vera e propria scissione. Spesso vengono aspramente criticati perchè le loro posizioni sono meno radicali. A volte sorgono situazioni un po' complicate: qui a Cattolica, ad esempio, nella nostra delegazione israeliana ci sono due arabi che vengono da villaggi arabi, ma che sono israeliani!" Dalle parole di Amit emerge una realtà che dà l'idea di quante sfaccettature dovranno tenere in considerazione coloro che si siederanno al tavolo della conferenza di pace, se e quando si farà. "Ad esempio, c'è una grande differenza nella cultura fra gli arabi israeliani, che si sentono più vicini all'occidente e sono più coinvolti nello stile di vita israeliano, e gli arabi palestinesi dei territori, che sono molto più "attaccati" alla religione mussulmana. Gli arabi israeliani sentono di appartenere ai palestinesi, sanno bene l'importanza dell'Islam in tutto il mondo arabo e tuttavia toccano anche con mano una condizione di vita diversa e non disprezzabile." Se nascono contraddizioni ali' interno dei palestinesi, generate principalmente dalle diverse condizioni di vita, si può ben immaginare che non sia facile condurre quest'esperimento fra ragazzi israeliani e palestinesi. "Non è il primo anno che lo facciamo" ci dice il responsabile del gruppo palestinese, un uomo sui 40 anni che vive a Ramallah, vicino a Gerusalemme. "Anche anno scorso siamo venuti qui con un altro gruppo e sempre grazie al1'aiuto della regione Emilia Romagna. Stiamo cercando di moltiplicare queste esperienze che consideriamo molto importanti. Ne abbiamo fatte anche in Svezia, a Malmoe. Abbiamo cominciato con i ragazQtto i ,a anni gliamo estenderle anche agli universitari. Dovremmo cominciare in settembre proprio in Emilia. Contiamo molto che da questi incontri escano giovani più maturi e più consapevoli dei diversi punti di vista." Si può aver la tentazione di pensare che 40 ragazzi che si confrontano per una o due settimane siano un granello di sabbia nel deserto. Tutto sarà comunque deciso dalle grandi potenze attorno ad un tavolo, alla gente forse non restano neppure i sogni. "I leaders devono avviare il processo di pace, devono costruire una cornice, devono trovare l'accordo su tante cose, ma la pace, quella vera, dovremo farla noi, dovrà farla la gente comune dei due popoli. Questa mattina abbiamo piantato insieme due alberi d'olivo. L'olivo ha per noi un significato quasi sacro. La sua radice è molto profonda e vive per secoli, anche per 500 o 1000 anni. Piantarli qui, insieme, ha un significato specifico, esprime la fiducia in un futuro di pace per le due nazioni. La sofferenza è stata già troppo grande per tutti. E' venuto il momento per la nostra giovane generazione palestinese e per quella israeliana di rendersi conto che ci può essere un futuro più luminoso per entrambi, che non può esserci un altro modo di vivere se non in pace. Se lavoreremo per le cose in cui crediamo si può mangiare latte e miele. Senza pace niente latte, niente miele. Sia noi palestinesi che gli israeliani abbiamo le persone più istruite, insieme si possono fare grandi cose. Dobbiamo crederci come noi qui oggi ci crediamo." "Io purtroppo sono più pessimista. C'è una grande differenza fra ciò che vorrei e ciò che penso, anzi temo, avverrà. Nell'incontro che abbiamo avuto poco fa ho proprio chiesto ai ragazzi palestinesi ed israeliani come immaginano il loro futuro e ne è nata una grande confusione perchè nessuno sapeva veramente come rispondere. Quando ho insistito e ho chiesto di dirmi cosa sognano e non cosa pensano, nessuno ha risposto. Per quanto riguarda me sogno che la conferenza di pace abbia successo, che israeliani e palestinesi vivano la propria vita nel proprio paese e che ci sia una pace vera. Per questo io sono qui e per questo stamattina abbiamo piantato gli ulivi. Però so che il governo che abbiamo non è quello che vorrei, so che fa cose che non dovrebbe fare e temo che, nonostante i passi avanti delle ultime settimane, non ci saranno grandi cambiamenti. So che la maggioranza della mia gente vuole la pace, ma non è disposta a cambiare governo e allora ...Io conosco il mio governo e la gente dura come Shamir e Sharon ...Però non posso lasciar vincere questo pessimismo ed ecco allora che sono qui." Se l'immaginazione non ha la forza di rompere una realtà che si presenta immutabile, quali sono i sogni veri, quelli a occhi chiusi? "Sono ancora peggiori! I ragazzi palestinesi sognano sempre i soldati israeliani, un vero e proprio incubo. Quelli israeliani, me compreso, sognano i terroristi. lo sogno spesso di essere ucciso da un terrorista arabo." "E' proprio questo modo di vederci l'un l'altro che dobbiamo rompere. Gli israeliani h~ paura dell'OL~. ma l'OLP è solo una espressione delle aspirazioni dei palestinesi. Noi abbiamo paura del sionismo, ma anche il sionismo è solo l'espressione delle esigenze nazionali degli ebrei. Il nostro lavoro deve portare le persone a capire i bisogni e le aspirazioni degli altri e a rompere con la storia così come è stata finora. E' un lavoro da fare con le giovani generazioni ed è il senso di questa esperienza di Cattolica." "Sono perfettamente d'accordo: se riusciremo a conoscerci personalmente, a rispettare le culture e le storie smetteremo di vederci come qualcosa di terrificante da sognare nei nointervista a stri incubi e cominceremo ad essere degli esseri umani. Noi israeliani non saremo più solo dei soldati con il fucile in mano e i palestinesi non saranno più dei terroristi o dei ragazzi con le pietre. Lo scopo principale di questi incontri è proprio quello di gettare un ponte fra queste due rive che si conoscono poco e male." MANNA SINIORA Si dice che ciò che complica un avvicinamento fra israeliani e palestinesi sia la reciproca certezza di avere molte ragioni, ragioni fra l'altro, strettamente legate alla propria sopravvivenza come popolo e come nazione. Avere tante ragioni può impedire di vedere le proprie colpe rendendo difficile ogni dialogo. "In effetti anche qui, ogni volta che le due delegazioni si incontrano - e lo facciamo tutti i giorni, per due ore- la prima cosa che succede è: noi li accusiamo e loro ci accusano. In pratica per la prima ora ci rinfacciamo tutto. Poi ci mescoliamo, parliamo, ci conosciamo, costruiamo qualcosa. Non può non essere così. Ci sono dolori troppo grandi che abbiamo provato, noi, ma anche loro, perciò prima dobbiamo "slegarci" un po', tirar fuori le cose profonde, per poter poi essere franchi fra noi. Comunque questo lavoro non ha un carattere sporadico, è cominciato anni fa e continuerà perchè sappiamo che iI nostro compito, cui vogliamo dedicarci insieme, è capire come vediamo il futuro, come riuscire a chiudere un capitolo di violenza della nostra storia comune, come sopravvivere e costruire un futuro per i nostri bambini. Credo che siamo destinati a dare un esempio: palestinesi ed israeliani possono vivere, lavorare, collaborare, decidere insieme". Amit prima diceva che conosce bene la sua gente, e sa che vuole la pace. Ma sa anche che non vuole cambiare governo, perchè si fidano più di Shamir che di Peres. Ma fare la pace con Shamir ... "Non ci importa se dobbiamo parlare al Likud o ai laburisti. Chiunque sia pronto a venire al tavolo delle trattative, gli parleremo. E' questa la ragione per cui diciamo agli israeliani: voi scegliete i vostri leaders, noi scegliamo i nostri. Non possono venirci a dire che non vogliono parlare con l'OLP, nè con i palestinesi in esilio, nè con quelli nati a Gerusalemme. Decidere chi è il proprio rappresentante è un diritto riservato ad ogni popolo. Abbiamo un mandato dalla nostra gente: andare ad un tavolo, negoziare una soluzione politica basata sul principio due popoli due stati. Spero che la gente israeliana, anche se oggi è divisa, prenderà la stessa decisione". Nella frenetica attività diplomatica che sta preparando la convocazione della Conferenza per la pace è evidente che state pagando un prezzo per l'alleanza con CO Saddam. Certamente noi sentiamo che questa guerra è stata dannosa per l'immagine internazionale dei palestinesi, noi facciamo parte degli sconfitti. Tuttavia i problemi sul tappeto non sono cambiati. C'è un popolo sottomesso da un altro popolo e la giustizia dovrà essere ristabilita. A dispetto delle difficoltà, continuiamo a credere che il nostro diritto per la giustizia, per la sovranità, per la democrazia, per la libertà dovrà essere soddisfatto. La nostra reazione durante la guerra non è stato altro che il risultato di una repressione subita per troppi anni." In Israele si è riaperto un grosso dibattito sulla sicurezza. I territori "occupati" che dovevano servire da cuscinetto non hanno impedito ai missili iracheni di raggiungere Tel Aviv. Eppure gli israeliani continuano a parlare del problema sicurezza nei confronti dei palestinesi. "E' strano. Noi siamo militarmente la parte più debole. Non abbiamo nè Phantom nè F.16, pochi palestinesi sono armati e si tratta di armi cosiddette personali, noi non possiamo mettere in discussione la sicurezza di Israele perchè non siamo armati come la Siria o l'lrak. E abbiamo anche affermato che siamo disponibili a discutere della smilitarizzazione della zona e della presenza di eventuali truppe internazionali di garanzia. Eppure Israele è pronto a sedersi al tavolo con la Siria, ma non con noi. E' una contraddizione. Vorrei aggiungere che i palestinesi hanno vissuto per tanti anni mescolati agli ebrei senza che questi avessero nulla da temere. Gli ebrei sono stati perseguitati per secoli in Russia, in Germania, in tutta Europa, ma non in Palestina. Hanno dovuto imparare a vivere dappertutto e per questo hanno paure psicologiche comprensibili, ma la minaccia al bisogno di sicurezza di Israele non viene dai palestinesi. Sappiamo di essere la parte più debole e sottomessa, tuttavia siamo pronti a discutere." A proposito di essere pronti a discutere: lei potrebbe essere un membro della delegazione palestinese ... "Sì, ma il signor Shamir non vuole. Io sono di Gerusalemme Est e c'è questa questione di Gerusalemme. Sharnir vuole che sia solo la capitale di Israele e non la considera "territorio occupato". Io invece credo che Gerusalemme potrebbe essere la città più importante del mondo, è un centro delle tre religioni monoteiste e dovrebbe diventare una sorta di città aperta, anzi sacra. Credo che sarebbe una sede ideale per l'ONU, molto meglio di New York." Shamir detta condizioni per la formazione della delegazione palestinese. Vengono solo da lì gli ostacoli? Ad esempio, i paesi arabi vogliono davvero uno stato palestinese? "Credo che il problema principale fra arabi ed israeliani sia la questione palestinese. Quando i palestinesi avranno pace, libertà e democrazia il motivo principale d'attrito fra arabi ed ebrei sarà esaurito. L'Arabia Saudita e gli altri stati della penisola arabica non hanno neppure confini comuni con Israele. Il problema siamo noi. I leaders israeliani non devono sottovalutare le possibilità economiche che si riapriranno una volta risolta la questione palestinese. Libertà di commercio, nuovi accordi per l'interscambio non potranno che rilanciare le economie di questa regione. Io vedo fra arabi, palestinesi ed israeliani la possibilità di un rapporto profittevole. Spero che nessuno voglia perdere l'occasione." GAIA ~nrnhx,-b?lo ~t'?rt/~a, .5.,{jfòt!Ja 1..-h ~~~d 65' 31:/ 1r/r:5,ç.y,&,j?77 Sonoaperteleiscri::,ioanicorsidi Shiatsue Yoga Siamo tornati alle "Navi" di Cattolica (vedi intervista sul n.4 di "Una città"). L'occasione ci è stata data dalla presenza di una sessantina di ragazzi palestinesi, israeliani e italiani (quest'ultimi scelti per la loro partecipazione alla campagna "Salaam, ragazzi dell'ulivo'') impegnati in una settimana di incontri e dibattiti. Siamo arrivati a Cattolica inseguiti e purtroppo raggiunti dal classico temporale estivo. Gruppi di ragazzi, prima impegnati in varie attività all'aperto, si sono riversa ti nelle poche sale disponibili occupandone ogni angolo e rendendo improbabile il nostro registratore tascabile. Il gruppo che cercavamo era in teatro, alle prese con le prove per la festa che la sera, tempo permettendo, si sarebbe svolta in città. Molti indossavano magliette nere con disegnate una colomba stilizzata, opera, abbiamo poi saputo, di Amit, il capo delegazione israeliano. L'impegno era tanto e in quel teatro si sarebbe probabilmente potuto fare di tutto, tranne la nostra intervista. La rassegnazione stava ormai avendo la meglio quando i capi delegazione palestinese ed israeliano, e la responsabile italiana son tornati da un incontro ed hanno accettato di fare quattro chiacchiere con noi. Abbiamo così saputo che l'incontro era nato da un'idea del Laboratorio Nazionale per la didattica della storia, con al centro l'obiettivo di approfondire il rapporto fra culture diverse e vedeva coinvolti una ventina di ragazzi per ognuna delle tre nazionalità, dai 14ai 18anni. Ogni giorno c'era un incontro di due ore, per il resto le attività erano abbastanza libere ed avvenivano per gruppi spontanei, non sempre comprendenti tutte e tre le componenti. Durante la conversazione si è aggiunto un ulteriore interlocutore palestinese. In quei giorni forte era la tensione in Palestina. Baker, come una pallina d'un flipper, rimbalzava da una capitale all'altra, e, uno ad uno, gli ostacoli alla conferenza di pace parevano cadere. Ne restava uno: la delegazione palestinese, con il veto d'Israele. Mai dunque avremmo potuto immaginare che quel signore in canottiera, pantaloncini corti e ciabatte potesse essere uno dei massimi esponenti dei palestinesi dei territori occupati, quel Hanna Siniora, direttore di un giornale di Gerusalemme, indicato da molti come probabile rappresentante palestinese, insieme a Feisal Husseini, all'eventuale conferenza per la pace. Informale nel parlare quanto nel vestire, Hanna Siniora s'è aggregato alla conversazione, monopolizzando, in breve, la nostra emozionata attenzione. Mentre affannosamente cercavamo nel nostro povero inglese le parole, pensavamo stupiti a quest'uomo - che potrebbe essere ministro in un futuro stato palestinese - che seguiva da vicino, e con passione, quest'esperienza di giovani del suo popolo e del popolo fino ad oggi irriducibilmente nemico. Quando la conversazione s'è conclusa, non ci eravamo ancora ripresi dalla sorpresa. Abbiamo il grande rammarico che il tutto, oltre che improvvisato, s'è dovuto svolgere in inglese. Insomma, si poteva fare di meglio. pagina a cura di Liana Gavelli, Giovanni Orlati, Livia Pinna, Massimo Tesei PARLANDO DI Il SALAAM RAGAZZI DELL'ULIVO" Concludendo l'incontro con gli amici israeliani e palestinesi abbiamo chiesto che cosa pensano di "Salaam, ragazzi dell'ulivo". "In Israele c'è chi pensa che sia un'iniziativa contro di loro, portata avanti da spie, nemici, ecc. La psicologia di Shamir è questa: non credere in nessuno, non fidarsi di nessuno. E molti, in Israele, la pensano così. Ogni volta che un governo o un politico straniero straniero dice qualcosa su Israele, scatta immediatamente la diffidenza. Tutto il mondo è considerato ostile, da qui l'esigenza di essere compatti: siamo soli e non ci si può fidare di nessuno, dobbiamo contare solo su noi stessi. Naturalmente c'è anche chi la pensa diversamente e crede che "Salaam" stia facendo buone cose per i bambini." "Noi l'apprezziamo moltissimo perchè si sta prendendo cura dei nostri bambini anche meglio di tanti arabi. Anche questa è la ragione per cui i palestinesi hanno tanto riguardo verso gli italiani. Il contributo che date non è solo per noi palestinesi, ma è per il processo di pace dove vivono due popoli. Quello che fa "Salaam" è simile alle iniziative della regione Emilia-Romagna come questa di Cattolica. Per noi ha un grande valore ogni attività educativa verso i ragazzi. L'incontro, la conoscenza reciproca, la discussione franca gettano buone basi per far crescere leaders che nel futuro si conoscano già, non abbiano paure, possano fare la pace. Ci piacerebbe molto se a Forlì una scuola superiore si "gemellasse" con una scuola israeliana e una palestinese per sviluppare ancor di più i rapporti fra giovani e aiutarli a maturare." Tutta la,. scelta chevuoi Vialedell'Appennino1, 63 - Forlì
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