Una città - anno I - n. 5 - settembre 1991

due riflessioni La lettera di Chian può servire da premessa ad alcune mie riflessioni su una ricerca condotta sulla situazione delle persone handicappate re identi sul territorio del comprensorio di Forlì per almeno due motivi: in primo luogo credo che il brano offra la possibilità di introdurre una distinzione, non solo terminologica. fra i termini handicap e deficit. Il deficit, la mancanza delle mani del bambino, è parte dell'identità della persona handicappata, l'elemento che per motivi biologici o altro è riducibile al momento. Può essere la cecità, la sordità, l'impossibilità di muovere gli arti. l compagni del bambino senza mani mettono insieme i loro sforzi e permettono al suo aquilone di volare più in alto di tutti. Le barriere che creano gli handicap possono essere eliminate dall'impegno di tutti.L'handicap è quindi un dato sociale. Esiste quando ogni uomo, donna o bambino si trova ad avere a che fare con tutto ciò che gli impedisce di potersi realizzare come persona nei diversi aspetti che accompagnano e qualificano l'identità come la sessualità, la politica, la cultura, la religione. In una recente relazione su questi temi è stato scritto a questo proposito: "ognuna di queste dimensioni può essere negata, oppure resa speciale come può esserlo per un eterno bambino" (A. Canevaro, "Accogliere il deficit e ridurre l'handicap. Riqualificare gli interventi per i bambini in difficoltà", Regione Emilia Romagna, 1990). L'immagine dell'eterno bambino mi porta a ritleuere sulle situazioni in cui di fronte a persone handicappate, accade spesso di rivolgersi a loro, cercando una dimensione di amicizia che in realtà non è scontata, attraverso un uso troppo facile del "tu", riempendo i silen7i con frasi che in realtà <,er13b1fe irot~ea barazzo. La seconda riflessione sulla lettera di Chian si intreccia con la prima: l'aquilone del bambino senza mani può volare più alto di tutti, perchè tutti i bambini, i suoi compagni hanno deciso insieme di unire 7 gomitoli di filo. Questa decisione presa in comune che permette di realizzare le aspirazioni e le possibilità del bambino con deficit mi porta a riflettere sulla parola istitll":.ione. Questo termine richiama immagini fra loro diverse, se ad esempio è collegato all'aggettivo totale assume una tonalità drammatica, riconduce ai manicomi e agli istituti sulle cui aberrazioni ha scritto in particolare E. Gofman ("Asylums, i meccanismi dell'esclusione e della violenza", Einaudi, 1968). In Italia, e di conseguenza anche nella nostra realtà locale, il termine è spesso accompagnato a un'atmosfera sfiduciata e pessimistica e inserito in frasi quali "sfascio delle istituzioni", derivate dalla constatazione della scarsa efficacia dei servizi dovuta a volte a meccanismi complessi e difficili da capire a chi ne è fuori. Nell'ambito delle scienze sociali, in un periodo storico ancora vicino, si è fatta strada l'idea dell'istituzione come di un processo creato sulla base di un condiviso fra più soggetti e verificabile, nel senso e nell'efficacia, attraverso la partecipazione e la realizzazione delle persone che sono coinvolte nel processo. L'istituzione è quindi soprattutto un punto d'accordo, una mediazione, stabilita da più individui attorno alla quale si organizzano relazioni, progeui. Rabbi e Bidente. La ricerca ha lo scopo di ricavare dei dati numerici, da questi emergono dati che a prima vista potrebbero essere definiti incoraggianti. Ri!>ulta infatti che un grande lavoro viene fatto nel periodo dopo la scuola dell'obbligo dal Centro di Formazione professionale del Comune di Forlì e dalle unità operative per l'inserimento lavorativo convenzionate con il suddetto Comune. In questi ambiti gli operatori elaborano progetti finalizzati soprattutto all'inserimento lavorativo in aziende pubbliche e private. Jnoltre negli ultimi anni, sono stati aperti diversi centri diurni nei territori di diversi comuni del comprensorio considerato, dai dati risulta che è rilevante il numero di persone inserite nei centri in convenzione con l'U.S.L. 38 o direttamente gestiti dall'U.S.L. In negativo emerge invece l'assenza pressochè completa di strutture residenziali al di fuori di un gruppo appartamento di recente costituzione e di istituzioni di ispirazione religiosa storicamente presenti nel territorio forlivese. La conseguenza di questo fatto è faci I mente immaginabile: è possibile supporre un futuro, ma anche un presente dove le famiglie si devono far carico interamente di un congiunto handicappato, eventualmente nei casi più fortunati, fuori dall'orario d'inserimento di un centro diurno. Infine, i dati che riguardano il periodo della scuola del I' obbligo fanno risaltare che I' inserimento di bambini/e, ragazzi/e handicappati si protrae in alcuni casi oltre la normale età di frequenza scolastica. In positivo va rilevato che da alcuni la ricerca anni a Forlì non esiste più nesFin qui le parole e la teoria. In suna scuola speciale. questi due anni ho avuto la for- Al di là dei risultati della ricertuna di partecipare ad una ri- ca vorrei provare ad assumere cerca censimento <,ullapopola- una posizione vicina ali' idenzione handicappata del com- tità delle persone handicappaprensorio forlivese, per inten- te, e valutare in questo senso derci oltre al comune capoluo- quali ini;,iative si possono avgo, i comuni dic,tribuiti lungo le viare per eliminare concreta- C3r1'tJduBi~nh a le barriere che creano gli handicap. la costruzione di una • memoria Da un po' di tempo si ripete di prestare attenzione ai momenti di passaggio fra periodi formativi diversi. Ad es. fra la scuola elementare e la scuola media. Può accadere infatti che proprio in questi passaggi si perda il ricordo delle esperienze avviate in una classe. Può essere utile allora costruire una memoria con e per il bambino handicappato. che possa essere letta e conosciuta soprattutto da chi ne è protagonista. I materiali prodotti in classe ad es. i cartelloni, le fotografie, sono raccolti, organizzati e accompagnano in una valigia il viaggio del bambino con deficit da un periodo formativo ad un altro. La costruzione può coinvolgere i compagni e presentare un aspetto sconosciuto della situazione: che si può imparare dalla presenza di un compagno handicappato. In una classe i compagni si sono impegnati nel lavoro di conoscenza del deficit del proprio compagno. Se il conoscere non si ferma solo all'aspeuo scientifico, ma entra anche nel l'esperienza originale del compagno è possibile che si riduca la distanza fra loro originata da paure e pregiudizi. Infine la realizzazione diventa patrimonio del bambino handicappato e base di costruzione di un proprio progetto di vita, che guidi le scelte di percorsi formativi e della vita più in generale. le riserse del territorio L'impegno di chi è direttamente a contatto della persona con deficit può non essere sufficiente. Le barriere esistono anche su scala più allargata. Sono necessari luoghi dove le informazioni non si perdono, dove è possibile la conoscenza delle altrui esperien;,e. L'attiva;,ionc di risorse sul territorio SOLIDARIETA I, FRATELLANZA, EGOISMO "Solidarietà" è una delle parole d'ordine di ciò che èconsiderato il retto vivere sociale, e come tutte le parole d'ordine mi suscita un certo fastidio. Come tutte le parole di questo tipo, "solidarietà" si usa spesso per fissare idee e concetti confusi o variamente interpretati, e di cui colui che ne parla non è ben sicuro; così si ricorre alla parolaformula che nella sua vaghezza e vastità di accezioni può aiutare a togliere d'impiccio. Ma bisognerebbe forse chiedersi che cos'è e cosa dovrebbe essere la solidarietà. La solidarietà spesso viene concepita, e anche praticata, come il dovere, da parte di chi è in una posizione di privilegio o comunque di buon inserimento nella società, di soccorrere ed assistere coloro che non godono, per diverse cause, di questa posizione. Le intenzioni posso essere le più buone e produrre anche dei risultati, comunque è evidente il fondo paternalistico e il pericolo pietistico di quest'atteggiamento. In un rapporto di questo tipo la disparità fra chi dà e chi riceve è evidente: chi riceve questa solidarietà, questo aiuto, non può che sperimentare ulteriormente il suo "essere inferiore" rispetto a chi ne è artefice. E' un aiuto che viene dall'alto, che si subisce passivamente senza avere niente da contrapporvi per poter realizzare un rapporto di parità, e questo è decisamente frustrante; mentre invece può essere fonte di compiacimento per chi dà, che si sente allo stesso tempo privilegiato e benefattore. Molto più edificante e molto più ricco sarebbe invece un rapporto di "fratellanza", cioè di reciproca apertura all'altro, di reciprocoarricchimento e di reciproca comprensione, in cui entrambe le parti possono dare e ricevere qualcosa e crescere insieme, senza accondiscendenza e pietismo da un lato e senza opportunismo dall'altro (cioè: cerchiamo di trarre i massimi vantaggi da questa situazione). Certo che questo obiettivo non è facile da raggiungere, ma probabilmente vale la pena di porselo, di volerlo. E con questo chiaramente non voglio avere in tasca la formula magica e la ricetta da seguire: è un'idea, né più né meno delle altre ... Ci sono poi forse altri punti da mettere in discussione: "solidarietà" è contrapposta a "egoismo"; questa contrapposizione non la vedo come necessaria, almeno intendendo "egoismo" in un certo modo. Credo che l'egoismo non sia necessariamente il disinteresse per gli altri o il considerarli come "mezzi" e non come "fini" (rovesciando l'imperativo categorico kantiano). "Egoismo", nel senso più alto, è l'anteporre a tutti i valori, facendone quello supremo, la realizzazione completa di sé, della propria personalità, delle proprie potenzialità; e in questo senso il rapporto con gli altri può essere un modo per raggiungere questa meta, una fonte di arricchimento di sé, una necessità di confronto e di scambio. Chiaramente l'egoismo può essere sopraffazione, sfruttamento degli altri, volontà di imporsi. Ma quello che credo sia da chiarire è che esso, nel suo nucleo più profondo, forse non esclude l'apertura agli altri e il rapporto paritario e onesto con loro. Infine non mi piace la solidarietà come obbligo morale: da quello che ho detto credo sia abbastanza chiaro che essa dovrebbe nascere da un'esigenza interiore, da una volontà, più che da un dovere e credo che una solidarietà per costrizione (anche autocostrizione) sia più nociva di una non-solidarietà di cuore. Fabio Strada. può incontrarsi con la voglia di poter scegliere di una persona con deficit. Nella situazione forlivese sembra mancare uno spazio dove raccogliere e consultare memorie, dove poter trovare percorsi di autoformazione per operatori e insegnanti e un luogo dove i facilitano le scelte formative delle persone handicappate. Sono due cose distinte. Per la seconda in particolare si può tener conto dell'esperienza di alcune citlà italiane (Bologna, Genova ...) dove un gruppo ristretto di operatori opera utilizzando un'anagrafe delle persone handicappate che frequentano la scuola dell'obbligo e una banca dati delle risorse del territorio. TI gruppo in contatto con le USL, le famiglie e gli utenti elabora i possibili intrecci. Questo servizio opera quindi una regia fra una pluralità di risorse del territorio. Per la sua specificità di regia credo che questo luogo dovrebbe avere una gestione pubblica e poter contare su un concorso di forze pubbliche e private. le strutture residenziali, una possibile risorsa per il • proprio progetto di vita? La mancanza di strutture residenziali è un grave problema per i motivi già presentati e probabilmente per molti altri. Questa assenza mi porta a fare alcune considerazioni. li percorso dall'adolescenza ali' età adulta porta ogni persona al bisogno di momenti di indipendenza. Nello stesso tempo il passaggio dalla vita in famiglia a quella in un convitto può essere difficile. Una struttura residenziale può offrire la possibilità, oltre all'accoglien1a, l'alloggio e all'eventuale riabilita;,ione, di reali;,- zare brevi momenti di separazione, alcuni week-end per provare la propria capacità di stare soli, di stare con altre persone in un posto nuovo. Inoltre un convitto è un luogo dove la permanenza si protrae anche nel tempo della quotidianità più intima e quindi richiede attenzione in sede di progettazione e realizzazione per il rischio di cadere nei tranelli dell'istituzione totale o solo apparentemente aperta. i linguaggi Nel nostro territorio le istituzioni pubbliche e private, sanitarie e sociali parlano delle persone handicappate (certo non esclusivamente), utilizzando il linguaggio degli specialisti, quello delle diagnosi. Ognuna ha poi finalità diverse e utilizza questo stesso linguaggio in modo diverso. Da questa situazione emerge la necessità di unire altri linguaggi a quello diagnostico. Ad esempio il linguaggio dei compagni, degli operatori del bambino handicappato stesso. Inoltre si potrebbero realizzare possibili strumenti di interfaccia per la conoscenza del deficit a partire dalle diagnosi che permettano di acquisire informazioni controllabili ed accessibili anche a familiari e operatori, che non richiedano una conoscenza di partenza, ma che pennettano di poterla costruire nei termini necessari. ad esempio per un insegnante, per realizzare il progetto educativo. Per questo obiettivo, questi strumenti devono permettere anche di realizzare una rete di contatti sui deficit per conoscere le ultime ricerche, le esperienze, le informazioni di base. pagine a cura di E. Lombardi una possibile • ricerca per • • com1nc1are La tendenza di considerare la persona, la sua identità in relazione stretta col suo ambiente, con le persone che la circondano rimanda al concetto complesso di coevoluzione. Zanelli e Severi ("Educazione, complessità e autonomia dei bambini, La Nuova Italia 1990) hanno recentemente ripreso da G. Bateson questo termine collegandolo al contesto educativo: "Fra bambino e insegnante si instaura un processo di coevoluzione. In questo caso I' istruzione non avviene più a senso unico; non è vero solamente che l'insegnante causa dei cambiamenti (apprendimento) nel bambino. è vero anche il contrario; anche l' insegnante cambia (apprende) stimolato dal bambino. Bambino e insegnante costituiscono una totalità ecologica (...) L'attività dell'insegnante, infatti, cambia comunque il bambino che a sua volta, cambia l'insegnante in un processo ricorsivo". Il processo di coevoluzione può comprendere più termini e divenire via via più complesso, e fra tanti legare l'identità della persona handicappata al suo contesto e ali' ambiente sociale ed educativo più in generale. Questo processo richiede mediazioni e strumenti istituzionali presenti nella coscienza delle persone a cui sono rivolte, riconoscibili non dall'appartenenza a categorie, ma dalla partecipazione ad un progetto democratico di collaborazione. Enrico Lombardi La foto è tratta dall'album della coop. "li Cammino" NEL PROSSIMO NUMERO: Gli altri, lo sguardo, il ballo ed altro in un intervista a Fabio Strada, non-vedente UNA ClffA'

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==