CHI DI FRONTE AL MISTERO NON SI FA TENTARE DA DIO Cari amici di "Una Città", scrivo a seguito della pubblicazione (sul n.4) della vostra intervista a Dario Antiseri, che a mio avviso si pone quale ulteriore "manifesto" del giornale, meritando perciò di essere macinata, digerita e discussa. Per quanto è po sibile. cercherò di non indulgere ad analisi sociopolitiche, ma di rimanere ancorato al fondo della questione che è sostanzialmente ideologico. Anzitutto, molte delle cose affermate da Antiseri 0110pienamente condivisibili; d'altra parte il titolo stesso"verità in tasca e chiavi di camere a gas", più che essere problematico, evoca tristi verità. E' tuttavia da aggiungere che il pensiero relativistico, oggi presentato come una grande scoperta dell'era cosiddetta ·'postindustriale" non è poi una gran novità. Contestualmente devo dire che tale espressione la ritengo ambigua in quanto si presta ad una lettura deformante degli attuali rapporti di forza fra ilmondo del capitale e quello del lavoro dipendente. Certamente vi è nel cosiddetto "pensiero debole" qualcosa che lo fa 'sentire' diverso, ed il enso di ciò sta probabilmente in quella affermazione di Antiscri per cui "... il pensiero debole non è un pensiero che fonda le fedi, però apre alla fede ...". Io ritengo che non a caso egli parli di 'fede' al singolare, e non solo e non tanto perchè pensi alla propria, e a me pare che stia appunto qui, cioè in questo aprirsi ad un pensiero che guarda al linguaggio della fede, intesa come fede 'religiosa'. la novità dell'odierno "pen iero debole". Trovo infatti, pur accettando quanto dice Antiseri sull'antinomia ateismo-teismo, che può lasciarequantomeno perplessi la sua professione di fede, proprio in un quadro di ··pensiero debole". In effetti non mi sembra che le posizioni di Antiseri o di altri esponenti del "pensiero debole'' siano assimilabili a quello di Spinoza o di Bertrand Russell.Invece, concordo sul fatto che non sia opportuno, oggi, muoversi entro i confini di un "fundamentum inconcussum". for e ciò non è mai stato saggio, neppure quando il senso degli eventi pareva so pingere le azioni umane in questa direzione; ma, tutta la premessa secondo la quale "non possiamo pretendere di avere assoluti terrestri" sembra porsi in aperta contraddizione con l'adesione ad un percorso religioso. Ancora una volta. si direbbe che la più grande tentazione umana sia non tanto di perdere o rifiutare Dio. quanto di cercarlo; e di fronte ad una simile ipotesi che nasce da un punto di vista 'ateo', ricordo come sia tipico della personalità atea. secondo lo psicanalista Ancona, il " .. desiderio inconscio di uccidere la madre ..". Purconvenendocon Durkheimche la" .. psicoanalisi è un regno con molte reggie ..." mi piacerebbe sapere quale è il desiderio inconscio del "credente"! Personalmente, pur ritenendomi un figlio amorevole e disponibile. non so è ovvio, e uccidere mia madre rientri fra le mie pul ioni inconscie; sono però convinto anch'io che dovremmo cominciare a conoscere, capire, distinguere le motivazioni di nostre scelte, religiose o non. Non so come Antiseri se la cavi con il concetto di "verità", quale ad esempio viene nuovamente riaffermato da Giovanni Paolo Il nella "CENTESJMUS ANNUS". "A questo proposito bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia .." concetto non certo attenuato dalla concessione che " ... Non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica ...'·. Al di là di una maliziosa denuncia che si potrebbe fare a questo proposito di una forma di "recusatio non pctita", va da sè che potremmo discutere ore sulle forme non ideologiche della fede cristiana. ma mi permetterete di superare questo nodo con una battuta: chi è più ideologico fra Woityla e Bertrand Rus el? Intendiamoci, qui non si tratta di scegliere fra l'una o l'altra, ma piuttosto di individuare iI percorso da fare a ffi nchè le diverse ideologie si confrontino e le "storie" si intreccino, di capire i fattori che fanno scattare l'etica della separazione e della ·scomunica', di domandarsi se per caso abbiamo neces ità di "pensieri forti", di sperimentare ampie cornici di riferimento evitando però di doverle con iderare "l'ultima piaggia". Giustamente Antiseri fa un paragone con le ipotesi astrofisiche sull'origine dell'universo: ebbene la scelta stessa di tali ipotesi non è raramente immune dall'ideologia. Non è ormai tempo di cominciare a vivere le nostre ideologie quantomeno col respiro e l'approccio psicologico posto a fondamento di quelle ipotesi cosmologiche? Ciò beninteso, non impedirebbe la ricerca in campo politico e culturale, ma porrebbe valide premesse per un confronto, certo conflittuale, ma vivo e fecondo. Ritengo invece che Anti eri assuma pienamente iI "pensiero forte" del cristianesimo, ma questo, anzichè disturbarmi, mi con ente di conoscere i suoi punti di riferimento, le sue speranze, le tracce dei suoi percorsi: è infatti così che vengo ad apprendere che, per Anti eri, uno dei valori fondanti è la "resurrezione", perchè " ... se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra predicazione e vana pure la vostra fede... se noi riponiamo la nostra speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo i più miserabili di tutti gli uomini" (Paolo, I ai Corinti 15 - 14,19). Ora un positivo rapporto dialettico fra ideologie diverse, deve appunto portare uomini diversi ad interrogarsi reciprocamente. E' que ta la vera novità di oggi. dove molteplici ideologie hanno cittadinanza al- !' interno di singoli e dove ci viene chiesto non di abbattere le ideologie o le fedi, ma di fecondarle l'una con l'altra, alla ricerca non di un ipotetico sincretismo, ma di un modo di crescere più interdipendente e diver ificato. Sia in politica che in filosofia, e più in generale nel campo della cultura, abbiamo lavorato e prodotto così come si è fatto in agricoltura: grandi "monocolture", enormi campi dove una grande produzione indifferenziata ha poi portato inquinamento, parassiti, fame. Analogamente, abbiamo sviluppato attraverso "monoculture" una politica inquinata dalla disperazione e dall'arroganza, con una parte del pianeta "parassita•· di oltre due tcrli dell'umanità, e una grande fame di Dio. Ora iI problema è tornare alla foresta pluviale della filosofia, dove un'infinità di esseri viventi 'scorrono· insieme in perfello equilibrio e dove la diversità dell'uno è l'esaltazione di quella dcli' altro, e tutto a caralleri "forti". decisi, colori accesi, una natura esuberante. "Forte" anche la storia del "L'altra città", prima. e ora di "Una città". che si colloca su questo binario e comunque ci stimola a capire insieme il senso di nuovi percorsi, mentre siamo ancora invischiati tutti dalle nostre storie: tuttavia io penso che un orgoglioso recupero del senso del no tro passato renderebbe il nostro presente meno arrogante e meno servile. Peraltro, io rimango tuttora o incredulo o perplesso di fronte ad alcuni vostri percorsi. anche se in fondo. siamo solo all"inizio, mi auguro dunque che sappiate dare voce anche a chi (non parlo del piano del politico) ha imboccato itinerari di vita diversi: ad esempio a chi, di fronte al mistero. non si fa tentare da Dio. Con affetto Gabriele Auilio Turci NEL PROSSIMO NUMERO: • su razzismo e persecuzioni razziali. intervista al prof. Caro, Rabbino Capo di Ferrara ELTSIN E LA SINISTRA Dunque, bisognerebbe andare cauti. Infondo, questo Eltsin deve ancora dimostrare di essere 1111 grande statista ... E poi, quei ritratti dello zar! E la corsa all'indipendenza? Sono davvero sicuri di aver tanto interesse afrantumare l'Unione Sovietica? Così si sente dire in giro. Non sarà la nostra ca11ivacoscienza afarci essere così cali/i e sospellosi? Non sono mai stato un filorusso, da quando mi interesso di politica ww delle poche convinzioni è sempre stata quella che difronte alla Russia e al suo socialismo Marx stesse rivoltandosi nella tomba. Eforse anche Lenin. Tullavia sarei disonesto se non riconoscessi la facilità con cui ho sempre trovato gius1ijicazio11ie ragioni per il grigiore opprimente di quell' esperienza; se non amme11essid'aver sempre visto l'impero del male negli USA; se 11011 ricordassi quale peso ha sempre avuto l'idea che l'interesse superiore potesse giustificare, a volte, basse azioni. C'è poco da fare: per quami distinguo posso tentare, per quante prove posso addurre alla estraneità dei miei ideali dalle concrete realizzazioni del socialismo, il crollo del 'Unione Sovietica riguarda anche me. Sarà per questo che la gioia per i/fallito golpe non è la stessa che avrei provato nel 1973 sefosse fallito il golpe di Pinochet. E non credo di essere un isolato. Vedo intorno a me, fra amici di sinistra, tanta simpatia per Corbaciov e Eltsin, tanta razionale soddisfazione per la fine dei golpisti, ma gioia ed emozione sono contenute. Può darsi che sia l'età, può darsi che le macerie che abbiamo dentro ci consiglino cautela, può darsi che le vecchie rollure sifacciano lo stesso sentire. Specialmente quando il tempo peggiora. Sta di/allo che basta vedere in tv unpope che alza un ritratto dello zare il cuore si stringe. Eppure migliaia emigliaia di moscoviti hanno bloccato un colpo di stato, discutono e praticano la democra::.ia,Eltsin sale su un carro armato e incita il popolo alla resistenza: sono simboli che da sempre appartengono al mio immaginario, cos'è che non me lifd'godere pienamente? Ecco, vorrei che questo giornale indagasse questi temi, queste sensazioni che credo comuni a tu/la l'area di sinistra. All'orizzonte c'è molto di più, è ovvio. Il crollo dell'URSS condi::.ionerànel bene e nel male tutto il pianeta e per molti anni a venire. Basti pensare al riaccendersi dei nazionalismi e che la Jugoslavia potrebbe essere, in sedicesimo, la Russia di domani. Basti pensare allo spazio enorme che si apre ali 'integralismo religioso. Ma credo che sarebbe già una cosa buona se avessimo il coraggio di scavare su cosa significhi per ciascuno lafine del comunismo, se davvero è finito. E qual è il senso della sinistra oggi e se si può immaginare un suo domani. Credo che adesso i russi siano più liberi di sbagliare. Vediamo se lo siamo anche noi. Massimo Tesei La storia gioca strani scherzi. Per molti anni mi sono considerato anarchico ed anche in quanto tale non ho mai avuto alcuna simpatia o indulgenza per il sistema nato dalla rivoluzione d'ottobre. Considerato tullo questo dovrei essere oltremodo felice di veder crollare uno dei totalitarismi più brutali, certo il più duraturo, che la storia ricordi; dovrei esultare vedendo folle di persone, finalmente non più impaurite e taciturne, abbattere i simboli e le strutture di un potere autocratico e scoprire il gusto della discussione e del "prendersi la piazza". Ma non è così che mi sento io; all'opposto l'unica gioia sentita è stata quella provata per il fallimento del colpo di stato; per il resto, pur affamato di notizie, tulio quello che sta succedendo nella ex-terra dei soviet mi la eia freddo e disincantato. Non riesco a sentirmi in sintonia con la gente che, mentre abbatte le statue di rivoluzionari dimostratisi tiranni, non batte ciglio nel vedere inalberati i ritraili dello zar icola II Romanov. Certo la bandiera con la falce e martello è diventata simbolo di oppressione sociale e di oscurantismo intellenuale, con ciò tradendo le speranze che aveva suscitato di liberazione dalle ingiustiziee dai dogmi, ma mi lascia perplesso vedere ostituita ad essa la bandiera bianca, rossa e azzurra di una "Santa Russia" vista come suscitatrice di ogni virtù, "terza Roma", nuovo centro del mondo. Mi fanno pensare le folle osannanti i capi e ringhiose con l'avversario politico; pronte ad esplodere ai discorsi infiammati e tonanti di Boris Eltsin, ma fredde ai richiami alla ragione e al rispello dei diritti da poco conquistati falli non solo da un incerto Gorbaciov, ma anche dal rabbino capo di Mosca durante i funerali di tre delle villi me dei militari fedeli ai golpisti. Forse la mia incapacità a vivere questi giorni memorabili in empatia con le folle che riempiono le piazze, il distacco con cui guardo la cronaca farsi storia, è dovuto al fallo che non ho patì to settantacinque anni di paura, silen- ,:io, ingiustizia, rabbia. Più probabilmente, però, la causa della mia freddena è un'altra. Dicevoall'inizioche ero anarchico, devo aggiungere che già da un po' di tempo sono, o almeno mi considero, un ex-anarchico. Uno dei motivi di questo mio passaggio all'"ex" è stato proprioil capire che, pur se quanto realizzato in nome del comunismo bolscevico era l'opposto di quello che io desideravo e per cui militavo, qualcosa comunque mi legava, in quanto anarchico, a quel simulacro di socialismo. E quel qualcosa erano la logica profonda, le concettualizzazioni, un modo particolare di vedere la politica, la società, l'ente "uomo" stesso. Legami profondi, sfaccettati, comuni a tu/la la sinistra. Non ho in nulla abiurato le aspirazioni che mi portarono ad avvicinarmi all'anarchismo. Solo le sento e le vivo con disincanto e tutto questo ha la ciato in me una specie di vuoto. Un vuoto che, pur senza identificarmici, era in parte contenuto dalla speranza che il processo cominciato da Gorbaciov aprisse prospenive del tutto nuove. Ecco, for e il distacco che provo verso gli accadimenti nell'est europeo nasconde olo la rabbia di vedere che c'è sempre il rischio che la ricerca del "di verso dal!' esistente" non faccia tesoro di tutte le esperienze passate; forse in qualche modo ancora speravo che "ex oriente lux". Edèanchepossibilechequel che provo sia dovuto al mio non essere, di fatto, ancora abbastanza "ex". Certamente mi ripugna pensare che que to "occidente" sia il migliore dei mondi possibili, ma altrettanto certamente so che col crollo definitivo, e spero non sanguinoso, del simulacro sovietico anche tutta la sinistra ha definitivamente perso le ragioni di essere che l'avevano costituita, definita e divisa dalla rivoluzione francese ad oggi. Ha per o ogni speranza di riformarsi. E' possibile costituirne un altra, in cui possano trovare posto anche le mie disincantate aspirazioni? O l'unica possibilità non ridicola per i sinistrati della sinistra rimane una '•militanza del dubbio''? Franco Melandri IL PENSIERO DEBOLE, LA FEDE, UNA CITTA' lettera-------------, OBIEZIONE DI COSCIENZA L'obiezione di coscienza è un tema di moda ultimamente. specialmente dopo gli ultimi tragici fatti della guerra del Golfo. Nell'ultimo anno le domande di obiezione ono triplicate. ma fino a che punto pos iamo essere soddisfatti di ciò? Molti dei "nuovi obiettori", infatti, ignorano la storia (e purtroppo, alcuni, l'esistenza) di movimenti pacifisti ed ecologisti o si limitano a quanto crivono i giornali: tanti conoscono per onaggi come Gandhi o Martin Luther King La lettera di Gabriele Turci ha, innanzitullo. il merito di toccare argomenti la cui discussione in ciuà è stata sempre carente; ma pone anche un grosso problema: la mas a delle questioni filosofiche, religio e, politiche e per onali che in essa vengono affrontate, direllamente o in filigrana, è tale che una risposta minimamente esauriente diventerebbe un (non breve) saggio e dovrebbe coinvolgere praticamente tutta la redazione. In auesa che quc 10avvenga - se. come speriamo, il diballito "decollerà" coinvolgendo anche altri lct1ori-cerchcrò di fare qualche breve puntualizzazione su alcuni pa aggi del suo scri110,sperando che anche esse siano legna per il fuoco della discussione. In apertura Turci afferma che ritiene l'intervista ad Anti eri una specie di "manifc to" di questo giornale e chiude souolincando la sua perplessità di fronte a quelli che ritieneessere i percorsi dei componenti la redazione ed augurandosi, di conseguenza, che il giornale sappia dar voce anche a chi "non si fa tentare da Dio". Orbene posso ubito rassicurarlo: nè l'intervista ad Antiseri, nè altro di quanto fin qui apparso (a parte alcuni brevi "riquadri" o la risposta ad una precedente lettera dello stesso Turci) possono, o devono, essere ritenuti "manifesto" di "UNA CITI A'". E questo per un motivo molto semplice: non solo non abbiamo fin qui ritenuto necessario un tale "manifesto". e se avessimo deciso di farlo lo avremmo dichiarato apertamente, ma tuuora la "filosofia" del giornale è basata sul tentativo. difficile da esplicitare in positivo, di sincrgici,,arc percorsi fra loro assai diversi, convinzioni contrastanti, ricerche dal!' esito oscuro o contradditorio. Ci unisce, e non ci sembra poco, una comune sensibilità cd apertura a quanto ci circonda ed il rifiuto di qualsiasi dogma o ccrtcua. dichiarati o soucsi che siano. Ecco, in questo rifiuto dei dogmi e delle ccrtene il "pensiero debole" può essere inteso come "filosofia" di "U A CITI A"'; ma, se lo è. lo è solo come risultato dell'apertura di cui sopra. non come orientamento collc1tivo aprioristicamcn- nco te scelto. Quanto poi all'aprire le pagine del giornale anche a chi non è tentato da Dio (come è il caso del 01toscri110,che vive assai serenamente la sua convinzione/condizione di agnostico) va souolineato che - e basta scorrere i numeri usciti per verificarlo - il giornale è sempre stato aperto ai laici come a tuni. Dello tutto questo, e sonolineando che quanto dirò da qui in poi coinvolge oltanto me, vorrei a questo punto fare qualche nota ad alcuni passaggi della lcncra di Turciche trovo un po' oscuri. Cosa vuol dire, infatti. che il "pensiero debole" <si presta ad una lcllura deformante degli attuali rapporti di forza fra il mondo del capitale e quello del lavoro dipendente>? Vuol forse dire che esso di truggc la suppo ta razionalità che starebbe alla base della teoria marxiana della "lolla di classe" o che pone in luce gli esiti totalitari che stanno a fondamento delle virtù taumaturgiche allribuite alla "rivoluzione", intendendo con questo termine la volontà di giungere ad un "punto zero" da cui dovrebbe originarsi un "nuovo l l l ''? lnlZIO . Se è questo che, grosso modo, intende Turci con la sua fra e dico subito che io (che pure non sono un filosofo. ma che cerco di fare tesoro delle mie esperieme e delle mie cmpre troppo scarse letture) concordo col "pensiero debole". Mi pare, an,i, che solo una mentalità profondamente religiosa in senso millenaristico possa oggi, dopo quanto accaduto negli ultimi cento anni e con le esperienze ed i dibattiti che anche noi ex "scssan1011ini"abbiamo alle spalle. ritenere in qualche modo valide tali formulalioni. Dire questo certo non può significare che si possano, o debbano, chiudere gli occhi sui problemi e sulle ingiustizie delle società occidentali e del ter1ocquarto mondo: significa "solo" che i "rimedi" a tali questioni non possono essere vi,ti in chiave "finalistica". mentre devono essere ricercati nell'ambito di tentativi sempre modificabili. reversibili. aperti. Uno di questi. ad es. potrebbe essere un ripensamento degli ambiti, dei modi e del "scnso" della "politica" e del modo di intenderla e praticarla. Quanto poi ali' apertura alla fede che sarebbe intrinseca al "pensiero debole" posso solo dire che tale apertura non mi pare lo sbocco necessario del "pensiero debole·•. ma solo uno dei possibili percorsi che. accettandone i contenuti, si rendono po sibili. Anzi. è proprio nel rendere possibili percorsi fra loro assai differe11liati, o "altri". con la co cicnza della" ingolarità" di ognuno di essi che. a mio parere. sta la "for,a·· del "pensiero debole". Inoltre, prc cindendo da quelle che possono essere le convim ioni o le contraddi,ioni di Antiseri, mi pare che una ricerca religiosa che sia 1es1i111011ia11"::.a di fede, ma non pretenda di dimostrare la 11ecessi1à e la 11orma1ivi1à di alcuna fede (come può essere un pensiero religioso che assuma sino in fondo i portati del "pensiero debole") non mi pare in contraddizione col riconoscere che< non possiamo pretendere di avere nelle mani assoluti terre tri>. Insomma, come dice Antiseri. mi pare che solo rinunciando a di111os1rare la verità di Dio, e si crede, o la falsità di dio, e non si crede, ognuno possa 1es1i111011iare pienamente la sua verità. E proprio testimonian7e vissute in questo modo sono, per mc. la premessa necessaria ad un dialogo fra alterità di percorsi e di scelte che. non ponendosi il problema di rimanere tali, possono stimolarsi a vicenda e, for e. anche percorrere strade parallele. Accolgo pertanto l'invito di Turci a tornare alla "foresta pluviale della filosofia", e lo faccio con la convi111ioncche in esso di "forte" , i possano essere solo le domande. Le risposte, se non vogliamo coscientemente diventare dei totalitari, possono essere solo parliali, mutevoli, relative. Ma forse proprio nel lamu1cvolc,- 1a, nella parlialità, nella finitc71a terrena di ogni possibile ri. posta sta il bello della filosofia poichè. in questo, essa coincide con la lìnitc11a. la 1nu1cvoleua, la par1ialità, e quindi con lasi11golari1<ì, di ogni esistc111aumana vissuta coscientemente. F. M. olo per le poche righe che gli insufficienti libri scolastici dedicano loro e la maggior parte non ha mai partecipato a movimenti o iniziative contro gli eserciti, le armi e le guerre. Io sono un obiellore di coscienza, ma ritengo limitante tale definizione e rapportata a quanti optano per una celta di comodo piuttosto che ad una filosofia di vita. Ritengo. infani, che tale scelta implichi qualcosa in più del empi ice "evitare il servizio militare·· o "evitare le marce ed altri lavori pesanti'' ed altre sciocchezze simili. Personalmente avevo deciso di svolgere il servizio civile quando questo era ancora di venti me i (quasi il doppio del servizio militare) ed ero disposto a svolgerlo anche lontano da casa e questo per pura coerenza ideologica. Certo non mi dispiace volgere il mio servizio a Forlì, nè il fatto che ia tato portato a dodici mesi, perchè ciò mi ha dato la pos ibilità di avere più tempo a disposizione per impegnarmi in ciò che faccio e oprattutto perchè, finalmente, si è po 10 fine alla penalizzazione che dovevano pagare coloro i quali sceglievano il servizio civile, ma tutto ciò non era decisivo ai fini della celta. E' triste constatare come i soliti buchi della legislazione italiana diano modo ai furbi di giocare con le scelte ideologiche. I nipoti del '68 sono abituati ormai a tale comportamento dettato dai "media'· e dalle varie i tituzioni; la filosofia del disimpegno e del "fame il meno possibile·· è quella che regna fra i giovani e lo dimo tra la fine che hanno fatto i movimenti degli studenti òell'86o dellaPantera, movimenti pur nati con le migliori intenzioni. ma che non hanno avuto la forza di condun-e una lotta da "soli". Il quadro non è certo incoraggiante e pen iamo che tali giovani saranno il ricambio dell'attuale clas e politica, quella che ci ha abituati alle stragi, alla mafia, alla corruzione e agli scandali. Marcello Colonna X~~ UNIVERSITA' DEGLI ADULTI AREASTORICO-ARTISTICA. Storia dell'arte.Storiadi Forlì.Storia delle religioni.Storia delle civiltà:gli Etruschi AREA DELLERELAZIONI SOCIALI E SALUTE. Noi e gli altri. L'apprendimento etticace. L'arte della negoziazione. Movimento e salute. AREA ENOGASTRONOMICA. Le cucine tradizionali: il Friuli Venezia Giulia. La Romagna: la cucina di primavera. Guida ai vini d'Italia:il FriuliVenezia Giulia. AREA DELLA MANU ALITA'. La decorazione su stoffa; Giardinaggio. AREA DELLE LINGUE STRANIERE. Inglese: 6 livelli.Civiltà inglese.Inglese commerciale. Tedesco: 3 livelli.Spagnolo: 2 livelli. PER INFORMAZIONI ED ISCRIZIONI: COOPERATIVA CULTURA E PROGETTO via Piero Maroncelli, 24 Forlì. Tel. (0543) 35256
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==