LAPIDI, MONUMENTI, NOMI DI STRADE: ITINERARI SIMBOLICI DELLA FORLI' OTTOCENTESCA Le lapidi cotte dal sole, sulle facciate delle antiche case del centro storico o sulle tombe del vecchio cimitero, attirano a mala pena la curiosità di un pugno di passanti frettolosi e di tratti, o sollecitano il gusto un po' "'rétro" degli ultimi eruditi locali. attardati e languidi cerimonieri della piccola patria municipale. 1clle piazze. i monumenti bivaccano tancamente, indifferenti alle attenzioni del popolo urbano dei piccioni (l'unica organiua- .lione ociale di es eri viventi che pare ancora degnarli di qualche con iderazione) e agli insulti che mani inconsapevoli hanno tracciato ulla loro bianca lavagna di marmo. Per il resto nulla. La città contemporanea, e dunque anche la no tra Forlì, in erita in un univer o emantico a carattere ormai planetario, avvezza ai meta-I i nguaggi pubbi ici tari. alle allu ioni emplici e emplificatrici, al consumo quotidiano dei valori (intercambiabili e de ti nati ad una precoce obsole cenza. al pari di una qualsiasi altra merce), conoce, comprende e accetta lo viluppo ipertrofico e parado sale del egno. mentre rigetta come intollerabile re iduo del pa sato - degno tutt'al più del "bric-à-brac" turi tico o cola tico - il simbolo. Eppure la per istenza del simbolo. la testimonian.la quotidiana di un valore ormai "storicizzato", ma non per que to meno vero. pc o affiora inopi natamente dal le macerie della città po t-moderna. ad onta di chi vorrebbe negarlo o rimuoverlo da quella basedella coscienza collettiva, profondata negli abis i dell'oceano della memoria, cui re ta ancorato con tenacia, e trema boa visibile sulla superficie apparentemente piatta detr identità urbana, di un'idea di cittadinanza impoverita e imbarbarita. E' con questo spirito che una corrente della toriografia europea va alla ricerca di un'archeologia urbana fatta di oggetti, non di carte, ormai elevata al rango di "fonte minore", di testimonian.la inequivocabile di un sentire comune, ora elitario ora popolare, altri menti irrecuperabile se non attraverso le mistificanti mediazioni della prosa letteraria, politica o tecnica. Si tratta di un intento insieme intellettuale e pedagogico: intellettuale, perchè grazie alla commistione di Op.lioni imboliche e civiltà materiale, l'Ottocento che ci viene restituito appare piLt concreto, più vivo. finalmente spoglio di quei paludamenti retorici co ì estranei al gusto carno, e enziale, dissacrante (ma lo è poi veramente?) dei tempi nostri; pedagogico, perchè dall'interpretazione corretta di que te "fonti minori" pa sa anche la possibilità del recupero almeno parziale di una memoria e di un'identità collettive. Recupero, è bene intendersi ubito, che non ha nulla ache fare con un'anacroni tica (né. for e, au picabilc) re taurazionedi un univer odi antichi valori, ma che attiene piutto tO alla fera dell' intelligibilità critica e con apevolc di un passatopros imo ancora ben pre ente. magari a livello incon cio, in certe forme dell'agire e del entire della notra comunità. C'è l'abitudine di leggere una pietra inci a o il nome di una trada con lo stesso atteggiamento con cui i sfoglia un album di antichi dagherrotipi: una via di mezzo fra la frettolo a ufficienza e il disincanto borioso di chi. figlio del "progresso", i ente immune da pose fin troppo ingenuamente rct0richeo luiosc. La mia idea è che occorra fare un passo avanti e penetrare nell' "atelier" del fotografo, dare un' occhiata ali' ambiente. ascoltare quel che dice la gente mentre ta per essere ritratta. Soprattutto, riuscire a scoprire perchèqueste personehanno scelto di far i fotografare e perchè in quell'atteggiamento e non in altri. Si tratta di una ca ualità?Oc'è dell'altro? Fu casuale la scelta, compiuta dallagiuntaforlivesefrail 1887 e il 1890, di rivoluzionare la toponomastica urbana, "secolarizzando" quasi il 50% dei nomi delle strade del centro storico attraverso la sostituzione delle vecchie titolazioni religiose con altre. attinte al patrimonio del medioevo "laico" locale del Risorgimento nazionale? Evidentemente no. L'amministrazione radical-repubblicana, al potere fin dai primi anni Ottanta, già da tempo meditava, auspice Aurelio Saffi, di mettere in sintonia lo spazio urbano con i principi della cultura democratico-liberale. el I882, Antonio Santarelli. archeologo e segretario comunale. aveva redatto un progetto di revisione della toponoma tica che avrebbe dovuto rendere la Forlì ottocentesca quasi un "calco" ideologico-simbolico dell 'antico comune medievale. Lo crupolo erudito si fondeva, in Santarelli, con un intento marcatamente politico: occorreva " altare" il lungo dominio pontificio e restaurare nella memoria collettiva gli incunaboli della democrazia laica fori ive e: appunto quelle libere istituzioni comunali che, non a ca o, erano oggetto di tudio e di ·'rivisitazione" da parte dell'intellettualità militante dell'Italia umbertina. Al sofisticato programma liberal-archeologico di Santarell i andò ovrapponcndo i l'impulso etico-religio o di Aurelio Saffi. Que ti, pur perua o dell'opportunità di cementare l'unità morale dei forlivesi intorno ad un •'idem enti re·· anticlericale e ghibellino, non sottovalutava, tuttavia, il potente strumento d'educazione delle plebi urbane che la frequentazione e l'evocazione quotidiane dei più bei nomi del martirologio patriottico avrebbero potuto forgiare. Di più: in una realtà ociale dominata dall'analfabetismo, la capacità persuasiva dell' "immaginario laico", ben più delle pagine di Mazzini, avrebbe certificato ai cittadini il pa saggio dall'epoca arcaica del potere temporale del papa ali· età del progresso democratico e della modernità. Per la verità, tuttavia, i progetti simbolico-educativi dei radical-repubblicani di fine secolo si differenziavano dal I' ingombrante retorica patriottarda, incontrastata dominatrice delle. ccneedcllcpiazzcdi Roma, Milano, Firenze e Bologna, per un più profondo rispetto dell'immagine preesistente del centro storico. scandita dai "vuoti" e dai "pieni" dell 'urbanistica settecentesca. La "monumentomania", contro cui si scagliava nel 1885 Felice Cavallotti dalle colonne del "Secolo", pareva non contare, nella Romagna "ros a", fautori convinti cd autorevoli. A u citare le attenzioni ed i misurati interventi delle giunte era, semmai, il con apevole ricorso alla "politica dei simboli" che mirava, più che a distruggere, a cambiar di segno agli clementi dell'arredo urbano: dalla •· ecolarizzazionc" delle strade alla "laicizzazione" dei conventi (divenuti cuolc o caserme), alla sollecitazione di un'eterodossia religiosa. vagamente laica e spiritualistica, di cui l'epigrafia cimiteriale e il "pantheon" forlivesi con crvano tuttora una vibrante testimonianza. Saranno quc ti i percorsi lungo i quali si nodcrà, nei mesi a venire, la no tra ricerca. Lapidi, itinerari "patriottici", interventi sulla toponomastica diventeranno indizi di una compie sa trama simbolica ancora leggibile nel tessuto rammendato e connessodella "nostra" Forlì. L'obiettivo? Un approccio non convenzionale ali' Onocento locale; i I tentativo di mettere ordine negli '·archivi della memoria" della cit• tà; la speranza che, attraverso l'evocazione di un'immagine o di un luogo, possa passare pure una scheggia di vita ociale. di tori apalpitante: quell' "atelier·• fotografico che conerva ancora intatto il uo mitero. Rober10 Balzani Bibliografia minima. Su Forlì: R. Balzani, "Aurelio Saffi e la cri i della Sinistra romantica ( 1882_ 1887)", Roma, Ed. dcli' Ateneo 1988; sull'Italia umbertina: B. Tobia, "Una patria per gli Italiani. Spazi, itinerari, monumenti nel!' Italia unita ( 1870-1900)", Roma-Bari, Latcrza I 99 I; infine, sul caso francese, il più conosciuto e studiato: M. Agulhon, "Hi toire vagabonde", I, "Ethnologiect politique dans la France contemporainc", Paris, Gallimard 1988. DESTINO DI UN EPIGRAFISTA di Roberto Balzani C'è una ragione per cui questascorribanda nella memoria collettiva dei forlivesi prende avvio da un anonimo polittico di famiglia borghe e, relegato in un angolo del cimitero monumentale: il capofamiglia di cui una lapide e emplare narra la storia fu for e il più eminente fra gli epigrafisti (come li chiamava Carducci) dell'età aurea della retorica urbana romagnola. Era quello il tempo in cui "comporre iscrizioni in volgare (pareva) assurgere alla gravità d'un affare di stato e importare meriti o demeriti politici": a tal punto che persino il poeta vate della Terza Italia, chernendo un genereche gli pareva invadere "a passi di minuetto llltto il campo della letteratura", "ruggì" invano "con la più catilinaria e asperazione" gli odii suoi contro la teoria continua di seccatori in ciarpa tricolore, pronti a qualsiasi piaggeria pur di strappargli qualche parola da consacrare ai posteri, incisa sulla pietra. Pio Squadrani, è questo il nome del no tro protagonista, al ruolo di gran cerimoniere del comune di Forlì giun e nella primavera del I 885, a trentasette anni, quando successe a Filippo Marinelli nella carica di direttore delle scuole elementari. Per i democratici. eSquadrani era uno di loro, avendo "sfolgorato" nella camicia rossa a Bezzecca e a Monterotondo, il controllo dell'istruzione primaria ri pondeva ad un obiettivo politico ed ideologico fondamentale: dalla qualità dell'educazione impartita ai giovani. infatti. sarebbe dipe a la po - sibilitàdi rafforzare l'identità nazionale epopolare impressa dai mazziniani al governo politico della comunità locale, e di comunicarne lo spirito informatore alle generazioni a venire. Pio Squadrani non era forlivese: originario di Savignano, cugino di Giovanni Pascoli, aveva errato per la bas a Romagna. alla ricerca di un'occupazione definitiva, con la moglie e tre -· - ~ --~ -·- ........ 'L.,u ...... l.nt ... __ v, .. 11'\.1..1 ,., .. ,.,...... . .. ..1 figli, come tanti intellettuali piccolo borghe i, di umile e trazione, perennemente in bilico fra una dignito a povertà. fra un'e i tenza appena decoro a, e il baratro della miseria. Erano tati anni difficili. La consorte, Lui a Pirazzoni, una donna consacrata interamente alla famiglia. devota, religiosa, evocata con la vivida immagine mazziniana dell' "angelo consolatore", aveva dato alla luce prima un ma chio. Eugenio ( 1875), poi una femmina, rsolina ( 1877) eancora, nel 1881, un'altra bambina, Ausonia. li piccolo, "fanciullo di memoria prodigio a, tutto grazia amorevolezza sorriso" era morto nel giugno I 880, quando ancora gli Squadrani non ri iedevano in città: una catastrofe che i arebbe ripetuta nuovamente nel I892, quando Ottorino, venuto ad allietare la famiglia quasi contemporaneamente al con eguimento dell'agognato "decoro·' domestico, era compar o, '·promettente aurora avvolta da notte cupa di morte". Fu allora che, divenuto fori ive e d. elezione, Pio volle riunire otto un'unica pietra i uoi due bambini defunti: a te timonianza di come il gu to retorico del cerimoniere municipale - che avrebbe dedicato a Fratti un'ode alcaica, ai circoli rossi tante invettive pregnedi roboanti prome e rivoluzionarie ed al comune, al uo comune "popolare ... lapidi indimenticabili - non fo epo a.vacuae uperficialea uefazione ad un genere letterario, ma un atteggiamento vi uto e offerto. ben radicato nel culto te o di un'identità familiare e borghe e, pur gelosamente guardata da un moderato, ma fermo riserbo. Sarebbe ingiu to confondere lo nobi mo accademico dei ·'tromboni·' della Terza Italia con repigrafi ta che alle tì il luogo fi ico necessario all'epigrafe della sua famiglia che immaginò for e le ste e parole ("fulgido esempio di virtù civili e democratiche" ... "educatore ommo" ... '·dalla uprema dolcezza degli affetti famigliari tra e conforto alla vita ...") con cui. in un cupo gennaio di guerra (era il 1917) la ua figura arebbe tata "fotografata" per l'eternità. Il maestro Squadrani, obrio poeta "urbano". era incero: pagò alla uaarte,quelladi formare una memoria collettiva. anche quando erano le per one normali. con le loro torie tri ti, a comporne la trama più vera, il prezzo di rendere pubblica l'intimità del dolore suoedei uoi cari. E mentre lo calpello narrava la vicenda di un borghe e piccolo piccolo. un bi turi immaginario squarciava il velo del pudore, estrema re itibile barriera posta a dife a di un "decoro·• domestico intri o di tante" pietate illu ioni". Tutto fuori luogo, a cominciare dal titolo. per passareallo spazio nelqualevieneospitato,alla posi- ;,ionedi ehi scriveegiungerelino all'oggeuo del contendere. Ma proprio perchétullo sembrafuori luogomi sonodecisoascrivereun testochenonambiscedefinirsi di storia dell'arte, per un giornale che non ambisce definirsi. Mi auguro che non risultino troppo fuori luogo leargomentazioniche andròpresentandopercontestare alcuneattribulioni in relazionea dipinti cheritengodi qualcheinteresseper la cultura tardomanieristaromagnola.Si parleràdi quattro opere conservate presso i I MuseoDiocesanoAlbani di Urbino: una Flagellazione, una Adorazione dei Magi, una Conversione di S. Paolo ed una Resurrezione, assegnateal pittore venetodi culturaromanaBattistaFrancodi cui si conosconoaltre operemarchigiane.Letelelle furonostudiatein occasionedella vastaesposizione dedicata e intitolata a "Lorenzo Lotto nelle Marche", tenutasi ad Ancona giusto un decennio fa e che fu momentodi riesameper la pitturadel '500 d1quella regione. Già in talesedeil confrontocon le opere certe del Franco faceva emergere 111 forma di anomalia quello spirito vivace, arguto,con accenti inclini ad una tenere7,.a divenila,cherestituisconolescene e i personaggidella nowa serie, et:, dall'impianto colto, ma OPERE FUORI LUOGO serioso, rigidamenteposato,che ricorre comestile in tutta la produzione del Franco. Dei quattro dipinti, che forse facevanoparte di un progetto decorativo più complesso,i curatori della rassegnaanconetanascelserocomeaccostamento privilegiato per la pubblicazioneincatalogolascena con la Flagellazione, forse per quellaimpostazionecentraliuata, lontana parente dcli' omonima opera romanadi Sebastianodel Piombo eseguita, tra l'altro, su disegnodi Michelangelo.Gli interventicritici successivicontinuanotuttaviaasottoscrivereil nome di BattistaFrancoal gruppodi tele urbinati ebisognarisalireal I972, e precisamentead un intervento della studiosaGrumieroSalomoni (in Arte Veneta XXVI), per trovareuna vocediscordeda tale assunto.Sen;,agirare troppo intorno all'argomento, vorrei vedere il quartello di tele nel corpus delle opere di Pier Paolo Menzocchi, forlivese, figlio del più famosoe geniale Francesco. ma che qualcosa di veramente intelligente ha saputodire nel dibattitoartbtico di fine '500, in una Forlì pittoricacontesaespartitada duefamiglie:quelladeiModigliani equella,appunto,dei Men1occh1. La ritrovata firma nella paladcli' altare maggioredella chiesadi S. Domenicoa Cesena (l'Adorazione dei Magi già attribuita al padre Francesco)ha re tituito a Pier Paolo, oltre alla dignità, un'operadi altissimo livello culturale, che parla un forbito linguaggio decisamente vicino ai modi del Vasari,sen7aquel tanto di suflicien,rnchespingeali' antipatiaquasituttal'operadel pittore estoriografofiorentino.PierPaolo, invece, riescea rendersisempre spiritoso ed anche là dove è aggiornato con formule alla moda non mancadi ispiraresentimenti delicati. on foss'altro che per quei visi che preferisconodare il profilo, con lo sguardoin tralice ribassato,che ricorrono in tutti i suoi lavori, compresi questi di Urbino. Il Cristo nagellato sembraavere un atteggiamentotimido, se non addiritturaassopito,piuuostoche la licrcna anaboli11atadel modello michelangiolesco.Nel mettere le mani avanti all'inizio di questoarticolettopensavochenon fossecertamenteil caso di inoltrarsi in contorti riferimenti tecnici acorredodellemieaffcrma1ioni, ma qualcosa va ugualmente detto. Oltreagli clementi tipologici delle quattro tl'lc anche la stesura pittorica s1 presentacomunealle altre opere del pittore forlivese: magra,quasi pro ciugata, per la sceltadi un·imprimiturasottileche lasciaemergerela tramadel tcssuto. Segnalo inoltre per la Flagella-;:.ione la concordanza compositivaconun'altraopcradel Menzocchi,conservatain Pinacotecaa Forlì, la quale.essendoinerita in un contestoiconografico (I Misleri del Rosario) che ne imponedimensioni ridotte. è eseguita qua i fosseun boaetto su tavola. Senzavoler entrare nella "punteggiatura" su interventi di altri studiosi, vorrei cogliere comunqueil momentoperesprimere unadiversaopinione in merito a opereche nel muscocittadino portano impropriamenteil nome di Pier Paolo. Intendo la seriedi affreschistaccaticon le S1orie del Vecchio Tesw111en10 delle quali, quelle apprc11abili, le ultime quattro, spettanoa mio avviso a GiovanFrancescoModigliani, restituendo clementi di diversa "maniera", informatasulla culturamarchigianavicinaal Baroccie forse a contauo con l'estroso Giorgio Picchi daCastelDurante (attualeUrbania). Per tornarealle opereurb111adtii Mcn1.occhi jr., sicuramente la Flagella-;:.ione, delle quattro. è la più riuscita o perlomeno la più unitariastilisticamente;lealtretre, che comunque,va ribadito, ~ono della stes a mano, ri entono di qualche ingenuità che ne rende claudicantel'equilibrio compo itivo. mad'altra parte onoqueste o cillaLioni, questanon costante tenutae pre siva,checarattcriaa tutta la produzione nota di Pier Paolo Mcnzocchi. E' un innesto nonsemprefruttuo o quello tra la radiceaccademicafiorentina. acquisita nella frcqucntaLionc dei cantieridi Palauo Vecchio.con il clima domestico,dallo pirito affabile, che Pier Paolotrova di ritorno a Forlì. Qui le celte intimiste del padre giàvecchio,aiutatodal più modestoSebastianos, pingonoil nostro piuorc adabbandonareprogressivamenteogni accentoepico per la ciar spa;,ioad un narrarepiù semplice,adunapoesiacondecoro. Massimo P11li11i. P.S.I quattrodipinti sonopubblicati nellaguidadel MuscoDiocesanoAlbani di Urbino (Edi,ioni Caldcrini Bologna). Per chi vuole saperne di più su PierPaoloMcn10cchiconsiglio la lettura di "Imago Virginis" (Cesena 1988) acuradi MarinaCcllini con unaschedaredattada Marina Monticelli. li libro è disponibile presso la Pinacotecadi Cesena.
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