Terza Generazione - anno II - n. 12 - settembre 1954

eminentemente << di capitali » non esiste più, anche se queste ultime realizzano un fondamentale passo innanzi nella strumen– tazione tecnico-giuridica, rispetto alla pnma. Le qualità umane funzionali dell'impren– ditore borghese consistevano essenzialmente in quel particolare atteggiamento di fron– te alla realtà, dovuto a uno spirito di co– raggio, di avventura e dj rischio, che to– talmente impegnavano la persona che im– prende, sino alla radice del suo essere. E tali qualità sono ancora oggi per chi le pos– sieda quelle che si manifestano attraverso la dimostrata capacità di superare le diffi– coltà della competizjone di mercato me– diante un non espresso ma reale atto di cre– dito verso uomini e cose che costituisce la segreta base della capacità di indebita– mento. In questo senso, giustamente, è sta– to detto - e non solo in sede strettamen– te tecnica - da un economista bancario che « capacità di debito è capacità di cre– dito ». Del resto si pensi, ad es., alla diversa fun– zione e signjficato dell'istituto del falli– mento, nel breve volgere di quaranta o cinquant'anni: all'inizio, la sanzione fal- limentare coinvolgeva l'onorabilità di una persona e comportava in certi casi il su1- c.i4io dell'imprenditore; oggi, in casi non altrettanto infrequenti, si assiste all'uso dello stesso addirittura come modo sistema– tico di aumento di rendita. E' vero che ta– le constatazione vale forse soprattutto nel caso delle piccole e medie imprese soffocate da un mercato che non permette la loro lievitazione economjca, mentre altre di di– mensione superiore sussistono in virtù di salvataggi posti in essere dalle generiche e talora imperiose esigenze della « socialità >>, 1ssu.mendo così carattedstiche in1prenditivo– statuali « infallibili ». In breve, pare fatto incontrovertibile che l'impresa autentica non lasci eredi legittimi. Ed è un fatto che lascia a taluni sempli– cisticamente pensare sia questa l'ora in cui, ai fini di una ripre a della figura impren– ditoriale come figura di interesse pubblico, il olo Stato, ad esclusione dei singoli, deb– ba. farsi imprenditore generale. Ora·, se si guarda l'odierna realtà tenen– do conto di queste osservazjoni che met– tono in luce, sia pure solo per accenni, un (atto d.i innegabile evidenza, si può conve– nire che il tasso di ricambio e di fQrma– zione dell'imprenditorato va rapidaniente de– crescèndo, con le più gravi conseguenze per la società intera: la riformazione con– tinua di uom1n1 socialmente spostati, il doloroso soffocamento di molte prez10se energie nuove (quelle consuetamente im– previste dalla tradizione), mancate econo– mie, mancata formazione di ricchezza, man– cate dimensioni ottime dal punto di vista cconomico-un1ano. L'addebito del pesante retaggio di questa situazione umana (ripeto, umana, mo1to pri- BibliotecaGino Bianco 1na che strutturale) è sopportato dallo Sta– to, al quale si addossano ad un tempo tutte le funzioni risolventi e tutte le responsa– bilità. E' l'addebito dal quale prendono continuamente aljmento le posizioni liberi– stiche e socialistiche che sembrano tuttavia riconducibili ad un'unica comune posizione, sostanzialmente pessimistica nei riguardi dell'uomo, secondo la quale si fa debito o credito non tanto agli uomini ed al loro va– lore, in quanto tali, ma al loro supremo strumento coordinatore politico, che è lo Stato. La mancata formazione di nuove ener– gie imprenditive è dunque un dato di si– tuazione umana che comporta per ciò stes– so problemi di cultura, di educazione e di moralità, prima che problemi politici, istitu– zionali, tecnici, di struttura, di « formazione di quadri » o di « assistenza tecnica e so– ciale ». Ed in que~t'ordine d.i idee, che è l'ordine del rispetto della missione dello u01no nella storia, tutto è da rivedere co– scienziosamente: poichè il problema dello aumento della « ricchezza globale » della nazione, o del « reddito nazionale », che permetta la ripresa della fase espansi a dell'economia, può essere in tanto miglio– rato e promosso dall'intervento dello Stato, 1na a lungo termine, nella sua verità di fondo va risolto dal basso e cioè mediante la reale e non solo verbale scoperta e uti– lizzo della « ricchezza globale » di ogni persona considerata per se stessa (questo ut.ilizzo, di cui l'introduzione della macchi– na nella civiltà industriale, non rappresenta che il primo passo), mediante l'jmpiego di quel « risparmio occulto » che risiede nelle quotidianamente acqu1sJ{e capacità personali di ognuno a farsi promotore di ricchezza, impiegando bene se stesso, prima che la propria eventuale carta-moneta. Ci troviamo invece oggi di fronte ad una Lendenza secondo la quale il mercato dei capitali, puran1ente fondato suil'incentivo-lu– cro, fa sistematicamente sottovalutare 13 fondamentale esigenza sociale e personale dell'impiego di se stessi, ossia di quanto vi è di megl.io in ciascuno, nella scelta del– le migliori combinazioni dei fattori della ricchezza. In effetti, la necessità dell "impiego del capitale monetario (il quale peraltro è ta– le in quanto per lo più frutto di un prece– dente invest.i mento personale)· al più alto tasso - e quindi necesariamente purches– sia - distrugge lentamente il bisogno di cc combinare » nel miglior modo se stessi con la propria « fortuna ». E' una tendenza sintomatica, che denuncia il mancante svi– luppo di imprenditori in una economia - clel resto per ragioni obiettive - asfittica come la nostra. Nel conten1po si assiste ad un fenomeno solo .in apparenza opposto, ma che in real– tà scaturisce dalla stessa incapacità di con1- bi nare persona e capitale correndo il giu– sto rischio ed è il fenomeno per cui buona parte della massa imprenditoriale tradizio– llale della nazione, non vuole più correre rischi, talora rinunciando persino al rischio di massimizzazione della rendita, per pre– ferirne la cc sicurezza ». Ed in questo stato di cose, s'inquadra ~uella particolare figura sempre più politiciz– lata dell'imprenditore della grande società anonima, costretto a giocare la sua abilità e le sue capadtà, tra le deliberazioni della Assemblea azionisti ed i vincoli delle po– litiche economiche, più che tra quelle real– tà prepolitiche e preaziendali che nell'im– prenditore originario erano jl vero banco di prova dell'efficacia della sua funzione. In realtà, non si può non tener conto di quella effettiva negatività morale e di co– stume, racchiusa nell'ideale del cc v,vere di rendite » (al quale corrisponde per al– tri aspetti quella del « vivere al sicuro » ne– gli impieghi pubblici) purtroppo coltivato da molti imprenditori effettivi e potenziali (i puri e semplici abbienti): propriamente, non vale dire che il possesso della ricchez– za ed il consumo del reddito - come ta– lj - vanno a vantaggio del mercato e quin– di della società; invero, sono peso per la società, molto più i redditieri semplici che i disoccupati strutturali: nel senso almeno che per i primi è prat.icamente sempre pre– sente qualche elemento omissivo nel vasto campo del fattibile; n1entre per i secondi è possibile cessare di essere di peso per la so– cietà solo quando vi si possono inserire condizioni di radicale novità. Nella presen– te situazione rimane ad ogni modo sempre redditizio e vitale ogni fatto imprenditivo in quanto è impiego personale qualificato e re– sponsabile, con effett.i dinamici sulla strut– tura stessa. E' certamente sintomo della decadenza imprenditiva la rilevazione fatta dalle ge– rarchie della Chiesa Cattolica nei frequen– ti interventi di cc dottrina sociale >> dove si deplora insistentemente la cc ricerca sfrena– ta del guadagno e del potere >>, che sot– tintende lo squilibrio tra il risparmio in– vestibile ed il consumo, a favore di que– st'ultimo, quando è presente una forte quo– ta di spese voluttarie. E' una rilevazione di valore morale unico, ricca di profondi riflessi nelle considerazioni fatte sopra: que– sta ricerca, sostanzialmente materialistica e tesa alla eliminazione del cc rischio della vita » (o più precisamente nel nostro caso, del « rischio di impresa ») riflette indiret– tamente il livello qualitativo medio im– prenditoriale rlella società e della cultura contemporanee. L'illusione di potere eli– minare i rischi personali, di poter sostitui– re il deuaro o l'automé!tismo all'ingegno e all'impegno, come pure l'illu ione di poter fondare gli stessi più legittimi desideri uma– Ill e sociali su11 'onnipotenza dello Stato non sembrano poter durare a lungo. Per questo ripetiamo, con quella genericità non peraltro gratuita, essere nece sario non at– tendersi più dallo Stato funzioni che strut- 27

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