Terza Generazione - anno II - n. 12 - settembre 1954
,ne un'alta opaca processione di figure e gesti insoddisfatti, non placati. come una vita passata che volesse ancora tro– vare sfogo a forza, nelle ininzagini sopr~vissute e ancor~ vitali. Ali ricordo quando passavo davanti alle catenelle di ferro che erano appese ai fianchi dei portoni e non servi– vano più a nulla. Sotto di esse la ruggine aveva segnato dei cerchi ferrosi che colla pioggia scolavano in lunghe tracce per le pietre e gli intonachi delle facciate. Eppure davanti a quelle cose insignificanti ini111Jaginavo una forza spenta: un tenipo a quelle catenelle i massari attaccavano le be– stie quando attravt'rsavano a cavallo le vie del paese, e le facevano risuonare dei ferri degli zoccoli; non andavano ,nai a piedi e scendevano solo davanti alle case. Forse era– no stati loro a inventare quei portoni alti e intagliati co- 1ne statue. Le volte nude sotto le quali passavo 1ni facevano pensare a carretti carich1·, a scarpe chiodate di contadini, a garzoni scalzi e voci allegre di gente che scaricava e por– tava dentro, come in una fiera, mentre la famiglia guardava da finestre e balconi: e ora nell'aria di quelle volte tutto stava stanipato e inquieto. Non posso dimenticare quel giorno che entrai nella oasa di zi' Raffaele: lui era già ,norto, trascinato dal cavallo imbizzarrito per la via di Can– neto e ogni volta Erminio in quel punto di diceva: '' Qui è rnorto zi' Raffaele ", e io mi mettevo a immaginare le pietre su cui aveva battuto la testa lucida e rotonda (me lo ricordo conie un sogno, con la faccia scura e secca). Le volte della sua casa erano basse, ma le stanze larghe comie ,nagazzini e vi si sentiva l'odore di grano asciutto chiuso nei cassoni alti, e di olio vecchio dentro le grandi pile agli angoli delle stanze. Mi pareva che zi' Raffaele si muovesse ancora da un punto ali'altro e non sapesse stare senza toccare ogni cosa con le sue mani vecchie, già prese dal treniito, nia se1npre sicure; e sentivo le voci della gente per il paese: " Tutta la roba sua se n'è andata agli altri! ": e quella solùudine popolata di gesti e di echi mi confon– deva. Della casa di zi' Raffaele erano riniaste le· mura e forse solo quello era destinato a restare: nia quando ci si passa davanti, viene sempre in mente qualcosa di più va– sto, come se lì dentro fossero andate a finire tutte le fati– che, giorno e notte, di zi' Raffaele e di quelli prùna e dopo di lui. Le chiazze di intonaco caduto sulle faccia te dei ga– lantuomini e i portoni socchiusi, mi facevano pensare che i padroni tenessero ancora le case aperte ma si f assero ri– tirati in un punto nascosto dove nessuno poteva andare a trovarli e non volessero più saper nulla degli altri. M' aff ac– ciavo agli atri silenziosi e, a vedere pezzi di stucco e ver– nici, mi veniva in mente una folla che un tempo entrava e usciva, due grandi file di gente come formiche: ma poi gli ingressi vuoti restavano come la bocca di un vecchio svanùo, aperta per la stanchezza (forse quella di un vec– chio galantuomo che vedevo uscire da una di quelle case, se1npre vestito di nero, alto, con una pelle liscia e bianca conie un banibino, 1na un poco tuniida e appesa da ogni parte. Camminando pendeva da un lato e noi ragazzi gli andavamo attorno e gli chiedevanio: " Don Filippo, dacci " nu soldo " e lui non rispondeva mai nulla come se non intendesse più o non volesse curarsi di nessuno, sdegnato). Tutte le case dei signori forse sarebbero finite come quella di don Crisante, dove io andai a scuola la prima volta. La facciata lunga, storta, sporgeva e rientrava con le svolte della via selc1:ata:gli spigoli delle mura ricoperti di intona,– rhi, smussati, arrotondati e ombrasi, mi facevano sempre ibl.iotecaGino Bianco pensare ad un vecchio inganno rimasto nascosto, perchè sotto la calce risecca ini1naginavo tutti gli spigoli delle case, una dopo l'altra, che don Crisante aveva preso e riu– nito per sè, stendendovi sopra i suoi intonachi. Dentro, ad un angolo dell'atrio, coperto di grandi travi e tavole, sa– liva alle stanze una gradinata alta, larga, di tufo nudo, come fosse solo l'armatura di quella di un tempo dove sa– livano e scendevano donne affaccendate. Sui niuri, sulle por– te rimaste, su ogni cosa, la scena della vita agiata di don Crisante corrosa, raschiata, pareva raf-fiorasse continua– mtnte: e io stavo tra quei resti niassicci e spogli conie quando davanti agli ossi spolpati si immagina l'allegria cessata di un banchetto di sposi. E tutta la casa vuota, in– custodita, appariva già pronta per uno che volesse rico– minciare da capo e tornare ancora allo stesso punto. l\1a forse l'immagine cornpiuta della storia paesana, animata, travagliosa eppure sterile, era il 1nuro del M ur– rotto, perchè sentivo che su di esso erano passati gli anni e i secoli e non vi avevano lasciato altro che ' 1 cuoppi 11 : Sotto il muro sboccavano certe buche senipre sporcht di limo nero e io pensavo che si allargassero se,npre, corro– dendo le case dei contadini conie una malattia cancreno– sa. Mi pareva che orniai quelle case si reggessero a stento, povere pietre accatastate l'una sull'altra, e la gente conti– nuava ad abitarci, senza saper nulla e ci aveva le finestrel– le con il garofano e il prezzemolo: eppure quelle case mal– sicure per l'occulta minaccia, 1ni davano riposo a guar– darle e desiderio di vivere sotto le pietre sconnesse. Ma il momento più penoso della giornata era all'ini– brunire, quando cominciavo a chiamarnii da tutte le parti per paura che mi sperdessi e dovevo tornare davanti alla porta. La piazza era completaniente calata nell'ombra, 1·1 cielo alto sembrava di vetro e le pareti delle case gelide e crude. L'aria bruna della sera scendeva inquieta aspet– tando l'oscuro: e tutta la pi·azza era un vuoto rarefatto, ansioso. Pareva che si sentisse il coro dei discorsi dei con– tadini di ritorno dalle canipagne, avvicinarsi senipre di più: il paese era ancora niuto, ma conze se stesse per scioglie– re il silenzio. Fu in uno di quei 11io1nenti che vidi " il ca– valluccio delle streghe " cercare di salire sulla soglia della nua casa. I ragazzi ni' avevano insegnato a riconoscerlo ed era tutto nero con il dorso ricoperto di una placca lucida. Si aggrappava alle ruvidure delle pietre con certi dentini aguzzi come seghette che aveva alle zanipe alte, e nientre si muoveva lentaniente, le gi·unture delle articolaz1·oni era– no così evidenti, precise e meticolose, che a 111,e pareva 1nol– to più alto e quasi 1nostruoso. Ogni tanto cadeva riverso e la placca del dorso batteva colpi secchi sulle selci; agi– tava le zampe come fosse adirato, riusciva a rialzarsi e si metteva di nuovo a ca1nminare. A nie pareva che nella sua lentezza ci fosse un'ostinazione nialigna nel condurre l' as– salto alla mia porta. Allora andai a prendere una pietra e quando cadde un'altra volta riverso gliela buttai addosso. Improvvisamente irrompevano vociando frotte di ra– gazzi come se sfogassero un lungo desiderio: e già non riu– scivo a seguirli per l'oscuro ma sentivo le voci rincorrersi, come la sera un giocare a nasconderella per le vie. Da tut– te le entrate della piazza comparivano i contadini; veni– vano donne e ragazze a prendere acqua alla fontana con le tine e le terrecotte: le parole, 1·gridi e le risa si mischia-
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