Terza Generazione - anno II - n. 12 - settembre 1954

Letture Paese d'Abruzzo, monumento· di cose mancate La casa di niio zio era grande e piena di onibre 1·n niezzo alla piazza. Di fronte vi erano case alte e squadrate, con spigoli di pietra viva, che, in confronto_ alle altre bass~ e irregolari, parevano ricavate, compatte, in un blocco di roccia che un tempo si levasse lì di fronte'. Ai fianchi della casa scendevano due vicoli senipre umidi e ricoperti di un sottile sedimento nerastro. Uno era cieco ma al fondo si apriva una buca affogata di fanghiglia; nefl' altro abitava Giovannino di Camillo e la porta della casa era alta e larga come quella di un fondaco. Giovannino saliva dal vicolo quando non aveva denaro per il tabacco da fiuto. Veniva avanti per la piazza tutto torto, supplichevole, e s'accostava addosso alla gente, strisciando: nia gli si ve– devano occhi voglios·i errare irrequieti, insofferenti dentro le palpebre, acquose conte quelle di un cane. Si portava ,nuto, iniplorante due dita al naso, strette come un pizzico per dire che voleva fiutare e non ne aveva. E se gli davano il denaro si raddrizzava subito e si nietteva a magnificare pubblicamente ad alta voce, con grandi gesti per la piazza vuota e per il vicolo. Se ero in casa restavo sorpreso per– chè mi parevano esclamazioni in un luogo deserto e mi fa cevano avvertire iniorno il vuoto della grande casa. Nei ponieriggi d'estate la piazza era completamente vuota; solo qualche gallina passava sbadata e canticchiava e i cani traversavano rapidi conie fossero inseguiti dalla calura. 1Vessun rumore' veniva dalle case di fronte e le porte, le finestre allineate e gli scuri delle finestre, tutto era ben chiuso, serrato. La, gente dormiva. La luce del sole cadeva impallidita per le mura alte delle case e le rico– priva di una lustra giallognola. A vedere quelle pareti in– tere e i vani delle porte e delle finestre avvolti dalla patina lenta e nvucosa del sole mi immaginavo che le persone fos– sro impedite dal languore e quasi murate. Non appena suonavano i trenta rintocchi della campa– na grande, cominciavano a svegliarsi. Le porte interne, gli sportelli dei balconi sbattevano colpi secchi come se un moto nervoso, rabbioso, avesse improvvisamente colta la gente al risveglio e si sentivano nelle stanze trascorrere voci arrochite dal sonno. Subito la piazza calava interamente in un'ombra di tramonto. Solo sotto i tetti orlati di file r~ssiccie d~ '"':°:ttoni, restavano ancora grandi liste sghembe di sole e si ritiravano per le pareti lucide come bava di Lu- 1nache: ma sopra i tetti e la piazza il sole ancora raggiava forte per il cielo. In quelle case abitava gente che il giorno non anda– va a lavorare. Ce n'erano parecchie intorno alla mia, al– cune non troppo diverse da quelle dei contadini: ma io le riconoscevo sempre da qualche particolare, da minuzie che mi davano un senso di differenza acuta. Ricordo lo smarrimento che mi prendeva davanti a certi battagli dì ottone clie incontravo appesi ai portoni verniciati; o ai por– tali di pietra cruda, alti, squadrati, intagliati di cornici e fregi, incastrati in pareti n11isere, tanto che parevano ca- ) ib·liotecaGino Bianco taste di pietrame per tenere in piedi i portali, come una mostra. Certe volte, a una loggia sostenuta da archi, vedevo una ringhiera ornata di foglie e di ferro battuto, vasi di coccio e, dietro, balconi con persiane sempre chiuse: e tutto nii suggeriva l'idea di una distinzione, di una vita diversa che si svolgesse al di là della parete alta, arretrata sulla loggia, come per non avere soggezioni. Un giorno, salita una scalinata interna, rni trovai all'iniprovviso in un gran– de salone ùnnierso nell'onibra: m;a mi pareva di scorgere, intorno intorno alle pareti, migliaia di cose sparse come in una mostra se1npre apparecchiata. In un altro salone, dove nii portavano più spesso, dalle tende del balcone di un log– giato, dritte come se non si spostassero mai, veniva una luce bassa velata. Intorno alle pareti c'erano armadi, cre– denze, con grandi vetri e nei ripiani si vedeva la roba espo– sta: e io pensavo se chissà qualche volta la s1nuovevano di lì. Nello spazio libero c'era un tavolo lucido e, a fianco, una sedia a dondolo su cui però non si andava mai a met– tere nessuno, come fosse intoccabile. Gli stessi padroni sembravano solo i custodi di quella roba e quando entrava gente, l'accoglievano con sorrisi quasi malinconici e s'an– davano a mettere sulle sedie éom•e se si ritirassero in di– sparte e di lì partivano parole e s'incrociavano per l'om– bra del salone. I o stavo seduto sull'orlo di un divano, un poco i1npacciato, sperando che non si accorgessero di me: ma certe volte quella gente tutta insienie si ricordava di me, si rivolgevano a nie e ni'1.nterrogavano: allora io avrei voluto fuggirmene, tanto soffrivo. A volte dalla piazza rni a!Jacciavo agli imbocchi delle vie e le scorgevo fiancheggiate di case e piazzuole, con 1· crocicchi folti di spigoli: e sui niuri, sul selciato, il vuoto desolato soffocava continuamente un senso di vita cessata da poco, ancora fresca. Allora riparavo in qualche casa ri– masta aperta di contadini e di povera gente. Una aveva scalini alti fatti di lastroni di pietra e ci abitava la " sco– papiazza ", la spazzina. Arrivava con la scopa di ginestre secche e i capelli sfatti, nerissimi, e non restava niolto in casa, quasi che non resistesse e dovesse andarsene conti– nuanoente come una pazza, scalza e scapigliata, per le vie del paese. In un'altra casa c'erano un sedile alto, di quer– cia lucida per il tempo, dove 1ni ,piaceva sedere e sentire lo schienale ripararmi conie un incavo fresco, e zia Lu– cia mi parlava avv·icinando la sua faccia alla n1. 1 ia quasi avesse sempre dei consigli segreti da darnii. l\,'1a quando, fuori, 111,i rivedevo attorno le porte e le finestre rùnaste chiuse, inz1naginavo al di là di esse dei vani paurosi ed assorti come quando per le canipagne si spegne un gri– do. E mi prendeva desolazione davanti alle facciate delle case contadine pensando che ci avessero niesso anni ed anni a raggiungere quell'aspetto inimobile e sfatto, di fronte all'abbandono che ogni rnattina la gente rìpete·va per andare a lavorare. Così me ne scendevo sotto la casa, in un luogo che

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