Terza Generazione - anno II - n. 10-11 - luglio-agosto 1954

sostanzia/niente, partendo dal riconoscimento di questa contraddizione (che se è necessariamente di sempre, è oggi di una gravità drammatica) e nel desiderio di superarla. Ma sarebbe illusorio, nella condizione umana di oggi, vo- ler risolvere questa fondamentale contraddizione accettan– do il dilem1na tra un giudizio totalmente catastrofico del dato esistente e un totale rinnovamento. Gli apologeti della moralità come piatta adesione al dato ne sarebbero, per la forza delle cose, necessariamente convalidati; <li fronte all'utopia, l'esistente, il pur minimo dato concreto, ha sempre la vittoria, pur nella sua radicale insufficienza e insoddisfacibilità. Non risponde a verità, il crearsi da parte dell'uon10 l'utopia delle azioni da compiere; che alla fine si riduce in comportamenti vani e falsificatori della vita. Non si può fare nè più nè meno di quello che si deve fare. Questo non significa compromissione, lassi– smo morale; ma concretezza misurata sulla verità; significa rinunciare all'alternativa tra un'azione da compiersi solo in base alla condizione storica di ogni momento oppute solo in base ad una totale prtdeterminazione. Come tale, è il solo comportamento che risponda a ciò che l'uomo è, al riconoscimento della sua capacità di libertà, di in venti– vità; di novità; da un lato; e dall'altro del suo vivere in 3tretta correlazione a tutta l'umanità e a tutta la ...,toria passata presente e futura. E quindi capace di effettivo svi– luppo. Ed è il solo comportamento capace di rompere il de– termini mo, in cui inconsciamente tutti ci muovian10 (con il conseguente totale empirismo) e di rompere il moralis1no ln cui possiamo continuamente isolarci e ingannarci. IL « quid agendum », se si crea sul piano della verità, ha per criterio la ricerca dell'òrdine che è in1nuznente al dato storico pur sotto l'agitarsi del disordine; e consiste nel.:' ac– cettare di conipiere le azioni che sono richieste da questa inimanente razionalità. E' questa la prima condizione per fare coscienteniente la storia: rimettersi a ricercare l'ordine vuol dire caricarsi di tutte le potenziali con eguenze: dagli 1 atteggiamenti alle opere. 4. - Uscire dal disordine per ritrovare l'ordine è pur l oggi possibile, sul piano della moralità; un'azione morale è I possibile, perchè sotto il disordine esiste sempre una ra– zionalità del dato e della storia; esiste sempre una zona di risorgente spontaneo ordine, di insopprimibile ordine, in quanto è direttamente legato alla natura e alla Provviden– za. E' solo questo legame che oggi sostiene le tensioni e la moralità di ognuno. La sofferenza di questa condizione sta nel non riuscire a vedere lo svolgimento con1plessivo delle azioni umane e quindi l'esatta incidenza personale. E' questo, del resto, il prezzo della crisi~ da ogni parte de– nunciata, per quanto si riferisce alla vita morale del– l'uomo. Non si può che partire da qui: da questa condi- . z1one. Nello stabilire rapporti di giustizia fra uomo e uomo: è questo non solo logicamente il luogo primario dell'or– dine, ma è, oggi come oggi, il solo possibile: andare oltre questa possibilità vuol dire scegliere l'utopia. Nello sta– bilire dunque rapporti, in cui le azioni abbiamo una mo– ralità im1nediatamente sicura; azioni semplici, la cui bon– tà risulti sempl,ice e ch1:ara: naturalmente connessa con un criterio di giustizia i1nmanente nell'uomo. Perchè que– sto avvenga e sia il fatto primario di direzione della sto- BibliotecaGino Bianco ria, occorre il rispetto di una legge primaria dellJumanità La legge della vita. Nel rapporto tra uomo e uomo, l'a– zione deve risultare continuamente e ininterrottamente ge– neratrice di vita per sè e per l'altro uomo, l'uomo concre– to, con cui il rapporto si stabilisce . Il fine di ogni azione, per risultare vivificante per l'uo– mo che lo pone in atto, deve essere, in modo rigoroso, la vita; lo sviluppo di vita di tutta l'umanità. Bisogna non solo rinunciare alle leggi di costume, di clientela, profes– sionale o politica; bisogna rinunciare a tutte le scelte che portino, in un modo o in altro, ad accettare sia pure di fatto e a n1alincuore il soddisfacimento dei propri inte– ressi particolari, dei propri piaceri, del proprio egoismo come criterio primario del comportamento. L'azione non è più morale, e come tale, è meno uniana, quando sia non solo dannosa e niortif era per il prossimo; ma anche solo indifferente verso il prossimo. La strada della propria vita e del proprio compito vivificante passa per la vita di tutti gli altri, per la strada della vivificazione di tutti gli altri. Questo è possibile legandosi ai problemi più profondi e più veri degli uomini, che sono poi i problemi più semplici e puri, che ogni 1nomento sono in noi e negli altri. E' di questo fondamentale atteggiamento e compor– tamento che l'umanità ha oggi ~isogno, ed è questo che oggi solo è po sibile per ri1nettersi nell'ordine. Un atteg– giamento e un co1nportaniento che chianiiamo d'integra– zione tra uomo e uomo, di coniune e continua genera– zione di vita. Di qua e oltre il ricatto continuo del dato, della situazione, è possibile rompere il ricatto inserendosi nell'ordine, cercando ognuno il suo posto nell'ordine. Ora in che cosa con iste l'ordine umano nessuno lo sa, se non ogni uomo per se stesso, se è vero che l'uomo è una qua– lità unica e insostituibile; ma ogni uomo lo ritrova e rag– giunge solo in un rapporto vitale d'integrazione. Così, le– gate a questa tensione nascono ie azioni comuni, proprie dell'uo1no comune; proprie cioè di ogni uomo come uo– mo. In tale 1nodo tutto ciò che fino a questo momento è ignoto, nascosto in un anibito assolutaniente privato e ri– schia di niorire, si fa noto, si conosce e si rende visibile a tutti. E' l'uomo stesso che da ignoto e inconoscibile di– venta noto, manifesta cioè quella ua unicità e insostituibi– lità, tale che tutti gli altri lo riconoscono come uomo e come portatore di una realtà vivificante per tutti. L'uomo finisce di essere uon10 della strada e diventa quello che abbiamo voluto, magari in modo appros imativo, dire uo– mo comune. E la storia vera è fatta, al di là delle apparen– ze~ ~a tanti ~tti comuni resi noti, e dalla moralità degli uo– m1n1 comuni. 5. - Tutto questo vuol dire, perciò, credere nella to– tale libertà umana capace, per definizione, di ininterrotte e infinite manifestazioni di vita. L'integrazione non si– gnifica occulta1nento o annullamento di personalità, ma il luogo dove la libertà si manifesta e si libera. Proprio per questo sarebbe erroneo proporre schemi determinati. Se c'è qualcosa da proporre è un'ideale niorale, è alnieno, allo stato degli atti, una tensione e un atteggia1nento 1no– rali. Per questo avevamo la presunzione di porre dogm 1- ticamente questo problen1a come pregiudiziale. Perchè ciò che ci preme, risiede nella richiesta e nel tentativo che nuove realtà, nell'ordine, si vadano creando, nel luogo og- 3

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