Terza Generazione - anno II - n. 10-11 - luglio-agosto 1954

L'uomo, la moralità e lo Stato 1. - Il fallimento dello Stato come punto di riferi- 1nento alla moralità dei cittadini, e quindi il progressivo sostituirsi della legge della giungla alla legge dello Stato, significa che non è oggi possibile agli uomini una esatta con1prensione dello volgimento storico in atto e quindi una sua effettiva direzione. E' questo, in radice, il motivo per cui non è dato oggi agli uomini stabilire, in termini generali; ciò che è valido e ciò che non lo è, cosa debbano fare e cosa non debbano fare. E la capacità di decidere per il bene, di rispondere concretamente alla domanda che empre l'uomo si pone « che fare? J>, « quid agendum? » la moralità; si va progressivamente ritirando nell'ambito privato e qui cerca la sua difesa con il pericolo persistente di corrompersi nel continuo ricatto che la situazione pre– senta, di non riuscire a trovare un punto di verità e di concretezza tali da migliorare la situazione. Se i termini in cui il problema fu posto su questa ri– vista (nel n. 9), sono plausibili, l'alternativa cui oggi sia- 1no di fronte consiste nell'abdicazione, alla fine, a questa, stessa capacità di decidere per il bene, cioè nell'abdica– zione alla vita; oppure in una tensione a chiedersi conti– nuamente: chi siamo? doYe siamo? che cosa è possibile fare? 2. - Per non rinunciare alla vita, per non accettare rabdicazione non basta opporvi una tensione morale ge– nericamente invocata e predicata. Occorre porre il proble– n1a del piano, del luogo dove questa tensione può non va– namente operare e crescere. In altri termini: se viviamo nel disordine; qual'è la strada per ritrovare l'ordine? Que– sta strada non è quella della politica e quindi non quella delle operazioni dello Stato. Lo Stato è il garante, non il creatore dell'ordine morale. Non è proprio allo Stato - e dunque gli è imposibile - mettere ordine al disordine; nè che lo si voglia considerare, lo Stato, ai vertici; nel n1omento di direzione della comunità; nè nel momento in cui si genera, si costruisce, dal « basso » ( come qulacuno po– trebbe aver equivocato da nostri precedenti discorsi). Ri– mettere in movimento la « base » dello Stato, adoperarsi a individuare idee e operazioni per questo significa met– tersi nell'unica strada percorribile al fine di rifare lo Sta– to, non di ritrovare l'ordine 1noralc. Lo Stato, come tale, può solo inserirsi in un niovirnento di ordine già esisten– te, e rendersene garante. Se fosse vero il contrario, tutta la vita dell'uonzo dipenderebbe, in modo necessario, dallo Stato. !vlentre, posto che l'uonio è una sostanza, una qua– lità insostituibile, e perciò un modo di essere insostitui– bile e necessario, è il rapporto tra uonio e uomo che ha valore priniario. Del resto questo concetto sembra essere accettato dalla cultura moderna guando affern1a che l'uo– mo è il soggetto della storia; da cui consegue che perchè la "toria sia storia è nece sario che l'uomo sia uomo, che a ibliotecaGino Bianco ogni uomo, in altri term1n1, sia concretan1ente possibile lo sviluppo pieno - e non distruttivo di sè e di altri uomini - del suo essere, nell'ambito personale, nell'ambito della fa– miglia, nell'ambito di tutta l'umanità. E' questo svilnppo pieno del suo essere, del resto, che solo permette all uo– mo di farsi riconoscere come tale da tutti gli altri uomini.; non tanto come occupante un posto o un altro nella co– munità, non come provvisto di una tecnica o di un ta~ lento, n1a esattamente come portatore di una realtà uma– na che è propria ed infungibile della sua umanità e quindi diversa da quella di ogni altro. La non esplicitazione cli questa realtà porta diretta– mente a una perdita per tutta l'u1n anità; e l'umanità ha bisogno a che ogni uomo si pienifichi. Solo partendo con questa prospettiva è possibile sperare che il dialogo tra uomo e uomo si ristabilisca, la comprensione si avvii, il ri– conoscimento di un fine co1nune, e conseguenten1ente delle operazioni e strutture necessarie al conseguin1ento di quel fine, si attui. Per poter co1nprenclere in tutta la sua portata questo primato e renderlo operante negli uomini è dunque neces– sario, prima d'ogni altra cosa, riconoscere e ricompren– Jere il valore qualitativo dell'uomo, e di ogni uomo. E con questo riuscire a superare il concetto che l'unica azione possibile, storicamente a livello, sia un'azione di massa: superare il concetto della dignità e grandezza rtC'll'azione 1nisurata con il criterio delll'incidenza che vie– ne ad avere sulla 1nassa, sulla storia e l'umanità intese co– me quantità. Concetto che ha il suo supporto e la sua spiegazione in una cultura, come quella moderna, cui pre– siede la politica e perciò volta ai criteri e ai giudizi di di– rezione politica della comuntà. 3. - La strada per ritrovare l'ordine, per dare effettiva possibilità alle tensioni uniane di non niorire, nia di ma– nifestarsi, di diventare da ignote note, non è dunque quel– la della politica, è la strada della n1oralità. Una moralità non si crea in riferimento ad un siste1na sociale, ad una legge di costume, di professione; di clientela, ma in rife– rimento alla verità. E' un criterio di verità insoppriini– bile nell'uomo che può aprire la possibilità di far ritro– vare un fine co1nune e quindi di ordinare i comportamenti e le azioni, senza renderli continua1nente contraddittori e alla fine insignificanti; quando non distrutti vi. Ora, se l' or– dine priniario da stabilire e garantire è l'ordine tra uonio e uomo, nei rapporti tra uo1no e uonio la verità si pone come giustizia. Questo criterio va assolutamente affermato e reso ope- rante tra gli uo1nini. E' del resto questo criterio che opera, sia pure incoscienten1ente anche oggi, in tutti, quando si avverte la contraddizione tra le proprie tensioni niorali e il dato esistente. Il problen1a niorale, anzi, si pone oggz,

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