Terza Generazione - anno II - n. 10-11 - luglio-agosto 1954
Infatti Dewey o s s e r v a v a : cc Non c'è cosa che riempia di orrore noi americani quanto il sentirci dire che un ql}-alche for– senn? to, in qualche disgraziato angoto clella terra, Ya predicando ciò che noi pratichia1no - e lo pratichiamo più efficacemente di alcun altro - cioè il determini– sn10 ,=,conomico ». Questa os,ervazione, se vera, ed in base ad altre testimonian– ze 1icengo sia vera, è contraddi– zione tra la realtà della loro Yita sociale ed i loro più intimi ideali; mentre ci fa intuire che alla vita americana non è estrn nea la più profonda radice del n1arxismo e quindi ci fa sperare che se gli americani ri trover .an– no la loro più pura ragione di esistere, potranno giungere a<l una coscienza solutrice delle con– traddizioni attuali della socie– tà umana. Su quale piano dunque si pos– sono trovare gli elementi concreti della speranza di Baget, cioè che l'America debba ancora da– re al mondo il meglio di se stes– sa? Non sul piano delle istituzioni, quindi, ma su quello della quali– tà umana. Qual'è la qualità umana di cui dispone l'America, che poss,i dare garanzia all'umanità bian– ca, ariana ed ebraica, di poter ancora validamente cooperare con il contributo della storié:.. della sua civiltà, insieme agli alai po– poli, per portare « rumanità ininterrottamente su un pian,> pitt alto? ». L'America, ho cercato di espri- 1nere, non può essere definì ta come il « mondo della tecnica r o comunque come un mondo di– verso, meraviglioso o mostruoso, ma piuttosto come l'espressione più sintetica e più densa delJa vita dell'umanità occidentale, rusc:;i compresi. Cioè la vita de. gli uomini dell'occidente, sparsa uella Russia, nell'Europa, nel– ]'Oceania e nell'America, è i,~ quest'ultima regione che ha svi– luppato il maggior numero delle sue potenzialità storiche e con la maggiore intensità. Queste potenzialità storiche, 1M1tuti giuridici, strumenti di azione, ideali, hanno trovato in America uno sviluppo non teo– riro e dottrinale, ma prati<',>, quotidiano, scaturente dalla real tà della attività di quasi tutte le nazionalità del mondo entro gli stessi confini e dallo sforzo <li amalgama di queste nazioni, realtà e sforzo che costituiscono tutt'ora per l'America la sua più grande opera, la sua più grande esperienza e la sua fonte più , : va di ricchezza umana. Questo capolavoro umano ha i suoi limiti e trae le sue imper– fezioni proprio dalla mancata teorizzazione e quindi dal man– cato sceveramento tra forze e in– dirizzi negativi e positivi; di conseguenza mancano alla piena coscienza della società america– na fini tali che possano far frut– tare e giustificare l'opera com– piuta. Quindi a fini organica– mente predisposti si sostituisco– no utopie miti o fini posti su un piano di contingenza indi– vidualistica. Ciononostante nel fondo della coscienza dell'americano moder– no vi sono i depositi spirituali delle più grandi idealità della umanità occidentale. Fondamentale è l'ideale della eguale dignità e dell'indipenden– za dei popoli, che, ad esempio, ha dato Ja possibilità ai popoli indonesiani di liberarsi del co– lonialismo, per il veto dato dagli Stati Uniti all'Olanda di soffo– care nel sangue la rivolta nazio– nale indonesiana. Un'altra esplicazione di questo ideale può essere individuato nell'attuale atteggiamento degli Stati Uniti di fronte alla « di– stensione » e cioè la repugnanza ,degU americani alla divisione del mondo per sfere d'influenza ed alla idea della « pacifica coe– sistenza » che potrebbe dare H cri~ma del diritto ad una t,itua– zione ingiusta ed oppressiva. Con ciò non voglio dar ragione a quegli americani che pensano che tutta la ragione sia dalla lo– ro parte e tutto il torto dal la parte dellUnione Sovietica o dei paesi ex coloniali ora comuni•ai, e tantomeno dar ragione a coloro che vogliono la guerra; n., YO– glio rilevare che certe prese di posizione dell'America (in fondo più « di principio » che appog– giate ad una azione effettiva per la quale le manca un preciso in– dirizzo ideologico, e Io abbiamo visto a Ginevra) stanno a signi– ficare la volontà degli americani di adempiere ad una funzione mondiale e far sl che tutte le questioni mondiali vengano ri– solte alJa luce di ideali· di giu– stizia e non per ragioni di po– tenza. E' chiaro che per poter mobi– litare queste possibilità gli ame– ricani debbono rovesciare l'attua– le rapporto di forze esistente nel– la loro società. ;n mondo non potrà mai credere ai loro ideali se dietro una qualsiasi « libera~ zione » si scorgerà l'ombra della Fruits Company o di qualsiasi altro interesse commerciale. Per far ciò gli americani do– vranno definitivamente romper– la con il vecchio individualismo e porsi il compito di combattere "bHotecaGino Bianco il materialismo non 1n nome di un altro meno sincero, materia– lismo, ma in nome della realiz– zazione, nello spirho religioso, della comunione delle attività umane intorno ad un fine uni– tario e superindividuale. A questo proposito voglio cita– re nuovamente Dewey: « L'abitudine gregale dell'ame– ricano medio, e la sua esagerata sociabilità, possono ben avere una spiegazione come quella del conformismo. Sono anche una riprova della natural fuga dc\ quel vuoto che si è prodotto per la fine del vecchio individuali– smo. Noi non saremmo cosl av– versi all'isolamento se, essendo soli, avessimo la compagnia del pensiero di tutta la comunità di– ventato nostro abito mentale. In mancanza di questa comunione, si avverte il bisogno di contatti esteriori che ci sostengano e raf– forzino. La nostra sociabilità è in gran parte un modo con cui cer– chiamo di trovar sostituti a quella normale consapevolezza di essere collegati ed uniti che proviene dall'essere ognuno di noi membro di un complesso so– ciale da cui è sostenuto e che insieme sostiene ». CRISTOFORO MASUCCI Salvo alcune divergenze di espressione, ci pare che questa lettera di Cristoforo Masucci accetti la sostanza della tesi svolta nell'articolo del numero otto ed anzi ne appronfodisca alcuni punti: tale approfondi– mento, così c01ne quello che spe– riamo di essere in grado di com– piere in seguito allo sviluppo del nostro lavoro ci è tanto più gradito, perchè siamo ben con– sci dei limiti dello scritto. Abbiamo rilevato l'esistenza di una contraddizione all'inter– no della civiltà americana: ma i termini in cui ci si è rivelata sono profondamente diversi da quelli con cui le tesi marxiste– leniniste (ed i numerosi giudizi che sono, anche implicitamente, egemonizzati da questo) hanno cercato di inquadrare gli Stati Uniti. Per il marxismo, le idee americane, la democrazia, gli ideali di giustizia e di indipen– denza, sono ideali falsi, che gli uomini possono accettare solo a prezzo di un deterioramento umano o di un'inferiorità sto– rica. Dal punto di vista marxista gli Stati Uniti sono un popolo immaturo, che deve ancora scon– tare le esperienze che l'Europa ha compiuto nel secolo XIX: di conseguenza, gli Stati Uniti non possono trovare la loro via di niaturazione che attraverso una lunga crisi, in cui tutti i va– lori in cui gli americani di og– gi credono debbono essere ne– gati ed altri valori introdotti at– traverso la negazione dei valori presenti. La forza della tesi marxista sta nella inesistenza di una ef– fettiva comprensione culturale della sostanza della novità ame– ricana; i numerosi spunti lette– rari al riguardo non sono riu– sciti (e difficilmente da soli lo possono) a porre in termini pro– pri questo essenziale problema. In che cosa consiste la novi– tà dell'America? A nostro avviso, ciò che di veramente nuovo è nato in Ame– rica è il comportamento umano. L'uomo americano si muove sul piano della verità, cioè orienta primariamente le sue azioni per riferimento ad un principio uni– versale, ad una legge razw.nal&, e ritiene che esse non possono essere giustificate se non sono fedeli ed omogenee a quel prin– cipio, a quelle leggi. Questo per l'Europa moderna suona ingenuità: e lo si com– prende, perchè l'Europa moder– na è figlia del protestantesimo e del Rinascimento, di Lutero e di Machiavelli, ed ha quindi alle sue origini una visione ma– terialistica della storia civile, per cui il dato storico si impo– ne sempre alla tensione umana, e per cui quindi non esiste altra verità che la realtà, che il dato storico. Tale visione materialistica del– a storia civile è estranea all'A– merica, pur fondata da prote– stanti: qui è il segno di una realtà nuova ed originaria del– l'umanità americana il cui sor– gere ed il cui esistere non so– no stati ancora sufficientemente compresi. E questo ci spiega la affermazione del Dewey, citato da lv! asucci, relativa all'orrore che gli americani hanno del materialismo storico. Dalla affermazione del Dewey, la contraddizione americana balza però netta ed evidente: gli americani hanno orrore del de– terminismo economico, eppure il loro sistema sociale ne è la più rigorosa realizzazione. A1 a esistono veramente delle istituzioni economiche e politi– e he americane? No: le istituzioni americane così come la cultura che le ispi– ra e vi presiede sono semplice– niente quelle dell'Europa moder– na e portano il marchio della vi– sione niaterialistica della storia civile che ha presieduto alla na– scita e allo svolgimento storico di esse. Infatti il mito dell'autosuffi-
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