Terza Generazione - anno II - n. 10-11 - luglio-agosto 1954
l'equilibrio storico lentamente raggiunto da questa civiltà di confine. Il Principato, la feudalità e la co– munità di Pergine. Comune rurale e minatori si estraniano dalla vita politica: vivendo in una società fondata sul comune bisogno e- su rapporti fonzionali atti a soddisfarlo, il comune ru– rale percepisce come tutta la vicenda poli– tica che si svolge sopra di lui ignora la sua natura e i suoi rapporti e per ciò stesso li minaccia. E' la perenne ed esatta percezione del mondo contadino di sentirsi fuori dalle vicende politiche e statali che si svolgono con processi diversi dai suoi. Ma questa << realistica psicologia » non im– pedisce che appena lo svolgimento storico tocchi la vita contadina, questa reagisca con una sorda lotta che è difesa della vita e nello stesso tempo affermazione e offerta delle prfJprie possibilità storiche. In questo senso c'è un rapporto molto per– tinente tra la storia del principato vesco. vile dei feudatari laici, della Chiesa e del– l'Impero e la vita delle comunità rurali. Da questo rapporto, e da quello tra gruppi etnici dipenderà la vita sociale ed econo– mica della comunità: vale perciò la spesa di esaminarlo. Nel 1091 la via del Brennero non è più sicura per l'l mpero. La supremazia impe• riale era stato il principale supporto del Principato Vescovile: quando essa comincia a vacillare il Vescovo deve trovare altrove una forza su cui poggiare. E' la fortuna degli « homines dc macinata Sancti Vigi- BibliotecaGino Bianco lii », distinti in « homines de nobili ma– snata, homines liberi, franki absoluti, ho– mines ministeriales e condicionales »; gli uo– mini della masnada costituiranno la feu– dalità diretta del Vescovo. E' in questo periodo che il dominio consortile dei rusti– ci sui castelli comincia a scomparire. Si apre una gara tra i milites per avere una « castellantia » dal Vescovo escludendo i rustici, e gli oneri consortili si mutano in oneri feudali. In questi mutamenti « ce ne rimettono i poveri rurali non sostenuti dal Vescovo a cui non interessava ampliare i diritti delle comunità che avrebbero limi– tato la possibilità di imporre tributi ». ( 13). Ma oltre a questo peggioramento delle con– dizioni dei contadini, la formazione di una feudalità diretta del vescovo ebbe altre con– seguenze: intanto la possibilità di infiluire più liberamente sulle cose statali fa sì che i feudatari spingano il Principato a una po– litica territoriale che porrà Trento in rap– porto con le città e i signori della pianu– ra. Al vecchio rapporto politico con l'Im– pero, e con i conti del Tirolo, cc avvocati » del Principe Vescovo, si aggiungono le re– lazioni con Vicenza, Verona e Brescia. Ma queste città hanno una forza · d'attrazione ben superiore che Trento e costituiscono pericolose forze centrifughe. Le zone con– finarie sono sottoposte a pressioni che spie– gano la politica abbastanza autonoma dei Castelbarco in Val Lqiarina (i Cast~/ barco non entrarono mai nella « 'masnada ») o i tentativi di Ezzelino da Romano in Val Sugana, come la dominazione veneziana sulla Val Lagarina. La tendenza degli « homines de macina– ta » alla politica territoriale è spiegabile con l'attenzione che essi continuano ad avere, una vota inurbati, per il territorio di provenienza, su cui hanno stabilito il loro potere e che vedono come base di fu– tura espansione ( 14}. Essi seguono linee di sviluppo tipica'mente italiane: sviluppo territoriale di comuni e signorie, classi cit– tadine che dominano decisamente il con– tado e i rustici. Tutto ciò servirà a capire i caratteri della rivolta rustica del 1525, ma spiega anche alcuni fatti « minori », come la preferenza che i rustici avranno se1n– pre per « capitani » tedeschi e non italiani. Intanto l'inurbamento dei notabili provoca un « depauperamento delle forze e anche dei capitali più efficienti» (15) a cui i Vescovi cercano senza molto successo di rimediare, facendosi rilasciare garanzie co– me quella che un certo Enrigetus dà nel 1216 al Vescovo Federigo Vanga di non abbandonare Ala. Il principato trentino segue la contrad– dizione storica di tutti i comuni e signorie italiane: costruire, secondo un costurne 1nolto antico, l'impalcatura statale indebo– lendo le più profonde strutture sociali ed economiche del paese. Si spiega così la pressione che la feuda– lità e lo Stato esercitano sulle campagne e sulle miniere limitandone gli sviluppi e, quando La crisi batte alle porte, amplian– dola: è lo scotto che si deve /Jagare per tro– vare un equilibrio storico. ln queste vicissitudini Pergine ebbe un destino abbastanza fortunato: il dominio cl ·,etto del Vescovo, iniziato nel 1027, du– rò poco; ben presto comparve una famiglia di ,niliti bavaresi che governava fe11df1!– me11 te la comunità. Il nesso col ve covado fu per tutto il niedioevo « alquanto su– perficiale» (16). Solo nel 1531 Pergine passò Nella f olografia: La cinta 1nuraria del castello
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