Terza Generazione - anno II - n. 10-11 - luglio-agosto 1954

una generazione: così essa ha ri– cevuto da lui il grande servizio gratuito di vedersi sgombrata la viçta dalle illusioni illuministi– che che bastassero le bonifiche, le strade o una nuova classe di– rigente per risolvere il problema del niezzor;iorno; e ha scoperto che c'era lln mondo da capire e da amare con cui si dovevano scamb:·are le parole semplici che si hanno tra fratelli. ,,la in lui c'è ancora il p .s– simismo profondo che deriv'l dalla lont/'Jnanza che egli vede tra due mondi, c'è il senso na– scosto dell'impossibilità di af{i– re con una realtà fuori della storia e una dentro. "la se la storia è la vicenda degli uomini nel tempo, allora, non solo i contadini sono nella storia ma sono nella vera e unica storia degna di questo nome, e fermi ad essa non vi sono com– promessi nella storia del mondo moderno, nata per sezioni: sono e vivono come custodi dell'anti– ca tradizione greca e medioeva– le-cristiana, tradizione di uomi– ni interi. E solo se essi sono nella uni– ca e vera storia è spiegabile la loro continua tensione per da– re un contributo alla costruzio– ne dello Stato dell'ordine con– tro quello del disordine, il loro contributo personale di " avven– turieri " di uomini che rischiano per costruire la propria vita. E dalla loro permanenza nel– storia deriva la loro avversio– ne a tutte le espressioni del mondo moderno, antistoriche perchè parziali, e contro l'uomo. D'altra parte la loro vita è tutta equilibrio: wvendo in un rapporto naturale con le cose essi sanno che è loro compito dorn inare il niondo sensibile. Sanno questo perchè lo hanno sentito dire da chi li ha crea– ti. Al dominio di questo mon– do e non alla religione che è legame col mondo oltresensibile, è legata la magia: se sono rna– lati devono capire, perchè è lo– ro compito capire il male che hanno, il difetto di natura. Per questo i paesi tengono tanto al medico, fanno spesso delle ri– volte paesane per trattenere il 1nedico " buono ' che parte, per questo vogliono bene a Carlo Le– vi. Vogliono bene a tutti i 1ne– dici che si spiegano e spiegan– dosi li rendono padroni della loro natura. Ma per spiegarsi bisogna possedere un linguaggio ed essere disposti a comunicare: i medici di Stigliano, nati dalla antistoria e dal disordine 1noder– no, sprezzanti dei contadini, an– che se fossero bravi medici, non saprebbero spiegarsi. Allora il mago e la strega sono quelli che spiegano, che fanno capire e dominare la realtà. E il medi– co che intuisce la giustezza di questa esigenza, si spiega maga– ri in termini magici, e si lega alla magia, e lascia l'amuleto sul corpo del malato, mentre usa l'atebrina. Allora i contadi– ni dicono a Carlo Levi: " Do– vresti fare lo stregone; ormai sai curare anche alla nostra nia– niera ". Legato alla loro real– tà egli rivaluta presso di loro la medicina: usa l'atebrina e la plasmochina che è riuscito a le– gare alle influenze magiche, cioè alla scienza contadina. Non usa più il chinino che "appartiene, per i contadini, a una scienza screditata, incomprensiva e pre– tenziosa ". Triste_ fine del «çhi– nino di stato », « chinino ctel disordine ». Tut_to ciò non è un machiavello per curare un mala– to, è l'integrazione di due pro– blematiche. E ne pone una ter– za: quanta magia c'è 111lla scienza? E quanta scienza c'è nella magia? Infine i con ladini partecip'lno alla religione: ma non è terri– geno quel male "che è do 1 0- re terrestre che sta per sem– pre nelle cose ", di cui si sen– te? un'eco lontana nel castello del prete di Avellino: "Il pec– cato chi lo fa lo paga prima qua e poi là ". E' semplice– mente un'espressione profonrf_a di coscienza cattolica: il male vive nelle cose ed è il gt!rm,· del dolore nel 1nondo. Al male risponde una pena, diretlarnen– te, senza mediazioni di tem– po o di spazio e aella stessa natura: così lo vede anche Dan– te. Il male Lhe sta nelle cose e nell'uomo, che è carne e spi– rito, le 1nanda in perdizio11r tutt'e due: " prima qua a poi là ". Questa è una constatazio– ne di fatto in cui non c'è om bra di apologetica cattolica: su questo piano del resto la Chie– sa ha sempre visto le zone do– ve non è ancora entrata. Il maggior danno, non an– drebbe, dunque, alla Chiesa sr si valutasse terrigeno questo modo di considerare il 1nale proprio dei contadini: il dan– no andrebbe alla società che in questo patrimonio spirituale ha messo radici: essa per un errore di interpretazione, sradi– cherebbe dalla sua tradizione una civiltà rendendola irricono– scibile. C'è solo da chiedersi l'origi– ne di questa valutazione terri– gena del senso del male dei con– tadini: la çpiegazione si trova nell'allontanamento operalo dal mondo e dalla cultura moderna del rapporto diretto tra pensie– ri e opere, tra azioni e loro conseguenze, insomma tra le va– rie espressioni dell'uomo. Allo– ra è il dramma che na'?ce dalla incomprensione di questo rap– porto che ormai è un lontano ricordo per gli uorn.ini moderni. Tanto lontano quanto il mon– do terrigeno e pagano degli al– bori della nostra civiltà. !\la c'è un fatto molto più semplice che a noi sembra spie– ghi lutto: per .fortun11 l01p, no– stra, e della civiltà umana, i contadini italiani vivono anco– ra prima di Alartin Lutero. Es– si non hanno st!zionato l'ani– ma e il corpo dell'uorno. E non è privo di significato che il loro mondo cominci ad apparire attraverso le pagine di uomini che ·vivevano più che con loro, come loro. Da qua– lunque riva provenissero, e a qualunque cosa credessero, so– no stati questi uomini che han– no passato degli anni o la vi– ta, nel loro mondo, a farvi e– mergere, anche frammisto a in– terpretazioni che non accet tia- 1no, il volto dei contadini. Uo– mini che hanno ritrovato a con– tatto con loro il senso del rap– porto diretto tra i pensieri e le opere. Questo ci sembra non solo il loro valore più grande, ma una indicazione preziosa della strada da percorrere. P. U. Racconti, dichiarazioni e • • scritti di Michele Mufieri Là c'é la tabella dell'Ente Riforma e qua ecco la mia insegna, innalzata in questa repubblica: Figlio del tricolore ma Pieno cli dolori burocratici Avventuriero grande invalido l\1ulieri Sono italiano, n1a l'Italia è mansionata da infami, ladri e barbari; gli enti e gli uffici mi hanno riempito di dolori e io ho affrontato la sorte n1enandomi all'avven– tura· in quest'aperta campagna pure essendo un grande invalido del lavoro. Fui infor– tunato~ il 16 aprile 1943 con frattura del malleolo cli due calcagni e della colonna vertebrale alla seconda e terza lombare. E pcrchè mi è av,enuto questo infortunio? "bliotecaGino Bianco E' un infortunio di patria subito per l'ono– re della patria. La mia storia è lunga. Mi sono insegnato un mestiere, falegna– me, dopo aver subito una malattia nel 1915-18. Io lavoravo in ferrovia e in tenera età anda, o in campagna a giornata per la– vori agricoli; la malaria non era combat– tuta in queste zone, io mi sono cotto di malaria e posso di mostrarlo: sulle mie carni e pelli tengo cicatrici di iniezioni di chinino:.....Allora 1ni volli insegnare un me– stiere. Per la famiglia abituata ad avere una resa di guadagno ogni giorno, inse– gnandomi io il mestiere la resa si paraliz– zò e la famiglia mi doveva sostenere a mangiare e vestirmi, mentre già avc\'O una età da 17 a 20 anni: allora nacque il di– verbio di ruggine perchè alla mia famiglia gli dispiace, a cli darn1i d:i n1angiare e il maestro non ti paga in queste zone, devi usurpare la famiglia: con i patti fatti tra la n1ia volontà e il maestro, che mi mise in via di mestiere, io dovevo essere un « maestro » ( 1) alla partenza per soldato. Andato soldato di leva, il soldato non l'ho fatto: andato al 22.0 Fanteria-Pisa, e sta– to 18 giorni sotto rassegna, non ero più ido– neo, ma rivedibile per deficienza di torace. Ritornato in casa ho dovuto avventurarn1i alla cerca della mia sorte perchè la famiglia non m1 governava più: quelli erano 1 patti. Me ne andiedi a Potenza a lavorare sotto ( 1) e quindi coniinciare a guadagnare, da– to che l'apprendista non ha diritto alla paga.'

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