Terza Generazione - anno II - n. 10-11 - luglio-agosto 1954
mato primato della politica estera e sembra quindi espli– cabile con i mezzi a quella consueti della diplomazia e della guerra. Ora, nella crisi di speranze che proietta una ombra gigantesca sul nostro paese, ci accorgi.amo che il problema della vocazione è immanente alla società civile e non è monopolio di questa o di quella politica come del– la politica. Il venir meno della consapevolezza di. un com– pito da svolgersi con la partecipazione di tutti fa della po– litica un giuoco di pochi iniziati o professionisti e dello Stato un apparato burocratico o minoritario, dalle cui strutture i più si sentono esclusi e feriti. Come l'indiv,iduo che ha smarrito la visione di ciò che deve fare è trascinato come un fuscello dalle occasioni del– la vita (ed è dopo tutto in questa vita senza radici che si identifica il '' vivere umanamente " o '" idealisticamen– te " di Croce), così la nazione che ha perduto la coscienza del proprio destino si abbandona alle maree della vita in– ternazionale, venendone tanto più agitata e sconvolta quan– to più furiose sono le bufere imperversanti e più rade le luci della sua anima. Nel mondo stesso, al suo posto si crea un vuoto in cui le correnti in contrasto acquistano maggiore forza ed impeto. Tale sembra la sorte presente dell'Italia che si avvia ad essere campo aperto di una com– petizione internazionale sempre più oscura e minacciosa. 3. - La crisi, naturalmente, non t.occa solo I" /UJ:lia. Aùre nazioni d'Europa vagano nei meandri tortuosi di un'am– bigua coscienza. Sarebbe però vano pensare che la solu– zione europea possa ovviare alle insufficienze e alle ambi– guità delle singole nazioni, giocchè essa consacrerebbe il predominio di chi al giusto momento sollevando i veli della riserva rivelerà più limpida coscienza e più chiari prv– grammi d'azione. La soluzione europea soffocherebbe co– sì con una supremazia nazionale il libero svolgimento di ogni nazione. Il fatto è che ogni paese deve scoprire da sè le proprie vocazioni nel tentativo di superare le strozza- ture che ne condizionano lo sviluppo, proprio perchè in tal maniera si è costruita finora (e si continuerà a costruire domani) l'Europa. Già del resto l'incapacità di immaginare la struttura giuridica della comunità eu1upea al di fuori degli schemi statuali sussistenti costituisc.-. un sintomo grave della complessità del problema. Nè si può concepire l'Europa come una fascina di rami ormai secchi, tenuti insieme dal timore del fuoco, in attesa di esservi ine– luttabilmente gettati dai veri poteri del mondo. 4.· - " Diventiamo tutti di nuovo iJ..aliam, per 110n ce~– sare di essere uomini". Gli italiani del '700 sentono le dif– ficoltà che l'assetto dell'Italia dell'epoca frappone all'espli– carsi della missione italiana. Sentono che la mancanza di una struttura sociale unitaria soffoca la vitalità non ancora spenta della nazione e le energie di ciascuno. Cosmopoliti, europei, liberoscambisti, gli italiani del '700 sono condotti appunto, attraverso queste idee, alla ricomposizione della società nazionale. ,L'unità diventa la condizione indispen– sabile perchè gli italiani possano svolgere il proprio com- . pito nell'umanità. E la frase citata di Rinaldo Carli, con– tenuta in un celebre articolo de "Il caffè ", è indicativa del travaglio unitario prerisorgimentale poi fuorviato dal– l'influenza giacobina e bonapartista e dal sorgere di un falso egoismo nazionale. BibliotecaGino Bianco I limiti della coscienza del problema nazionale, deli– neata da Gioberti e da Mazzini, sono visibili nell'evolu– zione stessa del Gioberti passato dal!e enunciazioni orgo– gliose del " Primato " al compromesso con la Europa del " Rinnovamento " e permangono in Mazzini, il cui rivo– luzionarismo paneuropeo è non di rado alterato da tonalità provinciali. La soluzione del problema italiano non era ~tata armonizzata con la vocazione nazionale in qualche modo intravista, sicchè l'unità pareva nuova1nente suggella– re la segregazione del nostro popolo nel proprio particolare invece di costituire una_ più an1pia apertura. Mancava la visione realistica delle influenze che dall'Europa si river– beravano sulla piccola e frazionata Italia dell'età roman– tica. E' naturale perciò che il problema unitario venga ri– solto sul piano esterno con un gioco diplomatico di sor– prendente abilità e sul piano interno con una massiccia importazione di istituzioni straniere: il centralismo fran– cese, il parlamentarismo inglese e poi. il trionfante mili– tarismo germanico. Questa linea d'importanza, niante– nuta anche dopo l'unità e giustificata da alcuni tra i più avvertiti come Quintino Sella con la necessità di adeguar- si alle idee universali campeggianti nella nuova Europa, fece ondeggiare il paese tra le più diverse influenze, così da smarrire nella prassi politica l'idea di una missione ita– liana e da creare un diafram1na senipre più spesso tra le minoranze dirigenti appropriatesi di un "linguaggio eu– ropeo", fatto in realtà dalle mode del momento, e la mag- gioranza dei governanti, oggetto meramente passivo del– l'empirismo minoritario. L'unità civile veniva quindi sem– pre prorogata e posposta e si perpetuavano quelle condi– zioni di esclusione che avevano pri?na dell'unità minac- ciato di pregiudicare e soffocare per sempre la società na– zionale. Frattanto mentre l'osservatore straniero (e valga per tutti l'esempio del N ovikov) cedeva alla facile tentazione di un'Italia restituita al proprio ruolo universale da una .forma diplomatico-militare di neutralizzazione, Saverio Turiello presagiva all'Italia guerre e destini niediterranei e Alfredo Oriani adombrava, pur tra vagheggiamenti im– perialistici, un compito essenziale dell'Italia nell'epoca di storia, finalmente mondiale, che stava subentrando alla supremazia dell'Occidente. 5. - Il fascismo a sua volta prende coscienza, sia pure net modo confuso e disorganico che gli era proprio, della mancanza di un'unità sostanziale del paese rivelata dalla crisi del dopoguerra, ma non trova la capacità di superare i limiti che gli provengono dall'aver reso permanente con il sistema totalitario la lotta politica, frustrando irrepara– bilmente· l'unione civile. Fallito come "rivoluzione unita– ria ", esso non comprende altresì che mentre la sua poli- tica estera tende a dare all'Italia la hbertà nel Mediterra– neo le toglie, con la consacrazione di un isolamento egoi– stico, la libertà nel mondo ossia la libertà creativa. Nel secondo dopoguerra, le brevi speranze che arridono agli italiani di un ristabilito contatto col mondo sono state poi dissipale dal cadere di quelle illusioni politiche di unità interpartitica che esse sembravano avallare. Va detto, tuttavia, che il f ascisrno ha per prinio pre– sentato una soluzione autoctona e nel contempo europea, per quanto resa inutile dalle sue contraddizioni dovute ad 5
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