Terza Generazione - anno II - n. 10-11 - luglio-agosto 1954

gi possibile, il rapporto tra uo1no e uomo. Puntiamo alla fonnazione degli uomini sul piano della verità; della giu– stizia. Un con1pito per la generazione è possibile renderlo attuale e attuabile, solo quando questo salto qualitativo ven– ga fatto. Quando si rinunci alla vjolenza e alla brutalità; si rinunci all'astrattezza, per azioni vere e generatrici di vita. Co111pitocertamente più u1nile, secondo i criteri esistenti: compito più umile; ma primario e autentico. E' in que– sto senso del resto, che possiamo indicare il valore profon~ do di aver cercato e puntato, su T. G., di riscoprire l'umile Italia di ignoti pae i: fatto che ha un valore esemplare, non nel senso di una linea storica solutiva o d'una tecnica organizzativa, ma tanto maggiormente nel senso di aveJ creato e offert·J <lei fatti di valore morale. Accanto a qu~– sto, molti altri atti esemplari sono da trovare ed è possi• bile trovare realizzando un'integrazione tra noi, facendo nascere dalle nostre tensioni una nuova realtà umana; sia pure umile e piccola; atti legati al nostro lavoro, al nostro studio; alla nostra vita di relazione; alla scoperta di ciò che in noi e negli altri è più semplicemente e chiaramente . . . . umano e s1 mette 1n movimento per non morrre, ma per crescere; e in questa crescita; per trovare operazioni sem- La • vocazione nazionale I. - Ogni comunità, come ogni individuo, ha una sua niissione o vocazione. L'uonio sente porsi in se stesso il problema del proprio compito personale, delle sue finalità vitali (e l'insuccesso nella loro determinazione è fonte d1: deviazioni angosciose). Alle collettività umane a loro volto è affidata la realizzazione di finalità che esorbitano dal– l'ambito individuale, ma danno un senso alla vita, alle azio– ni di tutti e costituiscono la loro ragion d'essere. Anche la nazione ha pertanto una sua vocazione. Vi è altresì una evidente connessione tra il compito della nostra genera .. zione e l'attuarsi del destino nazionale. Le nostre azioni, le nostre speranze perderebbero di significato se ci sfug– gisse quella " missione italiana " che è l'unica nostra pos sibilità di radicamento. La cultura idealistica ha respinto il concetto di missione nazionale relegandolo in soffitta come una qualunque an– ticaglia della storiografia romantica. " I popoli non diver • samente dalle persone singole " scrive Croce " non hanno altra missione se non quella generale che è di vivere uma– naniente, cioè idealisticamente, la vita, operando secondo le niaterie e le occasioni che loro si offrono e riportando di continuo lo sguardo dalla terra al cielo e dal cielo alta terra; e, così facendo, avviene loro di esercitare nei vari tempi e circostanze una o altra azione o " missione" più o nie1io spiccata e primeggiante le altre, ma non mai una niissione anticipata e prefissa, determinabile secondo una fantastica legge storica ". L'idea di una tale missione non sarebbe, perciò, altro che un mito " che, come sempre i BibliotecaGino Bianco pre più giuste e sernpre più possibili di incidenza quali– tativa nella storia. 6. - Che rapporto, allora, ha questa strada della mo– ralità con lo Stato? Lo Stato, in quanto organizzazione della convivenza, ha un supporto stabile in questo conti– nuo atto di vita degli uomini. E riportare anche lo Stato nell'ordine è possibile solamente per questa strada. Non \~On la rivendicazione o la protesta, non con le riforme t.ecniche, non con l'occultamento della vita: lo Stato si cifà ridandogli il supporto che gli è stabilmente proprio: la coscienza morale dei cittadini e il suo continuo aumen– to. Del resto, ogni struttura culturale e politica, per prin– cipio, segue il ritrovamento nell'ordine di giusti r"apporti tra uomo e uomo. Perchè ogni struttura è tale, non sra– dicata ma radicata, non di qualcuno ma di tutti, e perciò giusta, solo quando nasca da realtà umane e se ne faccia garante. E' oggi necessario puntare alla formazione di uo– mini capaci di porre realtà nuove, cioè vere e giuste; dare totale fiducia, per questo, alle sue tensioni, ai suoi desideri, alle sue speranze; e non sopprimerle, ucciderle: ma por– tarle alla comune integrazione. CLAUDIO LEONARDI e il problema italiano nuti, ora indirizza ora svia ora anima ora deprime, ora arreca vantaggi ora danni ". Ma in realtà negare la sus– sistenza di una missione nazionale significa negare la na– zione stessa che si sostanzia anzitutto in una comunanza di destino e nella consapevolezza di tale comunanza. La nazione "plebiscito quotidiano ", come diceva Renan, pre– suppone che il consenso giornaliero di tutti venga elargito ad un compito dato e di conseguenza che le azioni di tut– ti si coordinino quotidianamente nell'adempimento della missione comune. N è la missione nazionale può essere per questo considerata come un motivo contingente di richia, mo destinato a carpire più che a richiamare un consenso di massa in certi momenti di effervescenza nazionale. Se questo equivoco è possibile, è perchè l'idea della missione nazionale appare appunto come il presupposto basiZare delle iniziative comuni. Non a caso l'epoca del Risorgimen– to fu propizia al fiorire delle ipotesi sopra la missione del– l'Italia: appunto l'idea di una tale rniss-ione giustificava il tentativo unitario. Il nuovo assetto era significante soltanto come idonea strumentazione ai fini della vocazione na– zionale. 2. - Certo: il problema va sm1tizzaio. Nel periodo che segue la compiuta unità, il trionfo del sistema bismarckia- no traduce il tema della missione nazionale nei termini brutali della politica di potenza. La vocazione nazionale diventa tendenza verso l'egemonia, verso l'esclusivismo e non verso la mutua integrazione, è assoggettata al concia-

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=