Terza Generazione - anno II - n. 9 - giugno 1954

cella come scontata l'i11adegua– te:za di un certo costume e di un determinato tipo di cultura. In realtà, la nostra presa di coscienza va effettuata su quei problemi e quegli aspetti con– creti di fondo della nostra so– cietà che sono, per essenza loro, comuni a noi giovani: problemi su cui i giovani, siano essi stu– denti contadini operai o impren– ditori, niagari non hanno anco– ra criticamente rifiettuto ma che essi sentono attuali e dei quali a..rvertono l'importanza Sarà at– trai.'erso l'identificazione e la pre– sa di coscienza di almeno tanti problemi specifici quante sono le categorie di attività e median– te l'individuazione dei nessi in– tercorrenti tra essi, che di fron– te al giovane studente operaio contadino o imprenditore arri– verà a delinearsi la unitarietà della nostra proble1natica presen– te. La coscienza della crisi (e molti giovani, soprattutto di cer– ti ambienti borghesi, dediti ad un certo tipo di snobismo cul– turale da salotto letterario fin du siècle, ancora non l'hanno) diverrà così, da intuizione, con– cetto: questo è necessario Potremo così, costruire l'unità della generazione: noi giovani c'incammineremo sì per strade diverse a secondo della nofìtra ideologia politica, e il cattolico non cesserà di essere tale per divenire comunista né questi li– berale e così via, 1na potremo sentire, alla base dei nostri pro– blemi, una orn.o~enea consape– volezza c01nune dei problemi da affrontare, della frattura da col– mare. E' forse inutile cercare un dia– logo sinchè non si possiPde un fondamento comune su cui co– struirlo: il fenon-ieno dell'incon– trismo trova una sua ragione di esser solo in un dato per sua natura negativa, cioè nella lon– tananza ed incomprensione delle posizioni reciproche ma non cer– to in qualche cosa di positivo, se non c'è almeno un gradino in comune fra coloro che si incon– trano; altrimenti, si fa solo un'o– pera di superficiale e raccogfìtic– cio proselitismo. Con questo, na - turalmente, non voglio miscono– scere né l'importanza né la con - tingente innegabile necessità del le varie iniziative tendenti a tà– vorire la ripresa di uno spi– rito imprenditoriale fra i gio– vani: vo1;lio solo dire che esse, dati i binari su cui scorrono. sono, per ora. fini a se stesse. Forse, un fattivo dialogo si po– trà intrecciare solo uscendo dai limiti di quello che oggi è l' esi– stente politico: uscendone nnn tanto nel più ristretto senfìo par titico e militante, quanto in quel- lo ideologico, e uscendone, s'in tende, con ttn atto ed un'inizia– tiva critica nel senso più ~1"71.f>irl, quasi etimologico, di ques(a pa– rola. Una base comune c'è, ,l chi sappia cercarla: pensimn.J ai grandi problemi della nostra struttura nazionale che non so– no stati risolti né dal Risorgi– ·mento né dall'età giolittìana né da quella fascista e nefJpure dal– l'antifascismo: consideriamo l'e– volversi della nostra industria e la sua crisi, lo stagnare dei rap · porti agricoli, l'antico dramma della terra meridionale, le an– gustie del nostro mercato, l'i– nesistente ricambio della classe dirigente, i rapporti fra la cit– tà e la provincia, e tanti tanti altri problemi non ultimo tra i quali il continuo evolversi e ri– dùnensionarsi del valore del con– cetto di " patria ". E noi sen– tiamo che tutto questo non può essere risolto nei termini delle ideologie esistenti: sentiamo la parzialità del marxismo e del li– berismo, avvertiamo l'inesisten– za d'una completa rielaborazione cattolica di tutti i probfemi del– lo stato moderno. Questo che per alcuni è ancora oscura e non ben delineata intuizione, è già da noi vista e comprovata ora nella tranquillità della ricerca al tavolino di studio, ora nella quotidiana pratica politica. Al– lora, come scriveva B. Ciccar– dini, non ci resta che " prende– re coscienza di sè e rimboccarsi le maniche, dandoci pace ormai del fatto di avere Pochi maestri. pochi e per lo più poco ca/Jaci orr;anizzatori di nuovo lavoro e di nuove energie ". Per tutto questo, ben venga T. G. e la sua iniziativa: essa ha centrato il problema. Ma, se vogliamo davvero avere una " autonoma iniziativa gio– vanile ", dobbiamo anche porci dei limiti e renderci coscienti della loro esistenza e necessa– rietà. Innanzi tutto, un'iniziati– va Riovanile ben difficilmente Porterà a delle conclusioni de– finitive: non possiamo pretende– re di dettare delle soluzioni va– lide per tutti. T. G. non può certo limitarsi solo ad additare meccanicamente certi problemi e a rilevarne l'esistenza a chi non la conosce, ché nel far que– sto è e:ià imhlicita una certa presa di posizione ri1;uardo ad essi, ma neppure può P,efìume– re rii [!iune:ere a risultati defi– nitivi se pur questi sono possi– bili. Poi, c'è il pericolo dell'attivi– smo vuoto quanto f!enerico,· pe– ricolo sembre immanente nelle iniziative giovanili, quando l'en- ibliotecaGino Bianco tusiasmo in noi naturale non si niaturi in ardore di ricerca ma rimanga solo e semplicemente uno stimolo emotivo che si pro– ietta in ogni attività. Altro pericolo è quello di giun– gere a forniare una ristretta èli– te culturale, una specie di pre– zioso cenobio dei primi della classe: vero è che noi sentiamo la nostra com,e una vocazione culturale, ma questo deve voler dire un atto di a1nore verso il prossimo, non significare un ar– cano misticismo vocazionale che ci porterebbe i chiuderci sem– pre più in noi senza alcuna spe– ranza di apertura con le masse. Questa sarebbe la bancarotta di T. G., e forse bancarotta frau– dolenta verso la nostra cultura e la nostra società. Altra difficoltà è quella di con– servare l'individualità dell'inizia– tiva, di proteggerla dalla con– correnza sleale di altri consi– mili che quasi certamente ver– ranno, che saranno imposte dal– le varie parti esistenti le quali troveranno assai comodo f a!si– ficate ad temhus le loro ideolo– gie Per sbandierare nuove voci di libertà ed i pseudo-critici au– tonoma. Queste che son venuto som– mariamente indicando sono le ra– gioni per cui io ritengo di con– sentire a ciò che la vostra rivi– sta propugna e sono al tempo stesso i 1notivi di alcune mie per/Jlessità, di un certo mio nnn assoluto ottimismo: cosa questa che del resto Penso 'sia non del tutto in[!iusti_ficata, se ricordo che di fronte alla attuale si– tuazione politica anche Scassel– lati avvertiva che "un certo pes• simismo non può non essere nei giovani in un paese in cui tanti nodi vengono al pettine e su cui. in sovrappiù, pesa ln crùi deU'EuroPa e persino quella del– la cristianità cattolica; né certo io spero molto in una società do– ve " tutto è 'messo all'asta ", dove troppo spesso, per trovare un q11al,;1·asim hie(!o. il l!Ì01.•:1n.,. deve abdicare al suo ideale, pie– garsi e conformizzarsi. Scusami ora se vi ho scritto con />oca chiarezza e forse poca orir[inalità, e soprattutto con molta, troppa inesperienza. Più che altro. ho voluto, scrivendo a voi, mettere a fuoco alcuni ar{!o– menti e alcuni concetti che da tempo andavo rimue;inando in me stesso e discutendo con qual- che amico. · Vi sarò molto grato se vorrei e voi stessi additarmi quali sono le mie lacune, e i mezzi con cui correggermi. GIORGIO GHEZZI La lettera di Giorgio Ghez– zi ripropone una serie di temi che sono stati tradizionali di T. G. e in definitiva quei temi che hanno sollevato più pole– mica e che hanno dato adito a più critiche nei nostri con– fronti. Come non ricordare che pro– prio sul problema delle gene– razioni e su quello dell'unità del– Ja nostra generazione, sulla possibilità di una azione fuo– ri delle parti e sulla parzialità di tutte le parti esistenti, sul– la necessità di riprendere i problemi nella loro realtà, sba– razzandosi di ogni sovrastrut– tura culturale (quota zero), si sono verificate le prese di po– sizione piì1 dure nei nostri con– fronti? Molti sono stati indulgenti con noi, nonostante queste co– se e queste idee, e 1nagari han– no trovato buone le nostre in– chieste, significativi certi no– stri arti col i, ma ingiusti ficabi– le questa nostra mania sulla unità della generazione sulla quota zero e sul resto. Difatti la situazione cultura– le odierna è cosl slabbrata che può permettersi il lusso di ac– cettare ]e conseguenze di un discorso, purchè non appaiano chiaramente le premesse. Ma noi non fare1nmo inchieste e non andremmo a ricercare iniziati– ve, se non sentissi mo anche la validità dei discorsi precedenti. In realtà in base al rifiuto dei problemi da noi posti c'è una poca coscienza della gravità della crisi. E' vero che il pen– sare alla unità della generazio– ne attorno ai problemi fonda– mentali del paese, attorno alla necessità di sopravviYere e di far sopravvivere l'Italia, mette in crisi tutte le regole faticosa– mente coltivate che presiedono alla formazione delle cosidette classi dirigenti, alla dialettica delle forze politiche, al fun– zionamènto del sistema politi– co, al modo di egemonia eser– citato dagli intellettuali, alla esistente organizzazione della cultura. Nè ci si accorge che que– ste cose sono prive di signi– ficato nella nostra situazione: che il paese non ha risolto il suo problema di erigersi a Sta– to uni tari o ed omogeneo e che, cosa assai più grave, sta per– dendo la sua fisionomia e la sua indi pendenza. Tutti i cc politici n, tutti co– loro che sono impegnati alla difesa e alla propagazione di una ideologia si sono preoccu– pati di mettere in risalto la stranezza di porre il problema dell'unità della generazione o

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