Terza Generazione - anno II - n. 8 - maggio 1954

e nelle terre pubbliche prese 1n appalto dai « ca val ieri ». L'affermarsi della pastorizia transumante I ricchi dunque investivano nell'acquisto o nell'affitto di terre dello Stato o di comu– nità soppresse, n1a ad essi bastava una di– screta rendita da riscuotere senza preoc– cupazioni (18): mancava del tutto l'investi– mento nella conduzione e nel miglioramento della terra. Sotto queste influenze l'antico equili– brio economico delle popolazioni sannite era distrutto. La transymanza si sviluppava ora in una forma nuova: i greggi venivano ora dal basso, dalla Puglia, e occupavano d'estate i pascoli montani. Per la scarsa popolazione rimasta nel .Sannio, es a non presentava più nè vantaggi economici, nè vantaggi di scambi di civiltà: anzi ora che erano gli schiavi, turbolenti e fastidiosi che portavano i greggi bisognava guardare che non uscissero dalle strade stabilite, per pascolare illecitamente sulle colline. Al complesso intreccio degli antichi rap– porti si era sostituito un rapporto unila– terale: la pianura che si faceva po to in montagna. Un secolo dopo Catone, Varrone descrive a lungo la transumanza e la vita dei pastori: « Gli stessi luoghi, egli dice, non convengo– no per i pascoli invernali e estivi. Cosi si conducono le pecore della Puglia a pas– sare l'estate nel Sannio ». Le distanze co– perte sono spesso notevoli : già allora esi– stono le « calles publicae », cioè i tratturi. AJ momento di can1biare pascoli il pro– prietario deve dichiarare il numero delle be tie e pagare la ta sa. I greggi, che va– riano dai 700 ai 1000 capi, sono condotti da schiavi alla cui testa sta un « magister pecorum >> che deve sapere leggere, scrive– re e capire un ricettario di medicina e ve– terinaria che porta con sè. ella sua perenne ricerca di rendite si– cure il romano arricchito deve vedere di buon occhio pecore e pastori: la lotta che si svolge a Roma può chiamarsi lotta tra il pascolo e l'agricoltura. Dopo i Gracchi l.1 vittoria è del primo, e la legge agraria del · 111 la codifica chiaramente: si ridu– cono le assegnazioni fatte negli ultimi 30 anni e si sopprimono le due colonie di Ca– pua e di Taranto, situate in zone troppr importanti per l'econo1nia pastorale. A quest'epoca l'<< ager publicus » e l'« age, compascuus » sono adibiti a pascolo; e con essi molto terreno coloniale. La legge, è ve ro, stabiliva il n1assimo di bestiame da im mettere nei pascoli a s pecore e 10 bovini, per ogni proprietario. Ma questi erano i capi eh~ potevano pascolare gratuitamente i capi in più bastava che pagassero una locazione al Tesoro. L'impresa è affidata ai « conductores » che allevano le pecore e ne realizzano i pro- BibliotecaGino Bianco dotti: potrebbe trattarsi di una specie di contratto di soccida; ma in più il proprie– tario doveva fornire il pascolo, mentre il « conductor » pagava le tasse al fisco. L'esa– zione fiscale era affidata a « pubblicani », così pensa il Grenier (19), sulla base di un documento giunto fino a noi. Sulla por– ta di Altilia (Saepinum) esiste (o almeno esisteva nel 1905) una iscrizione del 168 a.C. dove si legge una protesta contro al– cuni « tationarii » locali che arrestano i pastori e confisèano i loro cavalli; col pre– testo che loro sono schiavi e le cavalcature sono rubate. E si reclama in favore dei pastori per tutelare gli interessi del fisco. In base a questi fatti il Grenier pensa che gli « stationarii » incaricati della riscossio– ne della tassa (la « scriptura censoria » co– me la chiama Varrone) non dipendessero di– rettamente dal Tesoro, che aveva tutto l'in– teresse alla prosperità della pastorizia, ma da appaltatori delle tasse per i quali ogni provento in più era tutto di guadagnato. [ pubblicani dunque avevano una funzione di primo piano in tutta l'organizzazionP. tran umante e presto cominciarono anche a esercitare in proprio l'allevamento, oltre che a riscuotere tasse. on bisogna credere infatti che l'ese, cizio dell'allevamento fosse privo di d~f ficoltà: non indifferente era l'obbligo, che gravava anche sugi incolti, di pagare la tassa in grano. Procurarsi il grano e tra– sportarlo ai magazzini come la legge pre– scriveva non era cosa da poco in regioni dove ormai il grano scarseggiava e i tra- porti erano difficili: questo stesso fatto deve aver favorito per la sua parte la ten– denza del pubblicano a identificarsi col conductor. Ma qui si pone un altro problema: come mai l'allevamento delle pecore resisteva cosl bene? In fondo l'esaurimento del suolo, lo spopolamento e il fallimento del sistema coloniale lasciavano posto libero al pasco– lo più che sollecitarlo positivamente. La risposta a questo quesito si trova in alcune cifre indicative riportate dallo Oliva, sualla base di indicazioni degli anti– chi e di congetture di Frank, del Barba– gallo e del Beloch: esse riguardano, per diversi generi, il prodotto ad ettaro in quintali, il prezzo al quintale, la produzio– ne lorda ad ettaro in argento: Prodotto Prezzo Produzione per ettaro al q. (in den.) lorda per h. (quintali) (in argento g.) (in denari) Grano IO 12 46.20 120 Vino 6o I I 4 2 ·35 66o Olio 4 40 154.00 160 Lana 0,2 150 577.oo 30 Agnelli I ,5 90 346.50 1 35 Se intanto si confronta la produzione lor– da di un ettaro a grano e di un ettaro a pascolo, il primo rende 120 denari contro 165 del secondo. Ma questo non indica ancora la differenza reale di reddito per– chè si tratta di produzione lorda: alle due cifre si devono sottrarre le spese, che sono logicamente superiori per coltivare un et– taro a grano che per tenerlo a pascolo. Basta pensare che uno schiavo con due buoi poteva garantire, in un periodo di se– mina di circa 20 giorni, la lavorazione di 30-40 jugeri, cioè da 0,3 a 0,4 ettari al giorno (il che è vero anche oggi per i nostri contadini) : per un ettaro erano necessari dunque 6 buoi e 3 uomini. 11 fatto fondamentale però stava nel prezzo della lana,che valeva da sola quanto tutti gli altri prodotti messi insieme. Il prezzo della lana era dunque la ra– gione economica dell'allevamento e della vita pastorale: ma la sua ragione sociale era più larga e col tempo si allargò ancora. Più l'autorità statale s'indeboliva, più pastori se ne avvantaggiavano fino ad a - sumere la fisionomia di briganti: s1 co– minciava con uno sconfinamento e una lite e si arnvava a violenze e rapine. Di questo stato di cose abbiamo sintomi im– portanti fino dal tempo della repubblica: nel 135 a. C. (per esempio) P. Popilio Lae– nas viene inviato in Sicilia, dove i pastori avevano invaso le terre comuni, per darle, in applicazione della riforma gracchiana, ai coltivatori. Casi simili si trovano con– tinuamente: nel tardo impero la situazio– ne doveva essere molto peggiorata. Nel secolo XVIII fu trovata una lapide su un guado del Biferno dove transitava un tratturo. Lo stile e la menzione di un « cancellarius » sembrano datarla, secondo il Grenier, al ten1po dei Goti: ma essa ha i1nportanza per il periodo imperiale pro– prio perchè « ha per scopo di rimettere in vigore la legislazione antica ». L'iscrizione ricorda ai pastori l'obbligo di abbandonare i tratturi e accamparsi nei « riposi » e non a casaccio per la campagna. Poichè vi si parla di giustizia e di buon ordine e non ci si richiama a danni alle colture, secondo il Grenier è anche pensabile che tutta la zona fosse ormai incolta. Il risultato dell'indisciplina pastorale fu che i pastori non pagarono più la tassa: lo sfacelo dell'Impero deve aver segnato per essi una epoca di grande prosperità e pre– stigio. La loro attitudine al brigantaggio li rendeva temibili. Nel codice Teodosiano pastore e brigante sono sinonimi e i pastori sono sospettati di tutti i delitti che avven– gono: a questo scopo si proibisce ad essi d: tenere cavalli. La disposizione vale in Puglia, Calabria, Bruzio, Lucania e Sannio. La proprietà si evolveva a questo stato di cose: era fortemente concentrata in tut– to il Sud. Simmaco aveva grandi pos essi proprio nel Sannio. Pare che nel bas o im– pero in tutto il Mezzogiorno esistessero popolazioni libere solo a Buxentum, Tempsa e Crotone: la Lucania era definita paese di schiavi. Come si rileva dalle donazioni fatte da Costantino alla Chiesa, il patri- 21

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