Terza Generazione - anno II - n. 8 - maggio 1954
rono eseguite dai romani anche se in su• perfìci limitate. Si regolarizzavano i fiurn; che dopo le inondazioni lasciavano del li– mo utilissimo, e si cercava di eliminare i dan– ni igienici delle acque stagnanti: cosl il mi– glioramento agricolo corrispondeva alle zone di pianura, dove solo si stabilivano le co• Ionie romane. Probabilmente invece gli Etruschi si erano occupati anche delle col– line, ma perchè dopo di loro si riparli di questo argomento bisogna arrivare a Pier de' Crescenzi (sec. XIII) ( 12). Allora le col– mate di monte e il terrazzamento trovano posto nella letteratura agronomica. Per tut• ta l'epoca romana quindi le colline, cioè gran parte dell 'I tali a, non conoscono siste– mazioni. E' vero che l'agricoltura romana usava il maggese, ma bisogna rilevare intanto che si tratta di una tecnica colturale atta a impedire o rallentare l'esaurimento più che a ristabilire il terreno, quando altre cause abbiano provocato l'esaurimento. Ancora l'introduzione degli schiavi de– termina un notevole peggioramento nella ordinaria tecnica di lavorazione: si abban• dona ad esempio la semina seguita dalla ·' . . . sarchia tura e s1 com1nc1a a seminare con l'erpice ( 13); e Plinio troverà universal– mente diffuso questo sistema che· diminui– sce la resa unitaria dal 20 al 30 per cento. Infine si cominciò a saltare gli anni in cui era il turno del grano: il terreno induriva sempre più. Da questo intreccio di fatti può spiegarsi l'esaurimento del suolo e la sua azione sulla crisi agricola italiana. Il processo andò sempre più acceleran– dosi: Columella ci dirà che la Toscana, la quale sotto Augusto rendeva 10-15 volte il seme, al tempo di Nerone era scesa a 4. Cosl lo stesso Rostowzev, sebbene neghi l'esaurimento del suolo nelle provincie, lo ammette p~r alcune regioni italiane (14), da cui esclude il nord d'Italia, !'Etruria e la Campania. Se per il nord è probabile che ciò sia esatto (15), per !'Etruria le notizie d: Columella starebbero a dirci il contra– rio; allo stesso modo lo spopolamento che vedremo in Campania ci direbbe che il processo doveva essere in quella regione molto avanzato. Così la concentrazione fon• diaria del Sannio e della Apulia starebbero a indicare le gravi condizioni di quelle zone. Per la Sicilia le cose do,·evano essere anche più gravi. Al continuo sfrut– tamento dell'epoca cartaginese era seguito quello dei romani: Cicerone aveva defi– nito la Sicilia « cellam plenariam repu– blicae nostrae, nutricem plebis romanae », ma ben presto il volume della impor– tazione da essa diminul in assoluto e in proporzione a quella dall'Africa. Si par– la di 320.000 quintali annui dalla Sicilia e di z milioni e 800 mila. dall'Africa; cer– tamente le proporzioni non dovevano esse– re molto lontane da queste; « già al tem- BibliotecaGino Bianco po di Cicerone, dice il Mommsen, la ca– pitale dovette per la maggior parte vivere de] ijrano africano » ( 16). Lo spopolamento L'azione dell'esaurimento del suolo an– d,:i a sommarsi con il progressivo spopo- lamento dell Italia. Su questo argomento è assurdo preten– dere cifre esatte, e del resto è sufficiente ri– costruire un andamento esprtsso nelle gran– di linee da cifre approssimative. Non si sa se le cifre del Grimaldi e del Galanti sulla popolazione del Mezzogiorno prima del dominio romano siano esatte: questi autori danno rispettivamente 19 e 10 milio– ni di abit1nti. La popolazione era molto ridotta nel III secolo a. C.: in base all'opinione di vari autori l'Oliva la stima a 3 milioni per tutta l'Italia fino agli Appennini. In base al cen– simento del 70 a. C. il Mommsen ritiene che la popolazione libera, compresa la Ci– salpina, fosse di 6-7 milioni di abitanti. Su queste sommarie indicazioni si può con– cludere che al forte popolamento del VI e V sec. era seguito un notevole decremen– to, intrecciato alle diminuite possibilità dt sussistenza e alle devastazioni delle guerre. Alla fine del II sec. a. C. la popolazione era secondo Catone e Polibio, molto dimi– nuita rispetto alla fine del terreno. Il Sud appariva ormai terra di pastori e di schiavi, e in misura notevole anche il Lazio, l'Etru– ria e l'Umbria, la Puglia, la Lucania e il Bruzio erano regioni malsicure dove i pa• stori si trasformavano spesso in briganti. [1 Sannio che dopo le guerre Sannitiche aveva visto aun1entare la s a popolazione con l immigrazione di coloni liguri ebbe un gravissimo colpo dall'invasione di Annibale. La stessa sorte subirono l'Apulia e la Cam– pan:a. Anche considerando le deduzioni delle colonie si possono avere indicazioni sulk regioni più spopolate: nel Sud si tenta ripetutamente la colonizzazione e spesso a distanza di uno o due secoli si deducono nuovi coloni. Esse non dovevano per va– ri motivi avere vita facile: probabilmente erano i motivi di crisi interna accennati dal Salvioli i responsabili di tutto ciò (17): ad esempio la Campania fu da ·Cesare data ai coloni ma presto si spopolò di nuovo. Mancavano spesso i colonizzatori veri e propri: più le guerre si estendevano, più compariva la figura del soldato rotto a tutte le esperienze che non aveva nessuna vo– glia di far figli e migliorare la terra. Spesso la affittava: alla lunga la politica delle colonie fu abbandonata, al tempo di Adria– no. Ormai i veterani, invece di terra, pre– fe::-i vano un premio in denaro. Le colonie furono inoltre un motivo di peggioramen– to delle condizioni degli Italici che veni- vano spinti sui monti o verso l'emigrazione che dovette sempre essere fortissima: pare infatti che ne11'88 a. C. Mitridate abbia ucciso a Delo 20.000 Italici. Certamente negli ultimi due secoli del– l'evo antico la popolazione aumentò di nuo– vo ma i 7 milioni del 70 a. C. sono ancora inferiori alla popolazione dell'Italia prima c.he guerre, devastazioni e esaurimento del snolo si facessero sentire. L'agricoltura ita– lica serviva al consumo ed era ordinata in funzione di esso: le zone piane e le zone intorno alle città dove si pratica a l'a– gricoltura, tanto più · vedevano diminuire la popolazione che viveva su di esse tanto più diminuivano l'intensità e la superficie agricola. In queste zone non era il lati– fondo e il pascolo che agivano direttamente contro l'agricoltura: era lo spopolamento che lasciava spazio ai greggi e ai pastori. Per queste cause già al tempo di Catone il pascolo era ben esteso in Italia e con esso il latifondo. Anche la transumanza era stabilita: un secolo dopo la trovere– mo accuratamente descritta da Varrone. La tesi della concorrenza del . grano importato L'esaurimento del suolo e lo spopolamento sono le cause principali della crisi. Che ne è allora dell'altra tesi che vede nella con– correnza del grano siciliano e d'oltremare la causa della crisi agricola in Italia? In base agli studi del Sal violi si può dire che e~sa non risponde a verità. Basta ricordare le condizioni della via– bilità per rendersi conto come Roma non ayesse modo di importare grano dalle re– gioni italiane a prezzi convenienti: le spe– se di trasporto raddoppiavano e triplicava– no il prezzo del grano. E a parte le con– dizioni dell'epoca, il trasporto di acqua era anche allora meno costoso che il tra– sporto del gr~mo a dorso di mulo in an– fore di terra. Ma se anche le condizioni della navigazione mediterranea non erano brillanti e i trasporti erano lenti, tuttavia per Roma dovevano bastare: se un anno k mancava il grano africano, nella città compariva la carestia. Così fu nel 385 d. C. che vide nella Cisalpina un ottimo rac– colto di fieno senza che Roma ne potesse trarre il minimo giovamento. L'Italia insomma produceva per il con– sumo dei suoi centri urbani che all'epo– ca di Augusto erano 384; ad essi si ag– gi ungeva l'esercito stanziale. Essa era del tutto staccata da Roma' con cui esistevano scarsi rapporti economici. La cerealicoltura in Italia non poteva quindi sentire nessun contraccolpo daJl'importazione a Roma: es– sa dipendeva solo dalle condizioni del suolo e dal numero delle sue bocche da sfamare. Finora abbiamo esaminato l'evoluzione delle zone di pianura anticamente colti- 19
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