Terza Generazione - anno II - n. 8 - maggio 1954
"bliotecaGino Bianco zione fu più profonda. Chi non si limitò a sfogliare la dozzina o poco più di libri sorprendenti che uscirono oltreoceano 1n quegli anni ma scosse la pianta per farne cadere anche i frutti nascosti e la frugò intorno per scoprirne le radici, si capacitò presto che la ricchezza espressiva di quel popolo nasceva non tanto dalla vistosa ri– cerca di assunti sociali scandalosi e in fon– do facili, ma da un'aspirazione severa e già antica di un secolo a costringere senza residui la vita quotidiana nella parola. Di qui il loro sforzo continuo per adeguare il linguaggio alla nuova realtà del mondo, per creare in sostanza un nuovo linguaggio, ma– teriale e simbolico, che si giustificasse uni- camente in se stes~o e non in alcuna tradi– zionale compiacenza. E di questo stile che, sovente banalizzato, pure ancora sorpren- deva negli ultimissimi libri per la sua in– solita evidenza, non fu difficile scoprire ini– ziatori e pionieri nel poeta Walt Whitman e nel narratore Mark Twain in pieno Otto– cento. A questo punto la cultura americana di– venne per noi qualcosa di molto serio e prezioso, divenne una sorta cli grande labo– ratorio dove con altra libertà e altri mezzi si perseguiva lo stesso compito di creare un gusto uno stile un mondo moderni, che forse con minore immediatezza ma con al– trettanta caparbia volontà, i migliori tra noi perseguivano. Quella cultura ci apparve insomma un luogo ideale di lavoro e di ri– cerca, di sudata e combattuta ricerca, e non soltanto la Babele ài clamorosa efficienza, di crudele ottimismo al neon che assorda– va e abbacinava gli ingenui e, condita di qualche romana ipocrisia, non sarebbe stata per dispiacere neanche ai provinciali ge– rarchi nostrani. Ci si accorse, durante que– gli anni di studio, che l'America non era un altro paese, un nuovo inizio della sto– ria, ma soltanto il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove ve– ni va recitato il dramma di tutti. E se per un momento c'era apparso che valesse la pena di rinnegare noi stessi e il nostro pas– sato per affidarci corpo e anima a quel libero mondo, ciò era stato per l'assurda e tragiconomica situazione di morte civile in cui la storia c1 aveva per il momento cacciati. La cui tura americana ci permise in que– gli anni di vedere svolgersj come su uno schermo gigante il nostro stesso dramma. Ci mostrò una lotta accanita, consapevole, incessante, per dare un senso un nome un ordine alle nuove realtà e ai nuovi istinti della vita individuale e associata, per ade- guare ad un mondo vertiginosamente tra– sformato gli antichi sensi e le antiche pa– role dell'uomo. Com'era naturale in tempi di ristagno politico, noi tutti ci limitam– mo allora a studiare come quegli intellet– tuali d'oltremare avessero espresso questo dramma, come fossero giunti a parlare que- sto linguaggio, a narrare, a cantare questa favola. Parteggiare nel dramma, nella fa– vola, nel problema non potevamo aperta– mente, e cosl studiammo la cultura ame– ricana un po' come si studiano j secoli del passato, i drammi elisabettiani o la poesia dello stil nuovo. Ora, il tempo è mutato e ogni cosa si può dirla, anzi è più o meno stata detta. E succede che passano gli anni e dall' Ame– rica ci vengono più libri che una volta, ma noi oggi li apriamo e chiudiamo senza nessuna agitazione. Una volta, anche un li– bro minore che venisse di là, anche un po– vero film ci commoveva e poneva problemi vivaci, ci strappava un consenso. Siamo noi che invecchiamo o è bastata questa poca Libertà per distaccarci? Le conquiste espres– sive del '900 americano resteranno - un Lee Masters, un Anderson, un Hemingway, un Faulkner vivono ormai dentro il cielo dei classici, - ma quanto a noialtri nem– meno il digiuno degli anni di guerra è ba– stato a farci amare d'amore quel che di nuovo ora ci giunge di laggiù. Succede tal– volta che leggiamo un libro vivo che ci scuote la fantasia e fa appello alla nostra coscienza, poi guardiamo la data: anteguer– ra. A esser sinceri insomma ci pare che la cultura americana abbia perduto il magi– stero, quel suo ingenuo e sagace furore che la metteva all'avanguardia del nostro mon– do intellettuale. Nè si può non notare che ciò coincide con la fine, o sospensione, della sua lotta antifascista. Cadute le costrizioni più brutali, noi ab– biamo compreso che molti paesi dell'Euro– pa e del mondo sono oggi il laboratorio dove si creano le forme e gli stili, e non c'è nulla che impedisca a chi abbia buona volontà, vivesse magari 1n un vec– chio convento, di dire una nuova parola. Ma senza un fascismo a cui opporsi, senza cioè un pensiero storicamente progressivo da incarnare, anche l'America, per quanti grattacieli e automobili e soldati produca, non sarà all'avanguardia di nessuna cul– tura. Senza un pensiero e senza lotta pro– gressi va, rischierà anzi di darsi essa stes– sa a un fascismo, e sia pure nel nome delle sue tradizioni migliori. CESARE PAVESE da « La letteratura americana e altri saggi n
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