Terza Generazione - anno II - n. 5 - febbraio 1954
e mercantilista, così avviene ancora oggi negli Stati Uniti; ma anche in questo caso il sistema economico tradizio– nale crea solo una certa gamma di professioni a cui la _scelta umana viene ristretta: il fatto che la professione coincida o no con l'attitudine naturale, con la vocazione umana di ciascuno, trascende i termini correnti. Pure, noi insistiamo su questo punto e crediamo che la questione debba essere in qualche modo capovolta. Per noi il problema parte dall'uomo, dalle attitudini umane che ciascuno porta in sè, per cui ciascuno può di– ventare realmente insostituibile, e capace di un lavoro · efficiente ed economico, proprio perchè, corrispondendo alla sua personale capacità e vocazione, ciascuno può darvi il meglio della sua creatività: a questa condizione sol– tanto si giunge a fare del lavoro, un lavoro umano e della ~ professione la specializzazione tecnica della propria vo- . · cazione. E' oggi invece sofisma diffuso quello economicista che considera l'uomo unicamente come forza-lavoro, capace = cioè di un lavoro qualsiasi fondato su mere abilità tecni- 1 che, che considera quindi gli uomini come del tutto in– i tercambiabili: per noi ogni uomo ha una sua specificità, integrabile con altre a certe condizioni. Perciò crediamo plausibile l'ipotesi che fine dello sviluppo storico sia la 1 l liberazione delle energie di un sempre maggior numero di uomini in grado di essere imprenditori delle proprie ,Pet·sonali capacità produtti,ve, in grado cioè di innovare ·la storia ed espandere la vita, purchè sia loro permesso di e trovare le giuste integrazioni con altri uomini. E' il problema che ciascun giovane si pone e che, risol– .vendosi, comporta il raggiungimento della sua matura– zione umana e del suo giusto e proprio intervento attivo ,nella vita sociale. Se andiamo rilevando l'ampiezza e le ,differenze qualitative tra le varie attitudini umane, il pro– lblema emerge nella sua complessità: esistono infatti, ad .esempio, attitudini umane a conoscere la realtà nella sua essenza o nel suo potenziale storico o nel suo aspetto 1 tecnico, o a conoscerle in forma critica o altro; attitudini ,a stimolare le disponibilità umane, a far conquistare loro un'adeguata tensione morale, a trovare i giusti rapporti con gli altri, a combinare le giuste integrazioni; attitu– _ldini a combinare i capitali umani con gli indispensabili jfattori strumentali, attitudini a imprendere nuovi tipi di .operazioni, a rilevare i giusti bisogni, a organizzare la vita sociale da diversi punti di vista, ecc.; attitudini a produrre arte, o a vivere religiosamente per la vita di j tutti e via dicendo. . Il problema~ di ri~sc~re v_iavia a garantire la possibilità .che nessun capitale innovativo vada perduto senza diven– tare storicamente produttivo di beni che, consumati, pos- sono essere ricchezza per tutti, condizione dell'altrui pieno sviluppo. Un lavoro « comunque e qualsiasi » non basta . ' . piu oggi. Porre in questa prospettiva la questione, e porre la Biblioteca Gino Bianco legittimità e possibilità di questa stessa prospettiva, la sua non utopicità, è essenziale in una situazione come quella italiana, in cui il sistema non riesce più ad assor– bire e utilizzare in forme produttive di rilevanza econo– mica gli uomini disponibili neppure come forza-lavoro e dove perciò si fa obiettivamente più forte la soliecita– zione a un sistema socialista pianificato, il quale solo è capace di assicurare in ogni situazione almeno l'assorbi– mento materiale di tutta la forza-lavoro, anche se elimina le condizioni stesse di partenza per poter proporre la prospettiva che noi ci poniamo. · Se interroghiamo noi stessi e constatiamo quanto tutte le nostre vere speranze, le aspirazioni prof onde di strade proprie, devono rimanere segrete, schiacciate dall' inevita– bile compromesso di una vita associata che non le può accogliere quasi mai, e nel migliore dei casi le costringe a burocratizzare la vita su strade generiche, a ridurle nei panni di personaggi antiquati, inattuali e statici - la risposta non può essere equivoca. A noi non resta altra speranza che quella di rischiare tutto quello che è in noi per trovare la via in cui ciascuno non sia un capitale sprecatoz inutilizzato o messo su strade non sue, antieco– nomiche e in definitiva illusorie; di rischiare, perchè la più reale ricchezza del nostro paese noo si deteriori ogni giorno fino a svilire, come è inevitabile avvenga se re– sta inerte. Alla base della nostra critica all'esistente c'è il senso profondo di timore che questo svilimento avvenga, anzi la radicale sensazione che in molta parte sia già processo largamente avanza~o, proprio mentre si continua, e sem– pre più affannosamente, a tentare la costruzioné di ormai impossibili equilibri di risorse e beni mater~ali, che il nostro paese non ha, e si cerca di far partire da essi la soluzione del problema di fondo, quello umano, quello che più ci. interessa e deve interessare al fondo tutti, e dal quale, sia pure in modi del tutto oscuri, sentiamo si debba in Italia ormai partire . Ne denunciano l'urgenza gli stessi sintomi che testi– moniano direttamente o indirettamente lo svilimento delle capacità umane; la stessa imponenza delle forze-lavoro inu– tilizzate e inutilizzabili, la squalificazione crescente dei giovani, lo squilibrio sociale, la rigidità del sistema eco– nomico, l'imprevedibilità degli effetti degli interventi, la crisi delle capacità imprenditive economiche nei modi, tradizionali, con il crearsi di una tendenza a non eserci– tare più la funzione dell'impresa col venir meno dei ter-· mini usuali di convenienza. Come fare? E' possibile invece che la ricchezza umana del nostro paese possa man mano essere tutta utilizzata? E' possibile che questa nostra unica speranza umana non sia utopia? Non siamo ancora in grado certamente di di– mostrarlo nè teoricamente nè praticamente e non abbiamo ritegno a dirlo: anzi è proprio per questo che chiediamo la collaborazione di tutti e chiediamo ad alcuni di af– frontare il rischio di vie non battute. 3
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