Terza Generazione - anno II - n. 5 - febbraio 1954

Italia disoccupata A chi si pone il problema di prender contatto con situazioni umane reali e a questo scopo viaggi e parli con persone diverse, viene ben presto spontaneo consi– derare quanto l'Italia sia ricca di capacità umane. E viene spontaneo anche il paragone con l'opinione tradizionale che considera il nostro paese ricco soltanto « di braccia » e povero di tutto il resto, e la memoria di come queste capacità siano state male indirizzate nel passato su inna– turali vie di presunzione e di potenza o lasciate a se stesse ad « arrangiarsi » in giro per il mondo. Vogliamo dire che l'Italia è ricca di uomini intelli– genti anche se possono essere analfabeti, come sanno ad esempio i pionieri dell'educazione degli adulti che si tro– vano sovente in difficoltà di fronte ai problemi loro posti dagli insoliti allievi; che è ricca di uomini sensibili ai valori del bello e della civiltà culturale, come testimo– niano centinaia di contadini che leggono Dante o im– provvisano gare poetiche in ottave; che è ricca di uomini capaci di iniziative anche se soltanto di rado lo possono dimostrare in patria o sono costretti a farlo, per esem– pio, ai margini del mercato legale; che è ricca di uomini e donne capaci di solidarietà e di sacrificio anche se la disgregazione sociale oggi li travolge, come testimoniano le lotte quotidiane di famiglie, paesi, fabbriche, per il pane; che è ricca di uomini sensibili ai problemi della vita morale, della giustizia e del dovere anche se molto spesso la loro voce non si sente o sembra utopia, anche se molto spesso sono spinti a manifestare queste virtù in forme stravolte o che sembrano tali ai nostri occhi perchè si esplicitano in forme storicamente superate (mafia, ban– ditismo, ecc.). Ciò non significa nè che queste doti e queste capacità siano monopolio degli uomini del nostro paese, nè che da esse debba derivare una qualsiasi forma di primato na– zionalista. Al contrario ciò che più legittimamente e ri– gorosamente consegue è la considerazione che le qualità di questo « capitale umano», di queste «risorse» sono oggi senza impiego di sorta, non riescono a essere com– binate prod~ttivamente, ad acquistare valore e significato economico, sono disoccupate. E' una situazione che in dimensioni anche maggiori si può constatare nei paesi cosiddetti arretrati, dall'India alla Cina, dall'Africa ai paesi del mondo mussulmano, ma il fatto da notare è che questo avviene anche in Italia ove pure si è sviluppata una vita moderna ed esistono atti– vità economiche culturali e sociali a livello moderno. Biblioteca Gino ~ia 1èo Di questo fatto esistono varie spiegazioni, ma non esi– ste peraltro alcuna teoria economica che consenta di chia– n1are disoccupato o inoccupato questo « capitale umano», nei termini in cui lo abbiamo prima descritto. Nei ter– mini « disoccupato-inoccupato » si considerano solo i la– voratori in posizione subordinata che hanno già avuto una occupazione per le loro abilità tecniche e che l'hanno perduta, o coloro che non avendo avuto comunque pre– cedenti occupazioni sono in cerca di lavoro per la prima volta. Ciò significa che non abbiamo oggi mezzi per va– lutare esattamente il problema e che quindi il mondo moderno si è sviluppato senza affrontare la questione della trasformazione sistematica delle capacità umane in capacità economicamente produttive, se ndn riducendole a un fatto di mera abilità tecnica e materiale. Nessun sistema storico esistente o esistito si è posto mai esplicitamente il problema della trasformazione si– stematica delle capacità inventive umane in capacità eco– nomicamente produttive. Che il sistema capitalistico, an– che nei periodi migliori, abbia quindi saputo utilizzare solo una piccola parte delle capacità umane, e ne abbia lasciato la maggiore inerte, è un fatto incontestabile; che il sistema socialista pianificato sappia garantire l'utilizza– zione di una parte maggiore rispetto a quello capitalistico, ma lasci anch'esso la maggior parte inerte o lo elimini ad– dirittura forzosamente, è un altro fatto incontestabile a chiunque rifletta sulle possibilità di espansione non solo quantitativa, non solo tecnica, ma qualitativa delle capa- . ' cita umane. Purtroppo si è diffusa largamente l'opinione che la disoccupazione del « capitale umano», che la scarsa tra• sformazione delle capacità umane (proprio in quante hanno di più originale e specifico) in capacità economi• camente e socialmente produttive, sia un fatto inevita• bile: si finisce così di confondere vocazione umana cor professione o di restringere la operatività reale della vo– cazione nei termini concreti delle professioni storicamen te riconosciute. Non si riflette che il buonsenso giudica che un sistemf economico sia in sviluppo quando riesce non ad aumen tare il numero degli addetti a una certa professione e ; differenziare le professioni, ma a esigerne di nuove, , soprattutto a sviluppare in modo sempre più sistematicc' le possibilità e i modi di lavoro imprenditivo creatore d nuove occasioni di lavoro. Così parzialmente è avvenut< per il sistema capitalistico rispetto a quelli corporative

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