Terza Generazione - anno II - n. 5 - febbraio 1954

rimase più che altro allo stato di velleità intellettualistica: e la testimonianza piiì, precisa resta forse il contatto stabilitosi tra So,·el e il gruppo dell'« Action française » negli anni 1910-1913, con la collaborazio– ne del primo alla rivista nazionalista L'In– dépendance. E l'incontro tra sindacalisti e socialisti rivoluzionari da una parte e na– zionalisti e monarchici dall'altra, sono fat– ti che contrassegnano nei principali paesi d'Europa il formarsi di una forza di crisi. Parzialità deltintuizione di crisi Inoltre mi sembra opportuno portare tJna limitazione al concetto di « intuizione della crisi » che fu proprio del fascismo: è vero che questo valore, nella tua inter– pretazione, è già molto limitato dalla con– statazione di una mancanza di cultura del– la crisi e dal prendere il termine di intui– zione nel suo senso proprio di fatto visi– vo, prescindendo dunque dalla validità delle 1notivazioni costruite per sorreggere la realtà veduta. Ma questa intuizione ri– sente inoltre di una parzialità estrema, in quanto accomuna nella generalizzazione della crisi anche forze e direttrici storiche che rappresentano una reazione alla crisi, determinando una perdita,· ciò deriva dal fatto che la intuizione della crisi è stata con– tratta in modo violento da un vincolo po– liticistico-tatticistico, perchè si è visto nella situazione di sfascio di alcune forze (Stato liberale e partito socialista) soprattutto una occasione, da sfruttare, un fatto strumen- Fascismo) ' soc1eta • L'esigenza di un « giudizio storico » sul fascismo nasce dalla constatazione della insufficienza dei giudizi politici, ideologici e di costume dati dall'antifascismo comuni– sta o « restauratore ». Intendiamoci, l'insufficienza di tali giu– dizi non sta, a mio parere, nella loro in– validità, ma nel loro essere puramente po– litici. Cioè il fatto storico, non del fasci– smo come realtà politico-ideologica, ma della vita italiana del periodo 1920-1943 non viene spiegato dicendo che le classi pa– dronali finanziarono le squadre d'azione, nè dicendo che Mussolini approfittò della debolezza dello Stato per impadronirsene con la violenza. Queste considerazioni, pur essendo vere, non spiegano come una parte della gene– razione della guerra prese l'iniziativa del fascismo, nè come esso si affermò riceven– do l'adesione di parte del popolo che nul– la aveva a che fare con le violenze e con la reazione classista, ne spiegano come og– gi, essendo il fascismo sconfitto militar- 9iblioteca Gino Bia·nco tale rispetto alt' avvento e alla durata del fascismo al potere. Voglio dire che la intui– zione, dato certamente qualitativo, fu de– viata alt' origine nella direzione tatticistica e copri fin dall'inizio un'area assai più ri– stretta di quella che era disponibile: àa ciò la violenza brutale esercitata in lar– ghissima misura contro forze in possesso della intuizione di crisi (sentite forse oscu– ramente come « vere » concorrenti: in par– ticola,·e quelle comuniste) e la relativa in– cidenza nel settore più in cdsi, quello bor– ghese, di cui fu eliminato per sostituzione soltanto il personale politico e nemmeno ttttto. Di qui anche la possibilità di ten– tare la ipotesi della continuità in sede in– terpretativa: con Volpe per la coscienza nazionale, con Gentile per lo Stato Ubera– le forte, rifacendosi alle «origini», alla de– stra spaventiana. Questa parzialità dell'intuizione, che è alla base del fascismo, appare anche nel modo in cui esso avverte la sua posizione rispetto a quella degli « altri ». Ed è un modo « fisiologico », « eugenico » di senti– re il rapporto: l'uomo sano in mezzo ai malati, l'uomo giovane in mezzo ai vec– chi, la nazione giovane in mezzo alle na– zioni vecchie. Purtroppo non si trattava soltanto di immagini, ma di vera ristret– tezza di angolazioni mentali: angustia che, prima di verificarsi nella ignoranza, nella mancanza di una cultura della crisi, si sco– pre nella insufficienza originaria della stes– sa intuizione di base. LEOPOLDO ELIA e • nazione italiana mente e politicamente, una parte della gio– ventù si richiami a esso per affermare sen– za riuscire a viverli i :valori di missione italiana nel mondo, di dignità nazionale, di ordine politico, di costume sociale vi– rile. La reazione alla cris~ Che il fascismo nella sua poverissima es– senza ideologica fatta di nazionalismo e di totalitarismo, fosse in verità una negazio– ne dell'ordine, un principio sovversivo, una negazione della missione universalisti– ca romana cattolica e italiana, che la poli– tica estera del governo fascista fosse nul- 1' altro che una brutta copia della politi– ca di potenza inglese, che le riforme so– ciali del regime fascista si riso! vessero in demagogiche proclamazioni di alleanza tra capitale e lavoro sotto la vigile sorveglian– za della classe padronale, che il costume e lo stile dei gerarchi faseisti fosse essen– zialmente conformismo e brutalità anticul- turale, tutto ciò i fascisti, che affermano quei valori che dicevo, sia pur confusa– mente lo sanno, ma ciò non è per loro sufficiente per divenire antifascisti. Non è sufficiente perchè l'antifascismo, come pura reazione politica, non ha preso coscienza della crisi dalla quale è nato il fascismo, non come superamento, ma co– me reazione. Che il fascismo sia nella crisi e non oltre la crisi appare dalla indifferenza e quasi dall'odio verso la cultura, da parte dei suoi iniziatori, e dalla violenza fisica del suo inizio. « L'imperialismo è la legge su– prema della vita, sia degli individui che dei popoli » scriveva Mussolini. L'antifascismo non ha capito che que– ste parole non sono l'espressione di un fatto nuovo e inusitato, ma che sono in– vece l'espressione di una reazione nuova a un fatto che era prima del fascismo. Quelle· parole sono una reazione, in campo poli– tico, alla crisi della dirigenza spirituale del mondo, all'incapacità da parte degli uomini della religione, della politica e della cultura, di assumere la direzione dei fini universali, Si erano perduti, attraverso il pos1t1v1- smo e l'idealismo, i fini della vita; e si erano perduti, dopo il Risorgimento, i fini dell'Italia. La guerra si rivelò una « inu– tile strage », la crisi morale postbellica fu violentissima in Francia, in Italia e soprat– tutto in Germania: la società ebbe nausea di se stessa. Per la Germania basta legge– re Doe blin e Kafka. Il fascismo come coscienza della crisi dei fini della società culturale e politica, si presentò come un riscatto dalla situaM zione di cattiva coscienza che aveva la so– cietà. Mussolini apparve come il solutore del problema morale della società italia– na, perchè non vi fu nessuno che com– prendendo più umanamente di lui la crisi ne indicasse la vera soluzione nella ricom– posizione a unità della nazione, nel supe– ramento della lotta di classe, per la conti– nuazione della missione italiana nel mon– do. Missione di unificazione della civiltà. L ~unità e la vocazione nazionale E il fascismo vinse per questa carenza, vinse, vorrei dire, nonostante i fascisti, no– nostante cioè che gli italiani che lo appog– giarono al di fuori di ogni loro interesse immediato, non avevano bisogno della ideologia mussoliniana, ma dell'unità e della vocazione della nazione. Questa ten– sione all'z,nità e alla vocazione nazionale tentarono di attuarsi dopo che il fascismo ebbe preso il potere. · La società italiana che era fondamental– mente sana e cristiana, seppure poco ele– vata nella cultura .filosofica e politica, com– prese il fascismo a modo suo. Approvò il Concordato che pacificava l'Italia e la Chiesa, si commosse all'offerta dell'oro al– la patria, mandò i suoi figli a combattere

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