Terza Generazione - anno II - n. 5 - febbraio 1954

tivo di esso che si esprimeva nella f or- 1nula: « il fascismo ha sì tolto la libertà, ma era questo l'unico metodo efficiente per stabilire l'ordine e far funzionare lo stato in un paese fortemente individualistico co– me l'Italia, dove ognuno vuol fare di testa sua»,' insomma la dittatura veniva giustifi– cata con la cosiddetta immaturità del po– polo italiano. L'antifascismo ha reagito net– tamente a questa posizione e t:U questa reazione ha fatto uno dei suoi fondamenti: lungi dall'ignorare la realtà nazionale l' an– tifascismo muove dt,nque da una profonda esigenza nazionale: ridare dignità al po– polo italiano mostrando l'assurdità di qual– siasi tutela su di esso e la sua capacità a darsi le forme di vita politica e sociale più evolute. Il fascismo nutriva la speranza di grandi cose e alimentava l'orgoglio di essere ita– liani; noi antifascisti sentivamo tutta l'onta che un regime di tut1:la e di assistenza signi– ficava per il nostro paese,· ma se pure con posizione rovesciata ci sentivamo italiani come i fascisti. Il fascismo malgrado la sua ambizione di grandi cose isola l'Italia dal moto della cultura e della vita mon– diale, si chiude in un meschino autoctoni– smo premuroso solo di rivendicare la prio– rità delle scoperte e di negare o quanto meno sminuire gli influssi degli altri paesi e delle altre culture sulla nostra. Senso della nazione e nazionalismo Sul modo di sentire, di vivere la na– zione sussisteva una sostanziale frattura tra fascismo e antifascismo e questo contro– batte puntualmente quello. L'antifascismo sente pienamente il suo dovere verso l'Ita– lia, ma di un'Italia nazione tra le nazioni, su di un piano di piena libertà e di piena uguaglianza. Così la grande storiografia idealistica, dell' anti/4scismo la più elevata espressione culturale, rintuzza spietatamente ogni interpretazione autoctona del Risor– gimento, che vede invece come fine dell'iso– lamento italiano dei secoli della decadenza e reinserimento dell'Italia nella vita euro– pea e dell'Europa più progredita e mo– derna,· af]erma in modo definitivo come un più intenso scambio di merci, idee, valori lungi dal degradare un popolo ad appen– dice degli altri ne rafforza la personalità e lo eleva al livello dei più evoluti e ci– vili. Le pagine di Croce, di Omodeo, di 1)1.aturi e di Salvatorelli in proposito sono esemplari: nessuna cultura, in nessun paese del mondo, ha detto della nazione in ge– nerale e della propria nazione in parti– colare con tanta nobiltà e tanto rigore scientifico come la grande cultura ideali– stica che ha avuto in Croce il suo maestro e in Italia il suo centro. I! antifascismo sente la nazione in ter– mini liberali: ogni nazione ha una sua BibliotecaGino Bianco personalità non importa se più o meno ragguardevole delle altre, non c'è alcun merito o demerito a essere italiani o alba– nesi o turchi, compito di ogni nazione è di essere se stessa, di sviluppare il suo genio nella ferma difesa della sua libertà e nel pieno rispetto dell'altrui. La nazione in– somma è in un certo senso la proiezione su di un piano più vasto dell'individuo e la libertà resta il principio fondamentale della stJa vita: ma dire libertà significa affermare in sintesi i valori eterni (il vero, il bello, il bene, ecc.), quindi l'unità del– l'umanità e della storia. Il fascismo si preoccupa di stabilire una graduatoria tra le nazioni, di rivendicare alla propria patria la maggior quota di beni, di territori, di meriti,' quando com– batte una guerra non concepisce che ci si possa chiedere se sia giusta o ingiusta e se incontra un nemico che si difende acca– nitamente lo rispetta sol perchè l'altro fa il proprio interesse come lui fa il suo; non sospetta neppure che esista una verità unica, un interesse che non è di una na– zione contro l'altra, ma di tutte,' quando un italiano fuoruscito pubblica all'estero un libro veritiero sulle condizioni dei, ca– foni abruzzesi la sua reazione è quella me– schina dei « panni sporchi che si lavano in famiglia ». Il fascismo concepisce la na– zione in termini nazionalis~ici, per cui in definitiva sa agire solo in termini di pura forza materiale. Il fascismo ha dunque una carenza umana e per questo stesso anche una carenza politica, non sa vedere l'uomo e per questo non vede neppure nel giusto modo il cittadino e la patria; non com– prende il Cottolengo e non comprende nep– pure il moto d'indipendenza dei popoli coloniali cui proprio la sua sconfitta ha dischiuso prospettive insperate. ne della nazione che può permettere di L'antifascismo invece ha una giusta visio– comprendere qual' è il compito dell'Italia, la nostra vocazione nazionale. Questo te– ma sta particolarmente a cuore a T. G., ma essa lo intende nel senso liberale non nel senso nazionalistico del tipo della mis– sione di Roma cara al fascismo,- è pertanto un compito che può unire anzichè dividere le generazioni, un compito per assolvere il quale ci si deve richiamare all'antifascismo anzichè respingerlo. Tanto per esemplificare, l'importanza dell'Italia per l'antifascismo come per T. G. non sta nella forza quan– titativa del nostro paese (numero di di– visioni, di corazzate, estensioni dei terri– tori su cui sventola il tricolore), ma nella portata mondiale dei nostri problemi: rap– porto tra Stato e Chiesa, tra cattoUci e comunisti., tra Nord industriale e Sud area depressa, inserimento nella civiltà moder– na di comunità ancora feudali e più pre– cristiane. COSTANZO CASUCCI • La rivolta dell'ordine Se la vera portata del problema del fascismo non ci sfugge, radicata com'è nella nostra stessa coscienza, purtuttavia le sue molteplici dimensioni hanno contri– buito a rendere forzatamente unilaterali le numerose interpretazioni tentate. In tali condizioni, le nostre riflessioni saranno tanto più utili, quanto più esse saranno " sentite», a costo di rinunciare a quelle esigenze di rigore scientifico che di regola si richiederebbero e che per tanto tempo ci hanno trattenuto dall'esporre le nostre idee, timorosi di svelarne la fatale in– compiutezza. La guerra costituente degli italiani Il fatto centrale alle origini del fasci– smo è la grande guerra. D'accordo: rot– tura dell'equilibrio internazionale, crisi. Nel contempo, proprio nel periodo tra Serajevo e il nostro intervento, si rompe l'equilibrio interno precariamente compo– sto da Giolitti e dai suoi. Le parti im– provvisamente perdono la loro validità: liberali, cattolici, socialisti, i gruppi che più o meno pubblicamente tengono mano al gioco, vengono attaccati e sconfitti nel paese da forze nuove che s'impadronisco– no della piazza e impongono al parla– mento il loro volere. Trionfa così quella parte del paese, (che fu detta « paese rea– le») che iniziò la sua maturazione ai mar– gini della vita politica, quando non nella letteratura e nella scienza, negli anni che seguono Adua. Il 1896 segna, si può dire, la frattura tra il « paese legale > e il « paese reale > (entrambi paesi di pochi, giacchè le masse, le vere masse, quelle rurali, sono fuori della competizione) tra le forze politiche esi-

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