Terza Generazione - anno II - n. 5 - febbraio 1954
to della Francia di Vichy una recisa con– danna morale senza preoccup11rsi meno– mamente se l'esito delle operazioni miU– tari sarebbe stato favorevole o meno: la · guerra ebbe per essa un significato di cro– ciata tra una parte la cui vittoria avrebbe pregiudicato definitivamente le sorti della civiltà e l'altra che vittoriosa avrebbe per– messo di salvare non tutto nè molto, ma almeno il valore essenziale: la Ubertà. Così si schierò tranquillamente contro il gover– no det proprio paese operando per la sua sconfitta. Gli antifascisti non sono stati neutrali nella seconda guerra mondiale.· non inten– dono assolutamente rinnegare. il loro pas– sato. L'eredità che essi lasciano alla nuova generazione è proprio la sconfitta del fa– scismo che ha evitato la conclusione cata– strofica della crisi. Non è però la sola eredità; ve ne è un'altra pesante accanto a questa così positiva: essi non hanno saputo risolvere la crisi, sostanziahnente la loro azione è stata solo negativa, non è riuscita a essere anche costruttiva,· hanno evitato la catastrofe, ma hanno lasciato tutti i pro– blemi aperti. La nuova generazione ha il compito di accettare entrambe queste ere– dità: esse sono indivisibili. Generazione della guerra, Germania e crisi mondiale Ed entriamo finahnente nel merito: nel tentativo di formulare un giudizio storico del fascismo Ciccardini avanza una prima ipotesi: la prima guerra mondiale come inizio della crisi e l'esistenza della genera– zione della guerra che sarebbe la prima generazione della crisi. La sua ipotesi ci sembra valida, ma inficiata da un errore: la presunta unità di tale generazione. Il si– gnificato della prima guerra mondiale è proprio quello di dividere la generazione che si troverà schierata nel 1914 pro e con– tro l'intervento e nel 1922 dietro il « ros– so > o dietro il tricolore. Questa divisione si perpetua in Italia a tutt'oggi lungo i confini delle classi: la classe operaia è stata contro la prima guerra mondiale, col f11,– scismo è stata la grande esclusa., ridotta a pu1·0 oggetto di una poUtica di opere assi– stenziali, oggi è tutta calata in una parte per la conquista del potere. Secondo Ciccardini il sistema politico tra– dizionale a dirigenza franco-inglese si spez– za in due punti: Russia e Italia. Franca~ mente ci h"i. sorpresi 11edere ignorata la Germania clJe non solo il senso comune considera « la causa di tutte le guerre >, ma che, ove si veda con Ciccardini l'età inizia– tasi col 1914 come un'età di crisi, non può · non esserne considerata il punto focale. Ciccardini respinge di conseguenza puntual- mente ogni accostamento tra fascismo e na– zismo, mentre invece, secondo noi, sussiste tra i due un nesso profondo. Questo da BibliotecaGino Bianco un lato mostra l'insufficienza e la superfi– cialità di ogni giudizio che veda la poli– tica filo-tedesca del fascismo come pura imi– tazione provinciale mentre è l'accettazione della egemonia della forza che svolgeva con maggiore coerenza e conseguenza i motivi propri del fascismo; dall'altro la politica filo-tedesca del fascismo che vuoi con la lotta antisemita, vuoi con l'abban– dono della difesa della indipendenza au– striaca cominciò a incrinare l'accordo tra l'Italia e fascismo ci indica la direzione in cui cercare il carattere non nazionale e antiitaliano del fascismo. Il fascismo nasce dalla crisi della prima guerra, mondiale - dice Ciccardini: d' ac– cordo,· il fascismo avverte che il sistema prebellico è liquidato, che l'Italia è uscita dalla guerra con esigenze e bisogni nuovi, che quel sistema non può più soddi fare e agisce di conseguenza: l'ItaUa è divenuta con il trattato di Rapallo una grande po– tenza, sia pure l'ultima delle grandi po– tenze; il fascismo sembra presentare in so– stanza una politica adatta a una grande potenza ( « le grandi cose > ). Quando passa a realizzare questa sua politica ha, nella guerra d'Africa, tutta la nazione dietro di sè, ma via via che la sviluppa perde il contatto con essa. Il fascismo riesce a ot– tenere all'inizio il consenso della nazione e ne accresce il prestigio all'estero, ma poi dissipa completamente questo suo patrimo– nio e ci dà in Italia l'unico esempio di una nazione fascista con un antifascismo di massa. Dinanzi a questo clamoroso fallimento non solo sul piano umano ma anche su quello nazionale il fascismo reagisce mora– listicam;ente imputandolo alle deficienze del carattere degli italiani; se lo si vuol capire invece si debbono chiamare in causa le deficienze del fascismo non solo a risol– vere il problema italiano, ma a capire in profondo la vocazione nazionale. Infatti il fascismo che parte da un generoso ideale nazionale, che riscopre la missione dell'Ita– lia nel mondo, che riesce a mobilitare die– tro di sè la nazione come nessun altro regime è riuscito sinora a fare, si con– clude con un processo agli italiani, con un'accusa amara non priva di passione, con « la vergogna di essere italiani>. Si badi bene è questo l'unico aspetto non ridicolo, ma serio, quasi tragico del fascismo e del neo-fascismo. Il fascismo conclude con il culto mitico della Germania; non è servi– lismo; è la conseguenza necessaria del fatto che il fascismo voleva fare dell'Italia una Germania. La patria dei fascisti e degli anti– fascisti Il problema invece è un altro: fare che l'Italia sia l'Italia, che riscopra pienamente la sua personalità, la sua vocazione nazionale. La preoccupazione centrale dei fascisti è la patria, l'Italia, essi vogliono che i loro connazionali siano un popolo e uno Stato efficienti e organizzati: nessuno sogna di contestare loro questa prof onda esigenza. Solo che essi neppur sospettano che l'uo– mo non si esaurisce nel cittadino, che com– pito di una comunità non è solo quello di essere nazione e di fondare lo Stato; di più, che se l'uomo tutto intero non viene mobilitato, se la comunità non vive la sua vita piena su tutti i piani (economico, poli– tico, culturale e religioso) non si creano nè i cittadini nè le nazioni e gli stati. Questa carenza non di cultura, ma più profonda, umana, del fascismo è il suo li– mite; l'anti/ascismo ha significato una con– cezione della vita politica che postula l' esi– genza di altri valori che stanno non al di sopra o al di sotto ma accanto a quello della patria e dello Stato. Quando noi gio– vani della seconda generazione troncammo col fascismo era perchè avevamo sentito che non esistevano solo italiani, inglesi e te– deschi, ma anche operai e capitaUsti, santi e peccatori, in una parola perchè comin– ciavamo a scoprire gli uomini. L'atto cuhninante dell' anti/ascismo è sta– to la Resistenza; quanto si è discusso sul carattere di essa! Fu un moto classista, na– zionale o che altro? Fu molto più di tutto questo: un atteggiamento dell'uomo intiero aperto alla speranza; mentre i fascisti re– starono soli, non seppero andare al di là di una posizione moralistica di disperato patriottismo: onore fu il loro motto e tra– dimento il loro unico metro. Simbolo della Resistenza sono pertanto non solo i par– tigiani dei monti e i gappisti delle città, ma il contadino che nasconde i fuggiaschi, le povere vittime anonime del terrore,· non solo il C.L.N. che organizza le forze mili– tari e politiche, ma il Papa che dà l'oro ai tedeschi per salvare gli ebrei, per ri– sparmiare l'esistenza fisica di gente qualun– que. E' questa visione più comprensiva di tutti i valori che permette all'antifascismo di avere non solo una visione più vasta di quella della patria e della nazione, ma di avere una sua visione della patria e della nazione. Secondo Ciccardini l'antifascismo rischie– rebbe almeno di mortificare il significato della realtà nazionale perdendola in un vago e superbo cosmopolitismo o riducen– dola a ,una questione di moralità perso– nale dei funzionari pubblici, dei politici e dei cittadini. E' bene per superare questo scoglio precisare subito come l'antifascismo ha visto la nazione e ancor più specifi– camente come l'ha visto l'antifascismo della seconda _generazione. Quando Ciccardini ha esaminato il giudizio di senso comune sul fascismo ha tralasciato l'elemento costitu-
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