Terza Generazione - anno II - n. 4 - gennaio 1954

intendiamo di impegnarci nella confutazio– ne dello scettico, che non è un giochetto, come potrebbe parere, ma richiede nien- ~ temeno che il rinnovamento dei term1n1 culturali nei confronti dei quali reagisce lo scettico. Certe lettere che riceviamo possono es– sere prese come la teorizzazione di uno scetticismo abbastanza diffuso. Tuttavia è vero che alcuni dei giovani che ci scri– vono, se si incontrano con un certo senso comune, per il fatto che ci arrivano at– traverso un travaglio teoretico consape– volmente sofferto, si staccano dalla gran massa degli scettici e ci presentano allo stato puro quel processo di distacco dal– le linee di impegno tradizionali, che an– che noi, con diverso atteggiamento, rifiu– tiamo. Essi, e tanti come loro non solo della nostra generazione, ma in modo particola– re in ogni periodo di crisi dei miti, si liberano in modo negativo. La disciplina che si impongono per salvarsi da ogni nuova o segreta illusione, è il massimo sforzo possibile a livello della cultura esi– stente. Di più non si può chiedere. Le illusioni, gli uomini le accettano in mancanza di ragionevoli speranze. Gli in– gannevoli ideali sono l'oppio che aiuta a vivere nella disperazione di ogni fine, nella impossibilità di fissare dei concreti obbiettivi. Ma le ragionevoli speranze, i fi– ni validi e i precisi obbiettivi, non ce li può indicare una cultura che ha fallito 10 questa impresa, e noi non accettiamo la falsa pretesa di riabilitare questa cul– tura per mezzo dello scetticismo. Se il nazionalismo, lo scientismo, lo storicismo e il marxismo, pur con la loro fondamen– tale impostazione antimetafisica, che è sta– ta una necessità e una garanzia per la ricerca moderna, ci hanno riproposto dei miti, che abbiamo dovuto rifiutare, biso– gnerà riaffermare in modo valido ciò per ' . . . . cui s1 e arrivati a queste concez1on1, non estrarne · semplicemente l' antimetafisicismo come metodo assoluto e teorizzarlo come il frutto maturo di tutto lo sforzo teo– retico moderno. Ci sono tanti uomini che sfuggono a ogni impegno che va oltre la scelta mo– mentanea delle proprie faccende. La ga– ·ranzia della persistenza della sfera indi- viduale di interessi di ciascuno è presup– posta, almeno di fatto, e tutta la loro atti– vità razionale è rivolta a sfruttarla nel modo più economico. Tutto ciò che posso- tb 10 eca Gino 1anco no dire al prossimo, è di far altrettanto, ciascuno nella propria piccola parte di realtà. Quando, però, diciamo noi, non c'è pro– messa per il rischio, quando è legittimo dubitare dell'avvenire, quando cioè l'insi– curezza è diventata l'atmosfera naturale e le vie chiuse e i fallimenti sono un' espe– rienza che non si ouò trascurare, è più pazzesco assaporare ogni singolo atto in se stesso, o spingere attorno lo sguardo ansioso rifiutando di chiudersi nei limiti delle cose di ogni giorno per timore del peggio e per speranza del meglio? E per coloro a cui la situazione garantisce sem– pre meno possibilità d'azione, a che ser– virebbe mai pensare soltanto per l'azio– ne, se ciò non significa intraprendere un lavoro a largo raggio, che supera ogni singola necessità immediata e che si mi– sura sul bisogno e sulle virtualità umane, le quali - si noti bene - non si ridu– cono al bisogno e alla possibilità empiri– camente sperimentabili hic et nunc? Infatti lo scetticismo di coloro che la sorte non può più favorire non è rigo– roso come vorrebbe il filosofo: è soltanto una ben comprensibile sfiducia, ed è per ciò che essi cadono facilmente nei miti. Per liberare costoro bisogna disporre di qualche cosa che sostituisca validamente ! loro miti. Il vero e proprio scetticismo comune, in– vece, quello che non è soltanto legittima sfiducia, è un atteggiamento di difesa sor– retto con le risorse dell'istinto di pura con– servazione, Infatti, per chi oggi assume un atteggiamento polemico non di pura conservazione, i primi miti da infrangere sono i miti « liberali » dell'attivismo indi– vidualistico, dall'atomizzazione dei giudizi e delle azioni; mentre hanno una certa vi– talità ed esercitano una certa funzione sto– rica i miti che questo scetticismo rifiuta, i miti, cioè, che riescono a mobilitare la moltitudine di coloro che si rifiutano di accettare « la crisi come posizione dove– rosa per la felicità del genere umano », quali, ad esempio, gli ideali della pace garantita dall'aspirazione di milioni di persone di tutto il mondo, o quelli teo– logico-politici dei fermenti della base po– polare cattolica. Poichè il mito è un surrogato della conoscenza, l'impotenza speculativa e l'as– senza di rivelazione sono condizioni fa– vorevoli alla formulazione dei miti. Ora la lotta contro i miti persistenti e risor- genti si conduce con l'apprestamento di giudizi veri a livello delle esperienze, del– le necessità, delle possibilità e delle spe– ranze storiche e non con lo scett1c1smo. Sul piano teoretico vero e proprio, ci pare che lo scetticismo sia un ripiegamen– to e una difesa di posizioni in crisi come il comune atteggiamento scettico. Una cul– tura che lia verificato troppi fallimenti, abdica a una vasta zona di problemi e si attarda a sfruttare l'ultimo cantuccio che promette ancora qualche cosa. L'atti– vismo che esso sembra giustificare, è in realtà una concessione a chi si ripromette di risolvere i problemi solo verbalmente chiamati filosofici, operando praticamente, in particolare sulle strutture materiali della società. La perplessità dei militanti di questa cultura di fronte al marxismo, l'attrazione che ne sentono pur rifiutando– lo, sono molto significative. Tanti intellet– tuali oggi pencolano verso il marxismo, nella misura in cui corrosi dai dubbi non possono più reggersi da soli: una volta, invece, vi aderivano come si aderisce alla possibilità di un impegno al massimo li– vello, liberatore di possibilità creative. Noi diamo atto ai nostri amici della se– rietà e della sofferenza del loro processo intellettuale riconosciamo che non è pos– sibile arrivare ad altri sbocchi, se non si hanno remore che non sono esprimibili con i mezzi che l'attuale cultura ci offre. Ri– conosciamo che è impossibile non tacitare criticamente queste remore, se si vuol re– star fedeli a un impegno teoretico sul– l'ultima linea che questa cultura propone. Tuttavia n<:>nci rassegnamo alla disuma– nità nè alla precarietà del suo punto d'ar– rivo. Da parte nostra, restando fedeli a quel tanto di umano da cui possono nascere anche i miti, e favorendo anzi la conser– vazione e l'affermazione di quella nostra ricchezza, rifiutando i miti siamo fiduciosi nella possibilità di vincerli positivamente. Ciò facendo, ci ripromettiamo di conser– vare e di ampliare la possibilità di ap– prezzare un lavoro teoretico, necessaria– mente inventivo, e di scoprirne il bisogno con le nostre iniziative, così da sollecitarlo addirittura con una richiesta più precisa della speranza. Anche questa è una disciplina, che noi ci imponiamo: la fiducia, se è rifiuto dei miti, è meno ancora dello scetticismo: ma non è l'ultima tappa. RENZO CALIGARA

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=