Terza Generazione - anno II - n. 4 - gennaio 1954
Ne suno si sente capace nel proprio lavoro ; ciascuno si sente uno dei tantissimi, senza faccia nè colore, e allora ci ·si rifugia nelle specializzazio– ni, tanto per as umere una fi– sionomia; e _più è nuova e ra– ra la pecializzazione, minore il numero degli i cri tti e più è adatta, anzi, que ti solo so– no i requisiti ehe fan cadere la celta u que ta piuttosto <"he su di un'altra. E si inventano, è la parola appropriata, da parte di chi di dovere, sempre nuove spe– cializzazioni, per dar modo a questi spostati di crearsi una distinzione C'he e si di loro forza propria non arebbero mai capaci di conquistar i. Queste sono le po izioni dei nostri compagni di appena qualche anno 11iù vecchi di noi; queste sono le posizioni che noi dovremmo accettare come conseguenza cli tutto ciò <'he è stato fin qui ; po izioni di spostati, in oddi fatti di un lavoro che non è a noi appro– priato, bloccati e immi eriti nelle nostre capacità ideative e creative. Da eguale sen o di soffoca– zione è animato chi si acC'in– ge alle pubblicazioni scientifi– che: bisogna fare molti, molti lavori, purchessia ; distinguer– si dal compagno almeno per il maggior numero di iscritti, ma non basta: i cerca di fare quel lavoro che altri non so– no in grado di fare per man– canza di mezzi ; e allora ci si appoggia a quell'istituto che ba la tal macchina e si solle– cita la clinica a comprare il tal altro apparecchio, e più è complicato e più, per questa sola ragione, il lavoro sarà in– teressante e apprezzato. Per fare qualcosa di nuovo, insomma, qualche la ,oro mai visto e non essendo capaci di tirarlo fuori dalla propria te– sta, lo· si affida a una macchi– na nuova, a un nuovo stru– mento capace di farlo. E allora orge il luogo co– mune che da noi non si può far niente, che in Italia la ~cienza langue per mancanza di mezzi, chè ·e avessimo an– 'che noi apparecchi grandi co– me una c·asa e costo. ·issimi, co– me hanno all'estero, allora la scienza assurgerebbe a grande :--plendore. Senza YOler minuire l'im– portanza del problema della po,ertà dei nostri mezzi di ri– cerca, mi pare che C'i . i erva di questo per nascondere ai no. tri . tessi occhi la nostra mancanza di indirizzo. A C'he ·erYono gli apparec– ehi, sia pure perfeziona tis imi, (luando non . i sa ehe co. a si Oi sembra ohe, al fondo del– le parole con cui Gian Piero Del Mastro tocca un problema molto irnportante, ci sia il pe– ricolo di 1tn vizio che ha delle notevoli consegnenze nella vi– ta dei giovani. E' q1.tello di concepire la vo– cazione come professione. E' certamente vero ohe genitori e scuola offrono al giovane ohe ha possibilità di studiare cin– que o sei personaggi: il medi– co, l'avvocato, l'ingegnere, il professore e altri pochi. Que– sti personaggi sono le antiche incarnazioni delle speranze di un ceto. Bisogna perciò cercare più a fondo. E' possibile che un uo– mo non possa fare il proprio lavoro per qualche cosa che è al di là del fine immediato di esso, o della retorica che si è creata attorno a esso f Il rnedico non può avere al– tro ideale che non sia quello di curare i clienti, anche se vie– ne presentato nei termini di « missione di salvare le vite», E il contadino non può avere altro scopo che q1tello di pro– durre patate anche se i poeti hanno descritto q1,esto come la migliore delle oondizioniP Se non si può, per condizio– ni storiche o culturali, unire il proprio lavoro a qualche co– sa ohe è al di là del fine im– mediato di esso, quel lavoro non è umano. E' adatto alle bestie e alle macchine, ma non all'uomo, la cUi caratteristica, 'U,nica nell'universo, è q1tella di poter dare alle cose che fa un valore inesistente prima del suo intervento. Vale a dire che l'uonio può << i'Yl!Ventare », ehe è la sua maniera di crea– re, di essere inquieto o felice, di << divenire », di fare cioè la ,fltoria. Trovare il proprio posto nel BibliotecaGino B.ianco Yuole, qual'è la meta e quale la strada da percorrere? Abbiamo bi8ogno di maestri, prima che di mezzi. Ne avrem– mo avuto bisogno . empre, nel– l'infanzia e nell'adolescenza, nelle scuole medie e nell'uni– Yersità, nella celta dello stu– dio e nella scelta del lavoro, e ci . ono mancati. r on abbiamo fare la storia, i rapporti quin– di fra sè e il mondo, la giusti– ficazione morale a esistere: tale è la vocazione. E8sa non si pitò quindi tro– vare nelle ore libere « dopo un lavoro qualsiasi>>: non è un passatempo. E' la ragione stessa del lavoro, che lo ren– de creativo e progressivo, uni– co capace a sanare l'inqitietu– dine. Penso spesso a dei medici (anche Gian Piero Del Mastro è rned ico) che hanno una con– dotta in un paese. Essi sono più d'ogni altro (tra le fun– zioni della società <<civile», ehè il prete ha una particola– re funzione a cui corrispon<Tu una vocazione particolare) vi– cini ai rapporti umani esistenti in quella comunità, a loro è concesso vivere al « di den– tro » di una società. Se il suo lavoro non è «umano», non ha cioè 1.tno scopo valido per tutti gli uomini, al di là della vocazione ài curare le infezio– ni, egli curerà le infezioni, ma lascerà il paese come lo ha trovato. Egli ha instau– rato un rapporto « sociale » fra il « medico, laitreato dal– l'Università àello Stato >> e il « cliente». Egli ha fatto un lavoro simile a quello delle bestie e delle macchine: è scontento e vuole fuggire dal paese. 1lf a se invece egli potesse andare in quel paese come un 11omo, che nella scuola della nazione ha accettato U com– pito di fare la sua parte di la– ,voro per una società futura, e la sc'llola gliene avesse dato la ooniprensione e gli strumenti, egli non c11rerebbe solo le in– fezioni, non sarebbe un « sul– famidico ambulante», ma da 1.,1,omo in 1.tna società umana cercherebbe di svil11tppare q,u,ei saputo formulare i nostri pro– blemi e nessuno ci ha aiutato a risolverli, abbiamo . bagliato e ci , iamo la. eia ti trascinare . u posizioni che oggi non pos– siamo accettare. Le castagne ono nostre e ormai nostro il fuoco su cui bruciano. E' ov– vio chi debba toglierle. GIAN PIERO DEL 1\'.IASTRO rapporti secondo la linea di uno sforzo comune a tutti i menibri della comunità nazio– nale. Egli farebbe la sua parte di storia e ne sarebbe soddi– sfatto da 1tomo. Tutti potrebbero fare la lo– ro parte di storia, contadini, medici, operai, preti e farma– cisti: poichè oggi gli strumen– ti materiali per dare a tutti la comprensione e gli strumen– ti per collaborare a un fine co– mune esistono. La << cultura » potrebbe essere dovunque, con la radio, il cinema, la scuola e la stampa. Ma se diarno alla parola << c1.tltura » questo signi– ficato di << comprensione e str1t– menti per collaborare a un fine comnne >> ci accorgiamo che oggi essa non esiste più. Non esiste più la cultura, il patrimonio 11nitario di pensie– ro 1.tmano a cui si attinge e a cui si contribuisce, che dia a ciascuno il senso del s1to va– lore e un compito da svolgere. Quella ohe chiamano cultura è sterile dibattito di specializ– za ti e non illumina le strade degli uomini comuni. Senza una cultura un giova– ne non sa trovare la sua voca– zione: q1testa è l'esigenza che sta sotto all'esperienza di Gian Piero Del Mastro e che egli esprime quando dice: abbiamo bisogno di maestri. Se ci dicessero per assurdo, che il destino degli uomini è volto « alla conquista della lu– na>> ciascuno saprebbe trova– re il suo la·voro <<umano» per contribuire a portare l'1.1,mani– tà al gran salto, facendo il contadino, il medico, l'operaio o il farmacista. Invece ci dicono: « arran– giati, guadagna, pensa a te» il che oggi non vu,ol più dire altro rhe: il tuo lavoro non
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=