Terza Generazione - anno II - n. 4 - gennaio 1954
blemi collettivi come l'uso di un fiume per l'irrigazione, ma anche i problemi più « piccoli » come potare gli ulivi, cambia– re il concime o la razza di grano sono diventati problemi da discutere e da ri– solvere insieme perchè troppe sono le in– cognite della situazione. Colmare gli spazi dei secoli Ancora è necessario mettere in relazio– ne tra loro i vari problemi e le loro so– luzioni: infatti in ogni ambiente ci sono iniziative che non sviluppano qualitativa– mente il modo di pensare corrente e al– tre che presuppongono lo sviluppo o la dist1~tzione del modo di pensare tradizio– nale. Ad esempio, anche nelle zone dove le idee sono meno sviluppate (zone econo– micamente arretrate e zone « feudali »), finchè si propone ai contadini un metodo moderno di potatura o un cambio di se– mente queste proposte sono consone allo stadio delle loro idee, ma quando si pro– segue il ragionamento e si propone la co– struzione di un frantoio per la lavorazio– ne in comune delle olive, bisogna che siano garantiti tutta una serie di presup– posti. Per esempio, che le idee dei con– tadini sulle relazioni reciproche siano svi– luppate fino al punto da ammettere la possibilità e la necessità della collabora– zione, e la loro capacità di calcolo eco– nomico arrivi a vedere le convenienze. Ma un fatto del genere presuppone la ca– pacità di calcolare gli investimenti e di non muoversi più alla giornata, di entra– re nello spirito dell'economia di mercato e di uscire dallo spirito dell'economia di consumo. A maggior ragione lo « svilup– po delle idee» è necessario per l'uso ra– zionale dei mezzi fertilizzanti che implica un sottile calcolo sull'incremento di pro– dotto, sulla dose di massima convenienza, sulla coordinazione dei vari mezzi ferti– lizzanti, e sui residui di fertilità che essi lasciano al terreno. In questo calcolo van– no anche considerate le relazioni della fertilizzazione con le lavorazioni e il tipo di energia usata dall'azienda. L'uso delle macchine poi presuppone una serie di comparazioni tra il costo unitario delle operazioni compiute con esse e con gli 1 altri metodi di lavorazione. Insomma, ba– sta proseguire di pochissimo le proposte che ci si trova davanti ai più complessi problemi di mercato e di ordinamento colturale e aziendale, a problemi cioè che sono lontani a volte di secoli dal mondo dei pensieri correnti tra i contadini del– !' ambiente da cui era partito il nostro esempio. In queste situazioni una iniziativa tec– nico-economica con l'occhio volto alle idee e ai bisogni umani è l'unico mezzo per sollecitare lo sviluppo economico e socia– le senza provocare quelle pericolose rot- BibliotecaGino Bianco ture, che hanno comportato e comporta– no quei fenomeni di crisi nella vita delle comunità contadine che sono stati deli– neati sommariamente in altra parte della rivista. Una iniziativa sul lavoro dei con– tadini dunque che diventi una serie di iniziative anche oltre quell'ambito, è il punto di partenza per le iniziative di ge– nerazione. L'iniziativa per sviluppare le idee non 1Juò essere sebarata dall'inizia- - - tiva tecnico-economica perchè solo nello sviluppo della realtà e della vita attra– verso il lavoro gli uomini crescono in tutte le loro dimensioni. L'insufficienza dello " spontaneismo liberale ,, e del " tecnicismo ,, Per controllare gli squilibri tra svilup– po delle idee, sviluppo sociale e sviluppo dei bisogni degli uom1n1 e della loro soddisfazione basta un breve esame; ci si rende subito conto che lo sviluppo della società moderna è stato ovunque discon– tinuo, ma specialmente in Italia, dove, prendendo le cose in senso geografico, in– tere zone e anche regioni sono restate a fasi di svituppo pre-capitalistico e non si sono amalgamate con quelle più mo– derne e fra loro. I grandi centri indu– striali italiani e una parte della pianura padana sono compresi tra le zone mo– dernamente sviluppate, mentre tra le altre comprendiamo una serie di zone che ab– biamo delimitato in prima approssimazio– ne su tutto il paese, e che comprendere– mo sotto il nome provvisorio di « mon– do a civiltà contadina ». Il contatto delle zone pre-capitalistiche con quelle capitalistiche è avvenuto in Ita– lia, dopo l'unificazione, con le ferrovie e il mercato: lo sviluppo delle idee e la soddisfazione dei bisogni di sviluppo uma– no fu lasciato allo spontaneismo di un « liberismo automatico ». La nuova realtà socio-economica pose a larga parte del « mondo a civiltà contadina » italiano que– sto dilemma: abbandonare il vecchio pa– trimonio, « distruggere le idee » e metter– si in linea, op9ure respingere le possibi– lità di sviluppo umano e storico e con– dannarsi all'immobilità prima, alla decom– posizione subito dopo. Nel « mondo a ci– viltà contadina » si possono dunque con– statare due fatti: arretratezza nello svilup– po sociale-economico e delle idee, ·ma nel– lo stesso tempo integrità del più vecchio patrimonio che la storia del nostro paese ha tramandato: il senso della comunità di contadini e delle relazioni tra gli uomini. Le iniziative di generazione devono inse- rirsi in un movimento teso a sviluppare le comunità contadine e le relazioni che si svolgono nel loro seno senza compro– rnettere il loro patrimonio ideale, met– tendolo in circolazione, sviluppandolo e 1100 relegandolo tra il folklore. I sintomi di decomposizione che nelle zone capitalistiche si manifestano attra– verso e a causa della « distruzione delle idee» a cui fa riscontro un alto grado di sviluppo socio-economico, nel « mondo a civiltà contadina » italiano, si presen– ta no ormai nella scomparsa progressiva di tutta l'organizzazione sociale preesisten– te. In questa cornice sono comprensibili come crisi di una civiltà quei problemi che fino a oggi sono stati intesi come crisi di assestamento di essa e per questo solubili tecnicisticamente. Dalla polveriz– zazione della proprietà e dell'economia di consumo non si esce, per fare un caso, nè con le permute, nè con i concimi ad alto titolo, nè con le più alte rese granarie grazie alle razze resistenti al freddo, nè col miglioramento dei pascoli, se questi interventi tecnici non vanno di conserva con lo sviluppo delle idee, della società, e della soddisfazione dei bisogni degli uomini. I tecnici, se credono che tutte queste cose siano effetti della tecnica e non av• vertono la necessità di uno sviluppo ar– monico, possono essere, senza accorgerse– ne, i più scientifici disintegratori di una civiltà. Non a caso essi avvertono delle resistenze che la tecnica non spiega. Spes– so una cooperativa di braccianti si svi• luppa in un paese e una simile langue a dieci chilometri: non c'è nessuna re– sponsabilità dei membri o dei dirigenti della cooperativa che non va avanti; ba– sta che si tratti di braccianti che fino a ieri erano di tipo « feudale », i quali avevano garantito dal padrone un grado sia !)ur bassissimo di vita anche nei pe– riodi morti (avvicinandosi, ma solo per questo aspetto, ai salariati fissi delle zone capitalistiche) per capire che il loro svi– luppo di idee è molto basso e la coope:– rativa è per essi un fatto ancora difficil– mente comprensibile o inutile. Se nel pae– se vicino si era invece sviluppato l'af– fitto o l'impiego di giornalieri con la relativa maturazione di un senso di clas– se, la cooperativa è un fatto comprensi– bile e che tende a svilupparsi in forme sempre nuove. Queste differenze non le spiega nè la statistica nè la tecnica eh<! parlano di « braccianti », ma la spiega la storia. Epilogo provvisorio Le cose fin qui dette possono comin– ciare a chiarire la strada della nostra ri– cerca, la piattaforma di ipotesi con cui tendiamo con le iniziative nei paesi. Cosa faremo e come agirerno nelle città non le sappiamo (epp,,re dovremo arrivarci se vorremo tucire realmente dal medioe– vo), nè sappiamo oggi in modo chiaro le prospettive finali di ciò che vogliamo cominciare a fare nei paesi. Così come non sappiamo come si chiamerà il siste• 17
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=