Terza Generazione - anno I - n. 3 - dicembre 1953

azioni sempre più numerose sull'individuo, la sua affettività, la sua mentalità, il suo equilibrio fisico e morale e pongono, per l'avvenire (o per il rinnovamento) della civiltà dei problemi sempre più urgenti. L'osservazione recente di queste azioni quo– tidiane, fatta negli Stati Uniti, ci ha mo– strato a qual punto questi problemi siano gravi in quel paese e con che attenzione le scienze dell'uomo debbano indirizzarsi verso questi campi, molti dei quali sono ancora interamente inesplorati. - Ma, - rispondono certi marxisti (quelli per cui il marxismo offre già for– giata, la chiave che apre tutte le po.rte, la risposta a tutti i problemi umani del se– colo) - queste sono realtà che interessano solo la società capitalistica. Il macchinismo moltiplica le alienazioni, distrugge l'uo– mo fisicamente e moralmente. Nell'U.R.S.S. le vostre domande non hanno alcun senso. La soppressione della proprietà privata dei mezzi di prQduzione sopprime nello stesso tempo tutti i vostri pseudo-problemi. Il vo– stro « nuovo ambiente > si arresta alle fron– tiere dell'U.R.S.S. e delle democrazie po– polari. Ecco precisamente un punto che non è per nulla dimostrato nè teoricamente nè praticamente. Le tecniche, il cui complesso caratterizza il nuovo ambiente, rispondono alla definizione di « fatti di civilizzazione > così come la dà Marcel Mauss, e si incon– trano in società a struttura economica del tutto diversa. Tutto ciò che noi sappiamo di più certo sulla società sovietica ci indica che si è formato, anche là, un ambiente tecnico in cui i problemi umani non sono per nulla --ipsofacto superati dal gioco delle attuali istituzioni. Cinquanta ore settima– nali di lavoro alla catena di montaggio dei motori in un'officina di trattori o di automobili sono in sè più attraenti a Gorlcy di quanto lo siano a Detroit? Le esigenze della personalità del lavoratore nei suoi rapporti con le condizioni tecniche del la– voro non sembrano attualmente ammesse in uno stato preoccupato solo degli indici di produzione. Il fatto, se confermato, sa– rebbe tanto più spiacevole perchè l'espe– rienza dell'industrializzazione in U.R.S.S. avrebbe potuto avere in questo campo, come già in altri, un significato tutto par– ticolare. Certo i problemi pratici e le loro solu– zioni si diversificano a seconda delle strut– ture economico-sociali. E' il momento di riprendere la distinzione tra rivalorizza– zione sociale e intellettuale e morale del Biblioteca Gino 1anco lavoro industriale, « dispiritualizzato » dalla meccanizzazione e dal frazionamento dei mestieri in seguito alla divisione sempre più spinta del lavoro. L'attitudine mentale dell'operaio verso il suo lavoro può essere trasformata quando esso si senta membro a pieno diritto della comunità e non abbia la sensazione dello sfruttamento al servizio del profitto privato. Ugualmente la rivalo– rizzazione intellettuale attraverso il cam– biamento di funzioni e la conoscenza pro– fessionale tecnologica (insegnamento tec– nico) è teoricamente più facile a raggiun– gersi in una struttura pianificata. Tuttavia lo sfruttamento in nome della ragione di Stato in una economia non capi– talistica non è da escludersi, e i lavoratori vittime di nuove « alienazioni» possono averne coscienza. D'altro canto, anche in una società socialista, la rivalorizzazione so– ciale e intellettuale non avrà base concreta e sufficiente se l'individuo che ne beneficia resta sottomesso all'incessante condiziona– mento fisico e mentale del lavoro che svol– ge. Il problema si pone per milioni di lavo– ratori aventi a che fare con macchine se– mi-automatiche sia al di qua che al di là delle frontiere del mondo capitalistico. Il « dilemma> della civiltà industriale vista sotto i suoi aspetti essenziali può es– sere così espresso: la razza umana arriverà, e come, a dominare le tecniche, a farle servire non solo al bene delle masse, ma anche alla dignità e alla cultura dell'indi– viduo? Supponiamo sospeso (o superato) il pericolo delle catastrofi atomiche. Bisogna sapere a qual prezzo l'umanità pagherà l'impiego dei mezzi che essa ha accumulato e di quali fini umani (o inumani) questi saranno strumenti. Se il popolo americano sembra partico– larmente minacciato dallo sviluppo abnor– me delle tecniche, ciò avviene perchè esse ricadono e crescono per così dire su un enorme agglomerato umano, di cui le com– ponenti sono private delle loro tradizio– ni antiche e del loro « retroterra », spo– gliate in una intensa e brutale sintesi del– le difese naturali che assicura un lungo ra– dicarsi in un ambiente naturale e in tradi– zioni socio-culturali. A sua volta il popolo russo (le popolazioni grandi russe rappre– sentate nella Repubblica Socialista Sovietica Russa) presenta una sostanza e una coesione del tutto differenti. Il mondo contadino, che nel corso dei secoli è stato la Santa Russia assicura un contatto con la natura, dei do– ni artistici secolari, dei tesori di folklore che una saggia politica può preservare, delle norme e dei costumi di vita, che potrebbero conferire a una civiltà tecnica in Russia un carattere originale da cui il passato vivente di questo popolo non sa– rebbe escluso. L'assenza nell'U.R.S.S. di una ·presa di coscienza dei problemi umani dell'ambiente tecnico non potrebbe essere quindi più no– civa. Nel 1936, nel pieno del piano quin– quennale, in un paese sottoposto ad una intensa industrializzazione, avido di pro– gresso tecnico e dotato di un considerevole prestigio, non era raro incontrare nell'in– dustria, nell'esercito, nelle amministrazioni, nei kolkoz dirigenti di tipo «tecnicista> che riducevano tutti i problemi riguardanti la loro attività, ivi compresi i problemi umani, a un punto di vista esclusiva– mente tecnico. E tutto indica che l'evolu– zione delle istituzioni e degli individui non ha fatto, dopo la seconda guerra mondiale, che svolgersi in questo senso. Lo sviluppo del tecnicismo nelle società contemporanee, anche in quelle del tipo sovietico, è un danno. E se si eccettua la possibilità dell'autodistruzione per mezzo delle armi atomiche o biologiche, il danno più grave che minaccia l'umanità del XX secolo. Perciò la cattiva coscienza dell'intelligen– za davanti alle sue attività e alle sue crea– zioni è diventata ansia, quasi angoscia. L'organizzazione, oltre il disordine attuale, d'un sistema razionale di produzione e di distribuzione è certo una condizione ne– cessaria al futuro della civiltà: tuttavia per chi si attenga all'osservazione delle realtà contemporanee, e non alla mistica, essa non appare per nulla una condizione sufficiente. Il dominio delle tecniche esige dall'uomo del nostro tempo, per ristabilire l'equilibrio rotto dalla troppo rapida esplosione della sua potenza, non già un « supplemento d'anima» secondo i termini dello spiritua– lismo bergsoniano, ma certo un supple– mento di coscienza e di forze morali. In verità le distruzioni, l'anarchia che tanto ci colpiscono non costituiscono, di fronte alla storia, che le prime prove della specie umana di fronte al suo nuovo am– biente. Se in questa lotta essa si porrà lu– cidamente, mobilitando tutte le sue risorse intellettuali e morali, se saprà congiungere le trasformazioni collettive con le ugual– mente necessarie prese di coscienza indi– viduali, la sua vittoria è assicurata. Il pro– gresso tecnico rimane per l'umanità la vita della sopravvivenza e dell'espansione. GEORGES FRII:.Dì\I -\.. - (da Où va z~ travail h11main? Gallimard, Paris, 1950).

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