Terza Generazione - anno I - n. 3 - dicembre 1953

nanti di un'epoca storica travolgono loro malgrado anche le personalità più potenti: volente11, ducunt, nolentem trahunt. La corsa alla razionalizzazione è stata anche affrettata dalle due guerre mondiali, che hanno precipitato il ritmo dell'indu– strializzazione moltiplicando le industrie belliche e le forniture di guerra, le imprese metallurgiche, meccaniche e tessili in gran serie, e rendendo necessaria l'estrazione in– tensiva delle materie prime: carbone, pe– trolio, minerali. Il balzo innanzi dell'in– dustria in serie ne~li Stati Uniti, in Inghil– terra, in Germania e in Francia nel corso e all'indomani della prima guerra mon– diale, la riorganizzazione delle miniere di carbone inglesi, 1 sistematici studi sul tempo di lavoro e le pause, la creazione dell' « Industria! Fatigue Research Board », sono altrettanti esempi di questo processo di cui, a parità di condizioni generali, si ritroveranno gli equivalenti nel corso e all'indomani della seconda guerra mondiale. Si ag~lunga che, nel periodo tra le due guerre, l'evoluzione verso economie com– plesse e più o meno autarchiche ha a sua volta favorito lo sfruttamento più intenso dell'attrezzatura tecnica e della mano d'ope– ra nazionali. S'intende che, anche al punto avanzato della seconda rivoluzione industriale e dei progressi della razionalizzazione tecnica cui si è pervenuti, nel seno di queste vaste trasformazioni dell'apparato produttivo ri– mangono numerose e a volte importanti isole di piccola e media industria (nelle quali prevale ancora il lavoro unitario del « compagno », esercitato su pezzi e oggetti io piccola serie) e di artigianato urbano o rurale. Il contadiname - nella misura in cui, come in molte regioni della Francia, comincia appena ora, per ragioni geogra– fiche, sociali e psicologiche, a es:,ere sfio– rato dalla meccanicizzazione - irradia in– torno a sè modi di vita e di lavoro pre– meccanici e prolunga nel tempo, nei vil– laggi, nei borghi e nei piccoli centri di provincia, officine artigiane del tipo di quelle del carradore, del sellaio, del fale– gname, del fabbro, del meccanico, che sono legione nelle campagne europee. Così si configura il periodo già apertosi nel momento in cui Berthelot proclamava con tanta tranquillita la propria fede nelle applicazioni sociali della scienza. Occorre no– tare che, accanto a molti scienziati e filosofi delVepora, dominati come lui da speranze che dovevano, sotto il martellare dei fatti ' apparirci, ahimè, troppo semplicistiche, al- BibliotecaGino Sia.neo cuni ingegneri, rendendosi esatto conto di tutto ciò che di prosperità la tecnica indu– striale poteva recare all'uomo, ne deduce– vano a men giusto titolo conseguenze sup– poste necessarie e infinitamente vantaggiose nell'ordine economico e sociale. Indifferen– ti a qualunque modificazione di struttura, ignari perfino dei problemi posti da que– sta, pieni di sincera buona volontà (Taylor non ne mancava davvero), essi immagina– vano di poter tranquillamente sovrapporre al caos del loro tempo un ordine quasi matematico, superare mediante un inces– sante sviluppo del rendimento i conflitti fra padroni e operai, e portare così il successo della « scienza industriale l'> allo stesso livello dei trionfi delle scienze mec– caniche. Il loro errore tecnicista, isolante l'impresa dall'insieme dei fenomeni fisiolo– gici, psicologici, sociali e morali del grup– po umano di cui è parte. è stato omologo (per quanto più spiegabile) al grande er– rore degli scientisti. E' infatti strabiliante che studiosi, pro– fessionalmente avvezzi all'analisi complessa del reale, abbiano fatto con tanta tran– quilla baldanza tabula rasa dell'interrela– zione dei diversi fatti della civiltà, e sacri– ficato così tutto un ordine di ripercussioni economiche e di contraccolpi morali che un osservatore penetrante avrebbe potuto discernere fin dall'epoca in cui si levavano i loro inni al progresso continuo e, per così dire, fatale. Più tardi, questa nuova fase delle società occidentali ha rivelato agli occhi di ognuno i suoi frutti, di sapore ben diverso da quello che i profeti dello scientismo si credevano già sul punto di gustare. Frutti amari e spesso mortali. Ma l'ambiente tecnico è legato ai rap– porti di produzione eh~ strutturano la so– cietà capitalistica? Le sue differenze cord– spondono ed equivalgono a quelle dell'am– biente economico e sociale? Fino a qual punto la trasformazione dei rapporti di produzione in una società collettivista e pianificata modifica l'azione dell'ambiente tecnico sull'individuo? Nulla nell'opera di Marx autorizza a pensare che egli abbia minimizzato questa azione, benchè ai suoi tempi essa fosse qua– si esclusivamente ridotta a quella delle tecniche di produzione. Queste, per altro, dopo gli inizi della seconda rivoluzione industriale (cioè più o meno dopo la morte di Marx), si sono moltiplicate, complicate e rafforzate con ritmo allucinante. Trasformazioni quantita- tive hanno condotto all'inizio del nostro secolo a una prodigiosa i:nutazione qua– litativa: allora è sorto un nuovo ambiente di società umane e industrializzate, l' am– biente tecnico, col quale il socialismo, in teoria e in pratica deve ormai fare i conti. Del resto Marx indica un largo campo di meditazione e di ricerche a coloro che siano attratti, più che da uno scolastico e vanitoso orgoglio, da una dottrina aperta e vivente. C'è una pagina nel III vol. del Capitale che è sufficiente a provare co– me, in ultima analisi, Marx non si facesse illusioni sulla possibilità totale di umaniz– zare il lavoro industriale, anche in una società socialista. « L'uomo socializzato, i pro~uttori associati, regolano razionalmen– te lo scamb 10 tra essi e la natura, la sot-· tomettono al loro controllo comune, invece di esserne dominati come da una forza cieca; essi realizzano ciò con il minimo spreco di energie possibile, nelle condizioni le più degne alla natura di uomini e le più adeguate. Tuttavia tutto ciò resta sem– pre regno della necessità ». Se si applica questo pensiero di Marx all'attuale lavoro industriale in grande se– rie, si vede che al di là dei rapporti capi– talistici di produzione una società socialista ha il compito di controllare razionalmente e di dominare questo lavoro. Gli obiettivi del lavoro devono essere raggiunti con la minima spesa di energia possibile e nelle condizioni che siano le più degne della natura umana. Che cosa significa questo, se non che l'umanizzazione del lavoro, il do– minio sull'ambiente tecnico, lungi dall'es– sere automaticamente dato dalla rivolu– zione sociale, deve essere conquistato a po– co a poco? In più non è per questa via che, pur in una società socialista, Marx vede lo svi– luppo dell'individuo e il regno della li– bertà; anche se in tale società il lavoro è diventato per il produttore il primo biso– gno dell'esistenza, come Marx altrove af– ferma. Osservando la comparsa di un nuovo am– biente tecnico, nella storia del XX secolo, noi siamo condotti ancora più lontano. La giungla di influenze quotidiane che esso instaura non fa che infittirsi, minacciando ogni giorno di più i valori dell'uomo, della civiltà in tutti i paesi d'industria sviluppata, sia in Europa che in America. Il continuo moltiplicarsi delle tecniche, il crescere sfrenato dei bisogni (che esse creano e che a loro volta le nutrono), il loro ritmo, la loro intensità, provocano

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=