Terza Generazione - anno I - n. 3 - dicembre 1953

· di profondi riflessi delle nuove condizioni lavoro sull'uomo come produttore. Eppure, nello stesso momento in cui Ber~ thelot ribadiva così fiduciose certezze, molti segni annunciavano che l'umanità occiden– tale entrava in una nuova fase delle sue rivoluzioni tecniche, nel corso della quale il macchini mo industriale doveva assume– re forme ed esercitare influenze impre– viste. Abbiamo a suo tempo descritto la vasta gamma di mutamenti avvenuti nell'utiliz– zazione dell'energia e nei modi di produ– zione cui abbiamo dato il nome di « se- ' . conda rivoluzione industriale ». La prima era stata caratterizzata dal trionfo della macchina a vapore e del carbone - pri– mo « pane dell'industria » - e dal pas– saggio dalla manifattura alla fabbrica. La seconda corrisponde a uno sviluppo inten– so e vario delle tecniche, in cui domina la penetrazione su larga scala negli opifici dell'elettricità. La macchina termica, sfi– data, reagisce perfezionandosi. A loro volta, nuovi combustibili, liquidi e gassosi, va– riano e arricchiscono il motore a scoppio, che conquista il pianeta. Se si aggiungono a questi due fatti fondamentali l'invasione, dalla quale tanto si riprometteva un Ber– thelot, della chimica nell'industria e nel– l'agricoltura, la crescente automatizzazione delle macchine utilizzate nei più diversi opifici e la progressiva industrializzazione dell'agricoltura, si hanno gli elementi es– senziali per caratterizzare tecnicamente nel– le sue grandi linee un nuovo periodo che, come vedremo, si presenta anche dal punto di vista economico e sociale con una fisio– nomia ben distinta. Senza il mercato mondiale, la prima ri– voluzione industriale sarebbe stata incon– cepibile. Era stato quello il suo trampolino di lancio, e, per converso, l'aumento del volume dei prodotti fabbricati aveva sti– molato la ricerca e l'ampliamento degli sbocchi. La complessità e l'intreccio dei fenomeni tecnici ed economici appaiono anche ove si osservi che, se le trasforma– zioni avvenute negli utensili nel corso del– le rivoluzioni industriali e in particolare della seconda, hanno accentuato la divi– sione del lavoro mediante il frazionamento della mano d'opera su macchine sempre più specializzate, reciprocamente la molti– plicazione di questa mano d'opera non qua– lificata - enorme serbatoio di manovali a tutto fare e di consumatori in potenza - attorno ai grandi centri industriali favori– sce ·un nuovo balzo delle tecniche verso una produzione sempre più standardizzata BibliotecaGino Bianco e di massa: l'evoluzione del mercato, quella dei bisogni, delle tecniche, della psicologia professionale, interferiscono continuamente l'una nell'altra. Nell'interno di questa spe– cie di sviluppo a spirale, gli antichi tipi di produzione « unitaria », sopravvissuti i~– torno a macchine semi-artigiane della pri– ma rivoluzione industriale, condotte e con– trollate da un professionista, un « com– pagno », si trovano scompaginati. Ancora sulla fine del sec.;olo, nel decen– nio chiave, si moltiplicano i segni di tra– sformazione del capitalismo. La grave cri– si di depressione prolungatasi per più di vent'anni, dal 1873 al 1895, segna in modo definitivo lo sfacelo del liberismo econo– mico e la chiusura di un'epoca ancora do– minata dalla libera concorrenza, dal libero scambismo, dalla fede nell' «armonica» convergenza dell'interesse individuale e dell'interesse collettivo. Un bisogno ansioso di associazione, di organizzazione, pervade ormai febbrilmente tutto il mondo. E' il periodo in cui complesse fusioni fra ba~– che, centralizzate e decentralizzate, prati– canti su vasta scala l'intervento nella pro– duzione, annunciano che, all'interno del capitalismo, la finanza prende il passo sul– l'industria; l'epoca in cui nascono le grandi concentrazioni orizzontali e verticali, i pools e i corners, le « integrazioni » di im– prese, i « cartelli » e i trusts, le holdings, in Francia i comptoirs. A partire dall'ulti– mo decennio del secolo si afferma negli Stati Uniti il regno dei « Titani ": quello di un Rockfeller, che stringe in federazione tutte le raffinerie di petrolio e contrappone la sua « Standard Oil » alla « Roy,al Dutch », quello di un Carnegie, che pro– duce da solo tanto acciaio quanto l'Inghil– terra intera, quello di un Pierpont Mor– gan, che nel 1902 fond.a il gigantesco su– per-trust dell' « U nited States Steel Corpo– ration ». In Germania, i Krupp e i Thys– sen non tardano a seguirne le orme. Ovunque si moltiplicano le associazioni per la difesa di un gruppo di interessi, i sindacati per lo sfruttamento in comune di un mercato o per la lotta contro un gruppo concorrente. In genere, i produttori riuniti in un pool, in un corner o anche in un « cartello », si propongono di neu– tralizzare, d'accordo fra di loro e nell' am– bito del rispettivo gruppo, gli inconve– nienti della concorrenza. In regime di capi– talismo monopolistico, del capitalismo delle grandi unità produttive che sempre più sop– pianta il capitalismo liberale e caratterizza la fisionomia economica e sociale della se– conda rivoluzione industriale, la concor- renza si sposta al livello di potenti gruppi nazionali o internazionali. La dimensione delle imprese e il volume dei beni prodotti sono divenuti così enormi, che il sistema sente la necessità di organizzarsi per im– pedire, nei limiti del possibile, alla concor– renza di scatenarsi senza freni a rischio di catastrofi irreparabili. I •trusts, dapprima apertamente in lotta fra loro, avidi di so– praffarsi a vicenda e di taglieggiare il con– sumatore, votati a mostruose alternative di booms e di cracks, si vedono a poco a poco costretti a passare a forme di lotta meno brutale, sorvegliati dallo Stato e soprattutto ansiosi di difendersi collegialmente contro la marea montante delle lotte sociali. Nel frattempo, anche il mercato mon– diale subisce una sua evoluzione. La stessa Inghilterra, patria del libero scambio, è' costretta a sacrificare alle dottrine impe– riali e protezionistiche di un Joe Cham– berlain. Mercati nazionali e imperiali si co– stituiscono al riparo di tariffe doganali: le grandi potenze, disponendo (grazie alle lo– ro colonie o, come gli Stati Uniti, al nu– mero e alla qualità della loro popolazione) di larghi sbocchi interni o esteri, hanno la possibilità di giocar grosso, di saturare un mercato di prodotti razionalmente con– cepiti, standardizzati, fabbricati a basso prezzo, e di svilupparne e sostenerne la domanda con la pubblicità: dimostrazione diretta dell'incidenza dell'economia sui pro– blemi umani del macchinismo. Le condi– zioni nuove del mercato nel capitalismo monopolistico hanno insomma diretta– mente permesso lo sviluppo della produ– zione di massa e, di conseguenza, le sue ripercussioni fisiche e morali su tutta una classe di lavoratori. Il capitalismo si organizza anche in un'al– tra maniera: tentando di superare il perio– do di sperpero sconsiderato delle risorse naturali e umane. Nel corso della prima rivoluzione industriale, l'atteggiamento del padronato nei confronti della mano d'opera era stato caratterizzato da un'indifferenza, i cui effetti crudeli sulla popolazione ope– raia sono descritti dagli osservatori e ispet– tori di fabbrica del tempo: logorio sfre– nato di mano d'opera maschile, femminile, . infantile, cui si attinge senza preoccuparsi del suo deperimento. A questa dilapida– zione, il giovane capitalismo americano ave– va aggiunto quella delle risorse naturali, praticando una Raubwirtscba/t (economia di rapina), che ha termine con gli inizi del nuovo periodo. Verso la fine del secolo, ci si accorge che la mano d'opera non è inesauribile ed è cara, tanto più che gli

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