Terza Generazione - anno I - n. 2 - novembre 1953
violenza, ecco en1ergere i cavalieri, coloro che utilizza– vano le armi per fare giustizia e non per opprimere, che andavano al di là del mondo conosciuto, che sapevano, nei modi adatti ai tempi, realizzare in loro stessi un rap– porto equilibrato tra spirito religioso e vita del secolo e sancirlo in un loro codice di onore. La cavalleria rese possibile l'uscita dai tempi di ferro, dal chiuso di una vita barbaricamente impostata, permise di dare organizza– zione civile all'attività colonizzatrice, in Europa e fuori d'Europa. Ancora, quando il mondo feudale divenne troppo ri– stretto, ecco sorgere i mercanti viaggiatori, coloro che armavano una nave o una carovana e partivano alla ri– cerca di nuove terre e di nuovi mondi, animati non solo da spirito di lucro, ma da un desiderio di conoscenza, di civiltà, di espansione. , Oggi si tratta di fare qualche cosa di simile, utilizzando gli strumenti che la civiltà e la tecnica mettono a dispo– sizione, ma utilizzandoli con uno spirito nuovo da cui po– tranno nascere nuove forme civili, così come i cavalieri fecero con gli strumenti del mondo barbarico: dai cava– lieri è sorto il mondo feudale, dai mercanti quello bor– ghese. Nè Orlando, nè i paladini della leggenda, nè Marco Polo o i grandi n·avigatori avevano chiaro quello che sarebbe nato da loro. Non prevedevano i primi il sor– gere delle grandi organizzazioni politiche e giuridiche, culturali e teoriche medioevali; nè gli altri la grande industria, gli stati nazionali moderni, l'imperialismo che sono la storia di questi ultimi secoli. Oggi si tratta di fare qualche cosa di simile: prendere atto del fatto che il mondo, come è oggi, è diventato in– sufficiente, che grandissimo è il numero degli esclusi (non solo su un piano economico, ma culturale, spiri– tuale, ecc.). Prendere atto, e assumere un atteggiamento conse– guente. Non si tratta più di risolvere i problemi con la spada: oggi le guerre sono possibili solo per difendere i prin– cìpi dell'esistenza dei popoli, e sono perciò di tutti, si combattono da tutti e non più solo da piccoli gruppi di giovani audaci. Nè si tratta più di esplorare nuove terre: è stata ormai esplorata anche la cima dell'Himala ja. Si tratta di fare una cosa più difficile, di riesplorare ciò che già esiste ma che è ancora sconosciuto, a cominciare dalla realtà uma– na, di ritrovare così sensi nuovi alle cose di tutti i giorni, di interpretarne le insufficienze per cura~ne le cause, di utilizzare le enormi possibilità di vita ancora inoperose perchè non umanamente combinate. Cominciando dal nostro paese nel quale più di ogni al– tro al mondo esiste oggi l'urgenza di qualcosa di nuovo e di valido. Ma nel nostro paese la realtà strutturale è così complessa e varia che pare rappresentare in piccolo la situazione del mondo (basti pensare che le diverse aree economiche riconosciute dalla scienza sono tutte presenti nel _paese), e in più si manifestano in modo specifico e singolare altri problemi mondiali (basti pensare alle im– plicanze dirette che il problema religioso ha nella vita nazionale e statuale, per la presenza della sede gerarchica 1blioteca Gino Bianco della Chiesa Cattolica). Ciò comporta la necessità di una coscienza e di una responsabilità precise: si può agire, in Italia soltanto con occhio mondiale e in questo sen– so soltanto può conquistarsi una vera prospettiva nazio- nale. Enormi problemi: ma non c'è scelta, sono i nostri pro– blemi, quelli che la nostra generazione ha il compito di avviare a soluzione, a cominciare da oggi. Non possiamo certo cominciare a intervenire direttamente sui problemi strutturali economici, tecnici, politici, ecc.: sono neces– sarie linee chiare e precise, studi, progetti, invenzioni, sviluppi teorici e scientifici, di cui oggi appunto consta– tiamo la mancanza. Ma possiamo fare una cosa egualmente importante: cominciare a prepararci a questi compiti, a cercare su quelle strade di rischio e di sviluppo il nostro impegno di vita, cominciare soprattutto a educare in noi uno spi– rito profondo qual'era a suo tempo quello dei cavalieri· e dei Marco Polo. Con tale spirito formeremo degli uomini dotati del senso del valore di ogni uomo per la buona riuscita del– l'opera di tutti, capaci di rispettare le tradizioni non nella forma ma nel loro significato, aventi il senso del valore di ogni cosa e di ogni atto, portatori di un atteg– giamento creativo per orientarsi e prendere nel giusto verso le situazioni. Come dare un indirizzo all'inventiva dei giovani Per formarsi il giovane deve fare delle cose, delle cose da giovane, ma delle cose per cui lavori, ed è essenziale che il risultato sia un fatto valutabile come prodotto. Tuttavia non ci si può arrestare a questa valutazione. Ciò che conta è quello che avviene nel giovane durante que– sto lavoro: l'apertura umana, l'audacia inventiva, il senso collettivo, lo spirito di sacrificio che sorgono in lui: la scoperta di uno stile, di un metodo con cui entrare in rapporto con la realtà della vita . .Finora il giovane è stato lasciato a compiere questo p~ocesso da solo, spontaneisticamente. Ed è un processo essenziale perchè in questo contatto con gli altri, in un lavoro, il giovane comincia a capire quale è la- sua voca– zione umana, quali sono i suoi interessi più propri. Per ciò è necessario che egli si trovi in un ambiente non artificiale; che presenti cioè dei problemi effettivi, ma in cui questi siano riducibili a termini elementari. Uomini divenuti adulti attraverso questa formazio(!e porranno via via problemi più complessi; potranno, se occorre, andare anche per il mondo (in Africa, in Asia), e non ci andranno indifesi, ma capaci di riuscire a svi– luppare la storia degli uomini là dove altri ha svilup– pato il capitalismo, il colonialismo, il pianismo. Ed è con questa prospettiva universale che dobbiamo muoverci fin da oggi. Allora la realtà delle cose tradizionali, attuali, si di– mensiona (partiti, amministrazioni, il fatto stesso del paese) e gli atti nuovi anche se piccolissimi acquistano un loro significato esemplare, di valore qualitativo.
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