Terza Generazione - anno I - n. 2 - novembre 1953

grazione e la susseguente reintegrazione dei « fattori [umani] della produzione» in una nuova e «migliore» combinazione (assumendo come «giusta» qualsiasi deci– sione degli operatori pubblici o privati), in Africa noi dovremo, a nostro rischio, ac– cettare come «buono» ciascuno di questi processi. In Africa, infatti, come si è visto, i fattori della produzione non si possono considerare capaci di ricombinazione. Essi sono strettamente determinati da particola– ri forme di vita e di lavoro che avevano raggiunto una situazione di equilibrio in un ambiente umano ed ecologico determi– nato: di regola non possono essere combi– nati facilmente in nuove forme di produ– zione. Al contrario, si tende a ricombinar– li in forme che possono provocare com– plessi di instabilità economica e sociale, e possono eventualmente implicare costi eco– nomici e sociali comparativamente alti, proprio perchè non c'è tempo per la più lenta evoluzione necessaria a una stabile integrazione in un nuovo « tutto » econo– mico-sociale. Nell'Unione del Sud Africa il dilemma della disintegrazione è più evidente poi– chè qui l'industrializzazione si è sviluppa– ta più che altrove. Il vuoto fra il prole– tariato indigeno, inadeguatamente prepa- rato, e le richieste di lavoro specializzato e di attività imprenditiva, è stato colmato da europei delle classi medie e artigiane. A causa dell'originaria rarefazione dei ser– vizi cui provvedono, questi hanno potuto raggiungere una posizione economica, con un tenore di vita relativamente alto, e im– pediscono ad altri, oggi, di fare lo stesso. Benchè continuamente messe di fronte agli alti costi sociali dell'urbanesimo e al– le crescenti necessità di ridimensionamen– to delle campagne,· queste classi di immi– grati non sono psicologicamente prepara– te a rompere il cerchio del tradizionale si– stema produttivo: è molto significativo che, tutto sommato, l'economia sia ancora tri– butaria dell'industria estrattiva e del capi– tale straniero che ne è il finanziatore, pro– prio com.e al principio del secolo. Si può pensare che l'economia dell'U nio– ne sia, in fondo, un caso speciale, dovuto all'esistenza di una relativamente ampia popolazione europea ormai stabile. Ma ta– le opinione oscura la natura reale del di– lemma della disintegrazione: non basta sol– tanto deplorare la discriminazione razzia– le ed economica; anche dove questa man– ca << la barriera del tempo » taglia ancora in due l'Africa: nelle miniere come nelle piantagioni, nelle industrie private come Asia: alla ricerca di un ruolo autonomo Non mi sembra logico che problemi riguardanti l'Asia possano essere trattati ignorando l'Asia. Mi sembra che questo sia un atteggiamento errato capace di produr– re effetti sempre più gravi con il passare del tempo. Oggi tale atteggiamento comporta difficili soluzioni, domani queste diventeran– no sempre più ardue, finchè non si rende– ranno impossibili. Non è logico che vitali problemi riguardanti l'Asia vengano trat– tati come se i paesi dell'Asia non contas– sero che poco. Dopo la seconda guerra mondiale, i cen– tri di gravità militari, finanziari, ecc., del mondo sono cambiati. Il colonialismo ha visto impallidire la sua stella, anche se non del tutto. Esso esiste in molte parti del mondo, pur tuttavia si è indebolito. Nuove nazioni sono sorte col risultato che i vecchi centri di gravità si sono spostati e stanno continuamente spostandosi. Non voglio che si produca alcun evento mondiale basato, per così dire, sull'assioma Asia contro Europa o Asia contro America. Non credo si debba pensare in termini di ostilità:· un continente contro un altro, una razza_ contro un'altra, un paese contro un altro. Noi chiediamo di essere lasciati al di fuori di questo dilemma basato sulla ostilità dell'Asia contro l'Europa. ~iblioteca Gino Bianco Taluni dicono che tale politica non sod– disfa nessuno al mondo. Pur tuttavia questa è stata la nostra politica fondamentale e credo che essa abbia dato buoni frutti. Il nostro paese infatti non solo ha visto au– mentare la stima che per lui nutrono altre nazioni, ma ha svolto anche un ruolo ab– bastanza importante - non voglio esage– rare, ma ripeto « abbastan~a importante > - aiutando la soluzione di taluni problemi che si sono presentati. E' facile sottolineare le mancanze del– l'O.N.U. e le difficoltà che l'organizzazio– ne deve affrontare continuamente. Dopo tutto l'Organizzazione delle Nazioni Unite non è che il rifl,esso del mondo come esso è oggi, delle nazioni sovrane come esse sono ai nostri giorni. Se noi esaminiamo la composizione del Consiglio di sicurezza ci accorgiamo che in realtà i cinque membri permanenti sono quattro, essendo erronea– mente il governo di Formosa considerato rappresentante della Cina: mentre è chia– ro che esso non la può rappresentare. Gli altri sette membri rappresentano paesi del– l'Europa, del Nord America e del Sud Ame– rica. Dov'è esattamente l'Asia in questo quadro? Oggi il Pakistan è uno dei mem- negli enti pubblici. Ogni rapido mutamen– to economico conduce alla disintegrazione della società indigeha, anche quando non vi è una popolazione europea permanente. Così i popoli dell'Africa sono prigionie– ri del dilemma del mutamento. Essi temo– no la creazione di una situazione simile a quella del Sud Africa, e perciò diffidano non solo di una qualificata dirigenza eco– nomica importata dall'estero, ma anche di una nuova classe dirigente economica na– zionale. Da una parte si sospetta e si teme il mutamento, dall'altra si desiderano i suoi frutti per beneficiare dei vantaggi ma– teriali e spirituali del mondo moderno, spesso dimenticando i suoi costi economici e sociali pesantissimi in relazione alle pos– sibilità del momento. Pertanto, dato il bisogno di capitale per P,romuovere il mutamento, come esso può essere ottenuto e come può venir applicato senza lo sviluppo di forme di attività eco– nomica che distruggono il vecchio e non co– struiscono nuove e stabili relazioni econo– miche e sociali? Questo è il problema che si pone all'Africa e al mondo. · s. HERBERT FRANKEL da The Economie lmpact on Under-developed Societies, Essays on lnternational, [nve.stment and Socia! Change, Oxford 1953. I bri; molto presto però esso non farà più parte del Consiglio di sicurezza scadendo, tra due o tre mesi, il termine: con ogni pro– babilità quindi del nuovo Consiglio di si– curezza l'Asia sarà rappresentata dai gover– ni di Formosa e del Libano. Il Libano è un ottimo paese; ciò nonostante, però, è molto strano che nel Consiglio di sicurezza, che decide il destino del mondo, il grande con– tinente asiatico sia ;appresentato soltanto dal Governo del Libano. Tralasciando For– mosa., perchè questo governo non rappre– senta nessuna parte dell'Asia all'infuori dell'isola di Formosa, possiamo, fin da que– sto momento, salutare il Libano. Tuttavia non si può accollare ad un piccolo paese un peso superiore alle sue forze: il Libano non avrà certo la possibilità di rappresentare questo grande continente in fermento con tutti i suoi tumulti e tutti i suoi numerosi problemi. Nel futuro le organizzazioni mondiali non potranno ignorare l'Asia e dovranno cessare di considerarla soltanto come tea– tro delle loro politiche e dei loro confl,itti. PANDIT NEHRU <lai discorso del 22 settembre 1953 alla Camera Alta (Consiglio degli Stati) indiana.

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