Terza Generazione - anno I - n. 2 - novembre 1953

La parola del pubblico Quando qualcuno intrapren– derà la non lieve fatica di scri– vere una storia del così detto « neo-realismo » cinematografi– co italiano, dovrà senza dubbio dedicare un particolare discorso all'opera di Federico Fellini. Non è il caso di dilungarci in questa sede in un'ennesima revisione di tutto il movimen– to neo-realista della cinemato– grafia italiana; discussione che comunque verrebbe senza meno a condurci alla conclusione del- 1' esistenza di una larga varie– tà di stile, nell'ambito dello stesso neo-realismo, cosìcchè, forse, è allo stato attuale im– possibile parlare ancora ed ul– teriormente di un « neo-reali– s~o », e magari, ed a mag– gior ragione, di « neo-reali– smi ». Una diversità fondamentale di stile caratterizza infatti ad esempio l'opera, definita, forse non impropriamente, romanti– ca, di un De Sica da quella più cruda e verista di un Visconti o di un De Santis; la tematica lirista di un Rossellini e quella sociale di un Germi. Comunque è da sottolineare che i film di Federico Fellini, massime il recentissimo I vi– telloni, hanno fornito, o me– glio caratterizzato, un'ulteriore tendenza del così detto « neo– realismo » tendenza che potreb– be forse chiamarsi del sociolo– gismo, vale a dire della ricerca sociologica di un determinato ambiente, di una determinata località, di un determinato sen– timento corale presente nell'at– tualità sociale. In tal senso precursori del film di Fellini potremmo rite– nere alcuni film di Germi. Ma certo l'opera più impegna– tiva e, senza dubbio, la più teressante che apre effettiva• mente nuove vie al genere « neo-realista >, rimane appun– to I vitelloni. Per questo film, sempre a voler rimanere in ter– mini telegrafici di conclusione il neo-realismo esula, si Uber~ oserei dire, dell'originaria im– postazione cronachistica per as– surgere a indagine e critica di un atteggiamento e del costu– me. E' senza dubbio una strada non priva di suggestioni: c'è da augurarsi che su di essa si tro– vino presto molti altri registi. GIOVANNI MAMMUOARI Non si potrà evitare questo film di Fellini in una storia del cinema italiano del dopo– guerra. Perchè una nuova di– mensione umana vi entra a far parte. E non è solo quella che risponde alla provincia, ma una capacità e qualità di Fel– lini nel « vedere » quella vita e descriverla: qualità nuova di scoprire la miseria intera di questi giovani, di scoprire l'as– s~nza di motivi ideali: cosl che tutta la vita non assume rilievo, non ha crescita. E' qui che, senza dubbio, va rilevato come questa « qualità » sia fuori del neo-realismo, o ne rappresenti una soluzione. E' evidente che l' e~pressivo e gli acquisti del neo-realismo non sono dimenticati da Fellini (co– me li dimentica, politicamente e scioccamente, altra parte del nostro cinema), ma Fellini ne evita, ne supera, per quella sua qualità, l'equivoco più perico– loso: diminuzione della realtà mediante una dimensione politi– cizzabile, o meglio, rivendicativa e perciò potenzialmente distrut– tiva. E' questa una componente polemica che il neo-realismo - partito dall'esigenza di una as– sunzione della realtà nell'arte del film - non sempre è riu– scito a superare, e che gli toglie una vera possibilità di sviluppo. Ora, questo film è importante perchè è una indicazione fuori di quella polemica, un tentativo di allargare quella dimensione di realtà e d'umanità. E non a caso si parla di tentativo. Un po' da tutte le parti si è messo in rilievo l'assenza di pro– fondo impegno etico, in Fellini, d'un esame tale da riuscire a toccare le matrici della deca– denza di provincia. Si veda la soluzione proposta, l'evasione incosciente verso la città ( « non so, non so>); si veda anche la presenza, che rimane fuori del contesto narrativo, del piccolo ferroviere. Ma forse si sfugge al problema vero parlando di as– senza di impegno morale: sa– rebbe più giusto parlare prima di limite culturale della sce– neggiatura, di una incapacità di inquadrare sinteticamente una realtà nel contesto della realtà, ad uscire dalla denuncia intelligente, acuta e spiritosa, alla « Mondo > per agganciare le ragioni causali. Biblioteca Gino Bianco Ora si rifletta soprattutto a un (atto, che mi pare centrale nel film: il non aver capito che « vitelloni » non erano solo i giovani, ma lo era tutta la cit– tà, lo erano i genitori e gli ami– ci, i « saggi » negozianti e la brava borghesia dell'ultimo di carnevale. C'è una correspon– sabilità di tutto l'ambiente che Fellini non ha approfondito. E come tutto questo si riscon– tri sul piano dei risultati di poesia, risulta chiaro, lungo tutto il film, da certe stonature pseudo-drammatichç a certe scappatoie umoristiche, fino alla bastonatura finale. OLA UDI0 LEONABDI Mi sembra ormai pacifico che i vitelloni non costituiscano sol– tanto un fenomeno tipico della vita provinciale o la manife– stazione d'un modo di vivere di una classe determinata. Come stato psicologico, esso s'è rapi– damente propagato dalle città di provincia più sonnolente ed arretrate alle grandi città, dai figli della borghesia benestante ai frgli degli artigiani e degli operai ed è comune a giovani e ragazze. Sotto quest'aspetto si potrebbe ricercarne le cause in un difetto di emancipazione: vi sono troppi signorini: gente che non sa scrollarsi di dosso la tutela ormai ridicola dei propri genitori, ma che anzi su questa tutela costruisce un co– modo sistema di vita che l'aiu– ta a sfuggire ogni responsabilità e ogni fatica, che accetta a trent'anni i rabbuffi. e magari le bastonate dei padri, come prez– zo a buon mercato della pro– pria spensieratezza. Per questi giovani, neppure il matrimonio è atto di rifles– sione cosciente, giacchè signi– fica solo passaggio sotto la tu– tela dei suoceri, che magari si giustappone a quella dei ge– nitori. Tuttavia sarebbe errato esaurire in ciò la questione: è sì assai diffusa la mancanza di dignità nei rapporti tra padri e figli, ma vi è anche un atteg– giamento comune alle nuove ge– nerazioni, che accentua natural– mente il grottesco comporta– mento dei signorini, ma in par– te lo giustifica. In fondo, tutti siamo in potenza dei vitelloni. Lo siamo di fronte ad una vita che sembra lasciarci poche pos– sibilità e quelle poche difficili e incerte. E allora meglio vi– vere alla giornata, senza impe– gnarsi in nulla o impegnarsi so– lo superficialmente per non es– sere esposti a delusioni e falli– menti che sembrano inevitabili. Lo siamo perchè la società sem– bra escludere un nostro apporto creativo, perchè viviamo in un'epoca in cui vige un sistema l I

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