Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953
come liberalismo e socialismo, cristianesimo sociale e comuni– smo, ma in realtà egualmente estranei alla nostra vita nazio– nale d'oggi, anno 1953. La realtà dei nostri giorni è il portato ultimo di un proces– so continuo d'astrazione, che è servito unicamente a evitare o a differire le questioni fonda– mentali. Così ora ci troviamo a girare intorno alle nostre paro– le, a lottare con un linguaggio inadeguato, a sentire i problemi senza essere ancora capaci di chiarirli di fronte a noi stessi. Non sappiamo neppure cosa sia quest'Italia antica e moderna, dove le minoranze hanno fatto tutto e non hanno risolto nul– la, dove le masse, quantunque ricche d'intuito e d'ingegno, mai hanno fatto udire la loro pa– rola dai tempi delle guerre servili e hanno sempre prefe– rito la rassegnazione alla lotta, i moti di piazza alle rivoluzio– ni, il brigantaggio alla guerra. Per rispondere agli interrogati– vi confusi che ci premono den– tro, per giungere a quell'auto– coscienza nazionale alla quale miriamo, dobbiamo vivere nel– la realtà, abbandonare le fazio– ni e le ideologie, immergerci nell'esperienza umana, di cui il nostro popolo è ricco, ripren– dere la storia con serenità sen– za indulgere in sanatorie che la umilierebbero al pari di con– danne, ma con il proposito di riportarla nelle sue autentiche dimensioni vitali. me ambiente di vita che per– mette lo svolgimento di attitu– dini vitali, spesso contrapposte e nemiche, come ad esempio la coesistenza di un senso giuridi– co ancora romano dello Stato con le tendenze libertarie o autarchiche di interi gruppi so– ciali; la nazione, come realizza– zione storica che occorre proiet– tare verso l'avvenire, nella pie– na partecipazione allo sviluppo dell'umanità intera. le generazioni che ci hanno preceduto, con tutte le varian– ti subite nei campi avversi e invalidata da una prescrizione che non perdona, abbiamo de– ciso di riconoscere solo il fatto nazionale convinti come siamo che la nostra vita d'individui v'è implicata inesorabilmente. La realtà che ci circonda, non ci è estranea, ma ci comprende; c'impone la presa di coscienza come preliminare a qualsiasi azione. Nè, del resto, è possibi– le chiudersi nella torre d'avo– rio, in un isolamento che ci sminuirebbe. Chè anzi da que– sto punto potremo annodare le fila del discorso, da questo sta– to di necessità che ci lega con un vincolo più forte di noi al paese in cui siamo nati. Certo, rimane dentro noi un atteggiamento di attesa e di so– spensione. Ma già la realtà ci suggerisce i primi temi: la po– tenzialità del nostro paese co- Non siamo ancora giunti al– la consapevolezza integrale e completa di ciò che è stato fat– to e di ciò che dovremo far noi. E' un impegno difficile anche se ben si adatta alla generazione che nasce nuova in un mondo che sembra aver bruciato tut– te le alternative possibili. Squarciando il velame della co– scienza nazionale ereditata dal- LUDOVICO INCISA ' E inutile ripetere che la libertà è ossigerio per la cultura, dove la cultura non esiste Caro Ciccardini, Ho letto con vivo interesse la tua lettera e i meditati giudizi degli amici ai quaU ti eri rivolto per avere risposta ai quesiti posti in apertura di discussione. Indubbiamente un fatto notevole: l'affermazione che i tem– pi sono maturi per iniziare una « attività di coscienza e di opinione > che permetta ai giovani, ora disgregati e muti, di ritro– varsi, di scambiarsi idee ed esperienze, sì che gli, « esclusi > di oggi, vincendo tenta– zioni di sfiducia, reagiscano alla situazione di crisi, riveste già di per se stessa un si– gnificato culturale e costituisce una dovuta assunzione di responsabiUtà di fronte ai problemi della generazione. Mi ritrovo nella tua esperienza e quindi vedo la necessità del nuovo atteggiamento: momento logico di uno sviluppo che, ini– ziato con le nostre prime esperienze di vi– ta associata, attendeva per continuare il fat– to nuovo del ripensamento comune di co– muni problemi. La. possibilità di precisare apertan,ente la posizione di ognuno ci per– metterà altresì di verificare la fondatezza di un;altra intuizione: l'esistenza al fondo delle diverse esperienze proprio di quei tratti comuni che, con il favore della con– tingenza storica, hanno portato, di fatto più di una volta, ad un punto d'incontro. Oggi non si fa troppa fatica a scoprire ciò che ci unisce. Anzitutto una comune diagnosi della situazione: immobiUtà strut– turale, impossibiUtà di espansione della so– cietà nazionale, mancanza di una cultura che comprenda le necessità del paese, e, so– prattutto, paura che una crisi vasta come l'attuale con il suo investire tutto, il corpo sociale, lo Stato ed i partiti, porti irrime– diabilmente, favorendo le forze eversive., al– la disgregazione della societtÌ ntnionale. Nè è difficile ricordare come si sia arri– vati a tal punto. Storicamente, nell'immediato periodo ,Post-resistenziale, si sentiva viva l'esigenza (corrispondente a una necessità storica) di un rinnovamento totale della società nazio- Biblioteca Gino Bianco nale. La speranza di poter fare qualcosa in tal senso è continuata per qualche tem,po: forse fino al 18 aprile 1948 se si può fissar meglio con una data, per altro significati– va, una svolta nella nostra esperienza. Da quel giorno ci siamo cominciati ad accor– gere che lo sviluppo storico del paese si svolgeva in modo non omogeneo alle no– stre istanze: sempre meno ci riconoscevamo nelle parti esistenti. E' appunto con il su– peramento storico dell'antifascismo inteso come fatto di per se stesso risolutore di tutti i mali della società nazionale, che si preéisano i tratti comuni dell'esperienza di ognuno. Due in particolare: l'abbandono della credenza che tutto si possa risolvere facendo politica all'interno dei partiti sto– rici esistenti e la coscienza di non avere gli, strumenti culturali, adatti per portare a ter• mine con successo il compi,to che ci era– vamo prefissi. Per questo anche se le vie percorse por– tano nomi diversi ci si ritrova, convinti che è giunto il momento di mettersi insieme per un'iniziativa autonoma. In questo quattro più vasto - l'esperien– za di tutti - si collocano i chiarimenti, i contributi particolari di ognuno, vaUdi per quel che scoprono di esigenze e capaci, con l'illuminarne aspetti diversi, di rendere più comprensibile la realtà. Ho fatto in provincia le mie prime espe– rienze di vita associata: ciò può avere un significato oggi in una situazione di crisi della cultura e di palese inadeguatezza del– la strumentazione culturale a disposizione dei giovani. La provincia infatti è l'ambien– te in cui vive la maggior parte degli, intel– lettuali italiani, l'ambiente ove si « brucia– no> un gran numero di giovani. Per que– sto, forse, proprio nelle piccole città de– vono essere formulate le esigenze-base dal– le quali ,Poi ricavare indicazioni per la ri– soluzione del problema. Uscendo il più possibile dal genericismo e dai luoghi co– muni. E' inutile, per esempio, ripetere fino alla noia ( è l'unico tipo di discorso che i vecchi intellettuali di provincia sanno fare) che la libertà è ossigeno per la cultura: la frase è vuota dove la cultura non esiste. Bisogna piuttosto esaminare la realtà di una situazione per poi vedere le possibilità concrete di superamento. Ricordo che quando, giovanissimi, ci sia– mo accostati per le prime volte ai proble– mi della società in c11,isi viveva, al fondo della nostra ansia di fare qualcosa c'era, radicato e profondo, un sentimento di ri– volta contro situazioni obiettivamente in– giuste. Il disoccupato, il bracciante affama– to, il piccolo impiegato, e in genere tutti coloro che sentivamo lontani e dimenticati indicavano il dovere di stato: rendersi di– sponibili per contribuire in un qualche modo (non avevamo ancora scoperto la vo– cazione di ognuno) al rinnovamento della società. Ne seguiva la ricerca di una linea di sviluppo che rivestendo le esigenze di un significato culturale e politico servisse a valorizzarle sul piano storico. Era il mo– mento in cui si cercava di vedere in che modo le nostre istanze potessero trovare ac– coglimento negli istituti esistenti, il mo– mento in cui si voleva ascoltare e capire tutto quello che la generazione precedente aveva da dirci. Speravamo di trovare degli elementi qualificati più anziani, in coloro cioè che in sostanza avrebbero dovuto co– stitttire l'ossatura della nostra città di pro– vincia, un senso vivo di responsabilità che, se non altro per motivi umani, li ponesse in condizioni dinamiche e di apertura di fronte ai problemi del loro e del nostro tempo. Dagli impegnati sul piano poUtico si pretendeva qualcosa di più: valutazione esatta dei problemi, conoscenza degli stru– menti adatti alla risoluzione, impostazione corretta sicchè le qt,estioni locali (comin– ciavamo sia pure in modo incompleto ad avere il senso della interdipendenza dei. problemi) si inserissero nel quadro reale della società nazionale. Fu invece la prima delusione e nel con– tempo la prima tentazione di sfiducia. Pur- 33
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