Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

portanti troviamo aggregati i mestieri di– pendenti > ( 15): con l'Arte della Lana, ad esempio. giuravano conciatori, tintori e tes– sitori; gli orafi giuravano con gli argentie– ri. Tutto ciò dimostra una divisone del la- voro molto embrionale. . Il popolo che vivacchiava così nelle con– trade e nelle arti aveva giochi e feste che rivelavano in parte lo spirito di contrada: così il gioco dei pugni della domenica di Carnevale, le finte battaglie, la « moresca >. Infine il Palio, legato a elementi religiosi, nominato nello statuto del 1310, ma esi– stente anche prima: lo scopo è mostrare l'abilità del fantino e la supremazia della contrada, non la qualità del cavallo come nelle corse moderne. Il Palio d'altra parte fu, in un certo pe– riodo, la principale occasione in cui il Co– mune prendeva contatto col contado: l'of– ferta dei ceri del 14 agosto e il corteo com– prendevano tutti i rappresentanti dello Stato senese: dalla Signoria, dal popolo per compagnie e parrocchie, dai contadini e cittadini « selvatici o silvestri >, baroni, massari e consoli. Rapporti col contado e l'espansione in Maremma. Anche i rapporti di Siena col contado e cogli altri comuni toscani si prestano ad alcune considerazioni. E' noto quanto so– stiene l'Ottokar, che il Comune italiano, a differenza di quello d'oltralpe, è un fat– to sempre territoriale e politico. Tuttavia i comuni maggiori maturano più il senso della correlazione col proprio contado, perfezionando il loro modo di governo e le loro relazioni economiche. Nello stes– so momento della conquista, questi dan,– neggiano il meno possibile la nuova ric– chezza acquisita. Su questo piano Siena rimane molto in– dietro: a una campagna già povera im– pone imposte straordinarie, spesso « egua– gliando il ricco col povero >, ciò che ri– vela il permanere del rapporto feudata– rio-soggetti. Il comune non si preoccupa di stabilire una discriminazione politica di classe, come sarebbe nel suo interesse: si ristabilisce il vecchio rapporto dell'auto– rità feudale centrale che tiene difficilmen– te a bada i feudatari minori, e per il quale la forza e lo sterminio sono l'unico ri– medio alla debolezza egemonica struttura– le. Così rispetto ai feudatari e ai villaggi il Comune si comporta in due modi tut– t'altro che contraddittori: lascia una auto– nomia locale almeno amministrativa (che è frutto della sua impotenza) e taglieg– gia con le tasse o distrugge il contado in caso di ribellione (16). Il Comune possiede addirittura un registro, detto « memoriale delle offese >, su cui segna tutti gli affronti e le ribellioni del contado (17): un vero e proprio residuo istituzionale del senso germanico della vendetta come giustizia. Le fughe dei servi della gleba furono meno intense che altrove; infatti il lento progredire delle arti non esercita una grande attrazione sulla campagna, il mer– cato non è molto sviluppato e la legisla– zione sui contadini è oscillante (18). Nel 1193 si cerca con la Lira Estimo di limitare l'afflusso in città. Nel '300 col generale ~ibliotecaGino Bianco peggioramento delle condizioni economi– che e l'indurirsi dei patti di colonìa il mo– vimento cesserà quasi del tutto. Ma la questione più importante nel- 1' espansione senese verso il contado è quel– la della Maremma. Sottoposta originaria– mente per larga parte agli Aldobrande– schi, aveva poi visto sorgere il « Comune feudale » di Grosseto, importante per la produzione delle saline. « Presa Grosseto è presa Siena » dice l'antico detto toscano: il sale e ragioni economiche e strategiche determinano l'interesse di Siena per la Maremma. Nel 1203 nelle faccende di Grosseto si intromette Siena, costituendo una « Società per la dogana del sale » ge– stita dai Buonsignori. Nel 1221 si fa un altro trattato che, rotto dai grossetani nel 1224, provoca la guerra e la conquista di Grosseto da parte di Siena. Ma la zona dal crollo dell'Impero roma– no è malarica: lo stabilirsi di un'agricol– tura stabile, malgrado i ripetuti sforzi, è quindi impossibile, per il basso livello tecnologico che impedisçe le opere di bo– nifica. E questa impossibilità di sviluppo agricolo condiziona e limita l'attività ma– rinara. Come rileva il Braudel, in un mare biologicamente povero come il Tirreno, le popolazioni marinare possono vivere solo a patto di svolgere accanto alla pesca e all'industria marinara anche un'attività agri– cola (19). Così il controllo politico della costa maremmana non basta perchè Siena svolga un'attività marinara. Così i porti della Maremma non sono soluzioni per Siena: Piombino si sottrae sempre all'in– fluenza senese, Porto Ercole diventa scalo marittimo solo nel XVI secolo, Porto San– to Stefano sarà fondato nel secolo XV, quando ormai Siena è in decadenza. Tra i porti oggi esistenti, solo Talamone viene acquistato da Siena nel 1303; ma la mala– ria, l'assenza di attività agricole, la deca– denza di Siena non lo fecero mai prospe– rare tranne che nel periodo dal 1356 al 1364 in cui per le sue liti con Pisa, Firen– ze vi instradò parte del suo traffico. La derisione di Dante alle speranze che i se– nesi ponevano su Talamone era piena– mente giustificata. Eppure il canale dell'El– ba è la strettoia da cui in un'epoca di prevalente cabotaggio, si può stroncare il rapporto tra il mezzogiorn.o d'Italia, il nord e la Francia. Ma il modo migliore per controllarlo sarà quello adottato da– gli Spagnoli, marinai d'altri lidi, quando fonderanno lo Stato dei presidi, lasciando perdere il resto del paese. hfontieri, le compagnie, il popolo: il grande tentativo di Montaperti. C'è quindi da chiedersi in forza di che cosa Siena sia stata grande, si sia eretta in Comune e abbia contributito alla ci– viltà nazionale. La grande forza di Siena sta nel commercio del denaro e nelle com– pagnie che lo esercitarono per tutta Eu– ropa. Si sa certamente che nel 1137 Siena ottiene da Volterra una partecipazione a metà alle miniere di Montieri contro 600 lire; e pare che per parte dei senesi fos– sero presenti, come col sale di Grosseto, i Buonsignori. Una miniera d'argento era una notevole fortuna nel mondo occidentale dove, da Carlo Magno in poi, dominava la circola– zione argentea. Il vescovado di Volterra e i Pannoc– chieschi (che in realtà erano la stessa cosa) possedevano da molto tempo le miniere, e furono nel 1190 prestatori dell'Impero. Si può chiedersi dunque perchè l'attività ban– caria e di cambio che si sviluppò a Siena, basandosi su Montieri, non si fosse svilup– pata a Volterra. Qui il vescovado e i Pan– nocchieschi, si erano trovati in lotta con le nascenti forze cittadine mercantili della città ma anch'essi erano ricchi di denaro; « difficilmente - dice Gioacchino Vol– pe (20) - ritrovavano altrove signori ec– clesiastici e baroni feudali così forniti di quella stessa ricchezza mobiliare di cui di– sponevano i loro nemici delle città ». Ma lo stesso Volpe ci dà subito una spie– gazione convincente delle ragioni per cui non fu il vescovo di Volterra, ma i ban– chieri senesi a trar il massimo profitto dal– le miniere. « Infatti in questi (i cittadini di Volterra e i senesi) il denaro era frutto e indice di tutta una particolare forma di rapporti, di attività di strutture economi– ca e sociale, era cioè un fatto complesso e profondo. In quelli invece era qualcosa di esterno e sovrapposto dall'antico, e quin– di senza virtù efficiente e senza valore mo– rale, destinato a dissolversi a mano a ma– no che si acquistava con la stessa rapidi– tà e facilità > (21). L'organizzazione economica di Montieri non era quella tipica delle miniere tede– sche dell'epoca, cioè corporazioni di ar– tieri (laboratores) che conferivano a que– sta anche una piccola quota di capitale, ma in essa si riscontrava l'esistenza di partia– rii e magistri, figure tipicamente capitali– stiche (che costituivano le « compagnie di fatto di argentiera ») e i salariati (22). Que– sta organizzazione di tipo già moderno si accordava molto bene col circuito europeo in cui si muovevano i capitali senesi e non è da escludere che ci siano delle relazioni molto strette tra questi due fatti. Dopo una lunga serie di liti, rotture, introm1ss1oni fiorentine, le miniere dal 1253 sono completamente in mano ai ban– chieri senesi, specialmente ai Tolomei, e il vescovo Raniero è fortemente indebitato coi Tolomei e i Buonsignori. Lo sfrutta– mento, sia pure fatto all'aperto, senza sca– vo di gallerie, deve essere ugualmente in– tenso se nel 1287 si comincia a constata– re la decadenza delle miniere. Su questa base si sviluppa un'attività di credito e di cambio anche col Papa che affida ai Buonsignori, « compsores domini papae », la riscossione delle imposte del– l'amministrazione pontificia, il cambio e il trasporto delle somme ricavate dai tri– buti eclesiastici » (23). Mentre altrove, co– me a Genova, « il traffico delle merci e del denaro si esaurisce in un circolo chiuso tra i prestiti di esportazione, le commende e le società per il commercio di oltrema– re » (24), o a Firenze, che sviluppa anch'es– sa una rete internazionale di crediti e di cambi, l'esistenza di industrie fa sì che l'arte del cambio nasca prima come ap– pendice di Calimala e se ne stacchi solo nel 1202, l'organizzazione bancaria senese è tutta legata all'estero. Se le industrie fan– no stabilire più lentamente di wia miniera i rapporti bancari internazionali, esse li

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=