Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

quasi totale assenza di industrie e di ceti dirigenti e nell'immobilità della struttura agricola, nessun segno che possa garantire un qualsiasi tipo di movimento. Nella mummificazione integrale .restano da esaminare due fatti: le osterie e le con– trade con il Palio, che è la loro manifesta– zione maggiore. Nelle stradicciole laterali alla via di Cit– tà e giù per le strade che scendono a Fon– tebranda o a Fonte Nuova si scovano que– ste piccole osterie dove sul fa.r della sera converge una speciale « clientela > fissa, i cui membri sono legati da vincoli di briga– ta, di « circolo di contrada >, di comitiva, per il gioco delle carte, terziglio, briscola, scopone. Sono ambienti popolari dove si beve vino rosso nei bicchieri a fondo spes– so di uso comune e si mangia salame pane e salcicce, su una carta gialla: vi confluisco– no artigiani più o meno benestanti e quella razza tipica di gente che rivela lontano un miglio come la sua professione o i suoi svaghi hanno a che fare con la campagna. Esse sono fatti popolari, gli unici di que– sto genere esistenti a Siena, anche se non mostrano subito questa natura: infatti a Siena il popolo è questo ceto artigianale più o meno benestante; sarebbe vano cer– carvi il proletariato di tipo moderno delle grandi città. Nelle osterie si respira un'aria di distinzione e di civiltà, un'atmosfera gaia e motteggiatrice, e si usa un gergo or– mai tramontato. E' importante notare che non si tratta di giovani ma di uomini ma– turi e di vecchi: potremmo individuare tra loro alcuni dei « testimoni del passato >. d) Il Palio. Probabilmente le osterie e la loro clien– tela sono localizzate per « contrade>: ri– guardo alle contrade non vogliamo ora considerare nè la loro origine nè la loro funzione primitiva; lo faremo più oltre. Ci preme per ora cercare di individuare che cosa sono oggi le contrade di Siena. Esse come tutti sanno, coprono tutto l'abitato dividendolo topograficamente in 17 parti quante esse sono. Posseggono una sede, una bandiera, un consiglio e mobilitano in cer– ti periodi dell'anno una parte della popo– lazione nella preparazione del Palio che, fra trattative e altre faccende deve essere abbastanza laboriosa. Oltre queste manife– stazioni le contrade non hanno vita: esse non sono centri di relazione tra i membri. La loro base è popolaresca anche se i « ca– pitani > sono borghesi o impiegati: essi non si vestono per il corteo del Palio e per le feste; la « comparsa > è costituita da gio– vanotti del popolo che sostengono anche il lungo allenamento per le sbandierate. Qui bisogna aggiungere alcune conside– razioni: prima di tutto il Palio non è un fatto di combattimento sportivo; la contra– da che vince ha sostenuto una lunga serie di trattative « diplomatiche >, di transazio– ni finanziarie, con le altre perchè lascino via libera al suo fantino durante la cor– sa: sono i « concordati > tra le contrade. Una contrada isolata anche se ha un buon cavallo e un buon fantino è difficile che vinca. Fatto, quindi, non sportivo, ma di– plomatico, residuo di vecchi rapporti tra contrade, quando esercitavano altre fun– zioni. Mai a Siena una forza sociale ha potuto 12 Biblioteca Gino Bianco sovrapporsi stabilmente ad un'altra: il ca– rattere di federazione di forze che si com– pongono variamente tra loro è una con– seguenza dello scarso sviluppo delle «arti> e del carattere di « comune feudale > che a Siena, come vedremo, è particolarmente evidente. Una federazione di forze che si compensano esige una diplomazia che si sviluppa anche nelle feste: è una caratteri– stica propria anche degli antichi « monti > o fazioni che si formarono in seno al co– mune. Il carattere di « comune feudale> pro– voca anche un altro effetto: l'idolatria per la contrada e la settarietà, fino a fare so– pravvivere nei periodi di decadenza quasi solo questo carattere. Così sia nei « monti » che nelle contrade quando la diplomazia falliva o non si po– teva usarla, la rissa era l'unica soluzione: si spiega allora come, per esempio, nei Palii del 1688 e del 1713 ci siano state uccisioni per motivi di contrada. Oggi questi fatti non accadono, c'è solo una divisione tra i membri delle varie contrade; ma come i sostenitori dell'Inter o del Milan non fan– no comunità ma solo idolatria collettiva, così è dei sostenitori della Selva o della Pantera che hanno al loro attivo solo il fatto di idolatrare cose più belle: questo fatto però non significa che queste cose belle abbiano vita. E' chiaro che su queste basi il Palio e la funzione delle contrade non è storicamen– te, salvo gli inizi, un fatto unitario della città, ma una lotta di forze centrifughe. Dopo questi rilievi sociologici, certamen– te parziali e bisognosi di integrazione, la spiegazione di essi, e di tutta ta situazione attuale di sostanziale immobilità e deca– denza cittadina, non può essere richiesta che alla storia. Le risposte della storia Per spiegarci la decadenza della città dobbiamo individuare alcune linee dell'evo– luzione storica che rispondano ai quesiti posti e che mostrino a sufficienza determi– nate condizioni di ambiente che le hanno condizionate. Si tratta dunque di mostrare lo sviluppo di Siena fino al momento del massimo sfor– zo per affermarsi, che culmina col grande tentativo ghibellino di Montaperti nel 1260. Anche prima di questa data esistono forti limiti di fatto a un pieno sviluppo stori– co della città: sarà appunto quando la pro– pulsione in avanti cesserà che questi limiti determineranno una caduta progressiva di livello e la decadenza finale. L'incremento della popolazione. Già le ragioni primitive dell'ingrandirsi della città possono mostrare un limite in– trinseco: durante le invasioni barbariche questa strana colonia romana sovrapposta a un originario nucleo etrusco o gallo (e in questo caso si tratterebbe di una popo– lazione diversa da quella che abitava tutto il paese circostante) (2), si ingrandisce e aumenta di popolazione, con un processo radicalmente opposto a quello delle altre città italiane nello stesso periodo. La ragio– ne non sta solo nel fatto che Siena si tro– va in una posizione collinare facilmente difendibile, ma anche nella eccentricità della città rispetto alla strada costiera Au– relia e alla Cassia antica (con cui esistono solo raccordi laterali) lungo le quali ca– lavano i barbari; e nel trovarsi al centro di una zona relativamente povera che non presentava particolari attrattive di ricchi bottini. Si capisce che se questi furono osta– coli per i bar bari dovevano permanere co– me impedimenti gravi e perenni anche per le popolazioni che erano andate ad abitare nella città. L'Ombrone non è un fiume navigabile, esso non poteva avere nella storia di Sie– na la funzione che l'Arno ha avuto in quella di Firenze, in un'epoca in cui i trasporti via terra erano tanto difficili e costosi. E' anche vero però che da una certa epoca del medio evo, dato l'impaludamen– to della Maremma, passa per Siena la « via francigena » ( corrispondente alla Cassia nuova di oggi), la grande via di comuni– cazione che congiunge il nord e la Fran– cia con Roma, e che questa era la strada comunemente frequentata. Siena su que– sta strada era essenzialmente un punto di passaggio dei « grandi della terra > il che facilitava appunto il commercio del de– naro e la circolazione europea delle compa– gnie senesi, ma che nello stesso tempo Sie– na non fosse un notevole mercato di espor– tazione di prodotti propri o di importa– zione di prodotti altrui, tranne che per le spezie. La feudalità. La forza che rimane alla feudalità della regione si spiega anche col fatto che la Toscana meridionale è esclusa dalle linee di comunicazione principali che congiun– gono Firenze sia col mare, cioè a Pisa, sia con Perugia e Roma attraverso il Valdarno e la Val di Chiana. La sostanziale integrità del mondo feudale anche dopo che si è esaurita la sua ragione positiva, fa sì che in esso rimangano evidenti nel tempo, le attitudini negative di violenza e di sopraf– fazione: sono le caratteristiche salienti de– gli Aldobrandeschi, grandi feudatari ma– remmani e conti palatini, che dominavano anche S. Quirico, Roccastrada, Follonica, Monte Amiata e parte della valle del Fio– ra e dell' Albegna. Essi taglieggiano i co– muni e i monasteri che nascono nei loro domìni, come fanno in modo esemplare al principio del 1200 con la comunità di Grosseto. I loro vassalli, come gli Arden– gheschi, si dedicano addirittura ad atti di brigantaggio spicciolo. Sulle gesta di questa feudalità prepotente nasce una serie di leg– gende su masnadieri e cavalieri, ancor oggi diffuse nel monte di Radicofani e nella zo– na di Abbadia S. Salvatore, o racconti sulle gesta di Ghino di Tacco di cui ancora si trovano le tracce. Infine la leggenda di San Giorgio che libera la fanciulla dal drago– ne, raccontata in varie versioni, mostra un gusto cavalleresco che solo un ambiente feudale può sviluppare. Le due Toscane. La difficoltà di comunicazione tra la città e la campagna, lo scarso spirito di movi– mento delle forze che si formano nel co– mune e la loro insignificante evoluzione, mettono capo e spiegano storicamente, cioè

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=