Terza Generazione - n. 0 - agosto 1953

t'ivace ricerca di idee e di problemi. L'altra alternativa è che. dato clze si riproducano in I tali a le condizioni di un equilibrio poli- . tico di centro sinistra, questo, come già è avvenuto negli anni del tripartitismo, non sia che una direzione politica. innestata su una realtà di immobilismo e sterilità cul– turale, e pertanto incapace di creare le condizioni per una sua effettiva egemonia. Questa è stata l'esperienza e queste so– no state le conclusioni di tanti di noi che si sono posti da tempo in posizione di di– sponibilità. E da quando siamo usciti dalla politica militante, abbiamo trovato un più largo contatto con i problemi della nostra crisi, una più vasta possibilità di dialogo, e non solo con i giovani, ma con qurinti non siano irrimediabilmente compromessi da una accettazione del sistema e dell' e;JUÌ– librio nel quale operiamo. Di qui la con– statazione di una vastissima zona di ope1a– zione clze, nell'incapacità del leadership po– litico, postula l'impostazione di diverse e nuove forme di organizzazione. Non ci ri– troviamo in nessuno dei partiti esistenti, e nel momento in cui cade il centrismo de– mocratico e nella fase della sua liquidazio– ne gli stessi partiti minori palesano la loro incapacità di instaurare un fecondo dirtlo– go, districandosi dalle vischiosità di dzfje– renziazioni che perdono sempre più di si– gnificato, alla base si forma un significativo terreno di convergenza. Se tra i partiti li– berale e socialdemocratico esiste un muro invalicabile di incomprensione. tra i gio– vani che ancora si definiscono secondo que– sti nomi, il dialogo è già aperto, nelle riviste, nelle organizzazioni universitarie, e sopratutto nei contatti umani. Il partito e l'azione politica dividono quello che è cul– turalmente omogeneo. Noi non vogliamo accettare la qualunquistica condanna dei partiti e della politica, ma anzi nei pri– mi vediamo la miglior forma di mediazio– ne politica tra lo Stato moderno e /'opi– nione pubblica, contro i ritorni agli schemi dell'uninominalismo e del parlanientarismo giolittiano. Ma proprio per questo, dobbia– mo però dar atto che l'insufficienza del quadro politico nel quale operiamo, o me– glio nel quale non operiamo. presenta a noi una sola conclusione: l'inettitudine del– la classe dirigente dei partiti, e l'inetti– tudine stessa dei partiti nella loro fisiono– mia attuale e tradizionale. E questo è appunto il senso dell' « ora zero ». della quale parlavo in principio. La nostra adesione ad un partito non può avere oggi che un significato meramente provvisorio, e per tanti di noi, il proble– ma della scelta non si pone neppure più in questi termini, ma soltanto in quelli di scelta di una lista al momento delle ele– zioni. Ma al di là di questo atto di sfidu– cia nei confronti dei partiti e dei loro dirigenti, deve porsi immediatamentP., e nei termini più costruttivi, il proposito di operare per creare le condizioni per un nostro attivo reinserimento della vita pub– blica e, in termini ancor più vasti, per fin. troduzione della nostra generazione in 1m,1 più attiva circolazione culturale, rompendo quel cerchio di scetticismo che si rhiude intorno ad essa, e ponendole delle pos.;ibi– lità concrete di azione pubblica e di aui. vità professionale adeguata alle sue atti– tudini e vocazioni. L'aspetto più dramma• t · et( i · f fl.l'q. e~- J ' •,sò'll~1'Jllii~ -•.,..,.1.. V (iJ,il lii,.. ta politica. quanto (]Jddirittura nel loro completo disorientamento al momento in cui debbono passare dagli studi alla scelta della professione, e nell'accettazione 1rns– siva di qualsiasi soluzione che garantisca un minimo di sicurezza, anche a prezzo del sacrificio della parte migliore di se sl<'ssi. La disoccupazion,e intellettuale di cui oggi si parla non è, se non in minima parte, effetto della sovrapopolazione e dell'esube– ranza dei laureati e diplomati, nia è un t 1 i– zio di fondo dell'organizzazione sociale del Paese, delle università incapaci di prepa– rarci secondo le necessità della vita moder– na, delle dirigenze economiche ed ammi– nistrative, prive della fantasia creativa, che permetterebbe loro di individuare e di avviare al giusto punto di inserimento la maggior parte di noi. Quanti sono oggi i dirigenti che si preo-ccupano di seguire i giovani migliori nella loro carriera scola– stica, e. quanti invece dopo averli abb 1 tn– donati a se stessi, lamentano poi la defi– cienza di nuovi quadri? È solo un esempio di una realtà multiforme, che attende di essere conosciuta a fondo, e che quando sarà analizzata rivelerà quale cerchio op– pressivo si stringa intorno ai nostri giovnni, quale ansietà drammatica sia la loro esi– stenza, e quali efJetti mortificanti abbia l'intera situazione sulle loro capacità e ri• sorse energetiche. Rompere questo cerchio, e aprire nuove possibilità di vita. E ci si può realmente arrivare. se sapremo reinserire nella rita nazionale gli « esclusi » di oggi. La mia esperienza, ieri limitata all' ambieT'J,te laico, mi rivela oggi con la tua lettera. che il problema è avvertito, nei termini più aper– ti e più fattivi, dagli stessi giovani cattolici. Non a caso, non ne ho parlato finora: la possibilità di un discorso comune con voi mi si rivela soltanto oggi, ed accolgo la prospettiva con sincero interesse. Quanti di noi , iconoscevano la improduttività del « laicismo » come formazione autosuf ficien– te, dopo il dato storico, veramente rivolu– zionario, del ritorno dei cattolici alla vita pubblica, intravvedevano la possibilità di collaborazione soltanto in termini politici, di alleanza e di equilibrio. Quanti ritrne– vano, conie i comunisti e noi stessi che fum– mo di « Iniziativa socialista », la necessità di un rapporto permanente con le masse cattoliche. non andavano oltre la f ornmla del « ralliement »,ferma restando l'egemo– nia della classe operaia marxista. Oggi, nel– la liquidazione di queste posizioni, si pro– spetta qualcosa di più: la possibilità d; un lavoro comune, con un comune punto di partenza, con possibili punti di arrivo in comune. Non nascondo le difficoltà di un tale lavoro. Il nostro incontro non deve rappresentare per nessuno una possibilitit di eversione da problemi vivi e reali della vita nazionale. Se il laicismo è ancora per molti di noi un atteggiamento di aristocratica in– comprensione della realtà cattolica, o una nostalgia del tempo in cui il non expf'<lit ci garantiva la direzionP. culturale del Pae– se, e se tale atteggiamento va superato, non è meno vero che occorre, da par te cattolica. una sincera accettazione dP.lla realtà laica dello Stato, che, indipendente– mente dal particolare assetto giuridico dei rapporti con la Chiesa, deve essere diret– to come Stato, e non come strumento di egemonia clericale. Nè la ricerca com.une di nuove direttive d'azione comuni deve /arei evadere da alcuni dei problemi che il rapporto Stato - con/essione religiosa pone oggi in modo urgente ed indilaziona• bile, nei vari settori della vita del Paese. Chiarite queste premesse, il dialog~ tru noi può diventare realniente proficuo, ed anzi può cessflre di essere dialogo, per assur~ere a fusioni di intenti e di volontà corri uni. A questo livello, cioè, il laicisnio si potrà aprire alla comprensione della realtà catto– lica e questa nella vita pubblica, assuniere un contenuto operativo « laico », e le nostre distinte esperienze culturali raggiungere il punto di fusione. Constatato in comune il momento dell'o– ra zero, occorre ora rimettere in movimen– to le lancette dell'orologio. Ed occorre an– zitutto individuare il terreno di operazione. Ti sei rivolto ai giovani, anzi alla nostra generazione, ed a quella che si va f ornian– do nel clim,a in cui viviamo. È evidente che la crisi toccn qui il suo apice, ed è quindi ovvio che questo debba rappresen– tare il terreno più fecondo. Ma ciò chf:> vorrei evitare, e che realmente temo, quan• do tu parli di « autocoscienza della gene• ra::ìone », è che ci si abbandoni ad una specie di sociologia delle generazioni, e si identifichi la zona della crisi in quello che ne è una sezione,limitando le possibilità di apertura in altri settori, o. quel che è p~g– gio, fornendo alla generazione una sorta di senso di autosufficienza che praticamente la isolerebbe dal contesto dei problemi che essa vuole affrontare, e che non sono solo i suoi problemi, ma i problemi di tutti. E direi di più: non vorrei che il ,nito delle masse operasse ancora nei vostri confronti nella maniera più sterile. I solati dalle 1nas• se, ricercatori di un inserimento nella real– tà organica nella quale vivi_a,no, col pro– posito di modificarne la struttura, non dob– biamo cedere alla suggestione della forma– zione di un rapporto con le « masse gio– vanili ». Occorre guardarsi dal cadere nel « giovanilismo » beotamente sindacale del– la politica giovanile comunista, cercando nelle formule demagogiche o nella dijesa degli interessi settoriali, il mezzo di pene– trazione nelle «masse» giovanili. Non esi– ste, a mio avviso, una « generazione » co– me entità sociologica distinta: esiste una zona culturale che viene costantemente scoperta dal ritmo di sviluppo della società, ed essa deve venire occupata dai giovani più aperti, come può esserlo dai vecchi ri– masti giovani nello spirito, cioè aperti ai problemi nuovi ed in costante ricerca di nuove soluzioni. Ora, in Italia, questa zona è largamente scoperta, ed è quindi dispo– nibile. È logico quindi rivolgere l'appello ai giovani, perchè qui è l'ambiente più re– ce tiivo. Ma a quali giovani? Qui sta a mio avviso il nodo del proble– ma. L'appello alle masse giovanili è per me destinato a restare inascoltato o a creare una situazione permanetemente equivoca, perchè il problema nostro non è, al mo• mento attuale, di mettere in movimf>n to delle masse. ma di fornire ad esse un 11uo– vo leaderqhip culturale, e, naturalmente, politico. Ed allora la zona di operazione va ricercata proprio laddove si possano indivi– duare queste nuove dirigenze potenziali. È solo la gioventù potenzialmente dirigen– te quella che può rispondere all'appello, cioè la gioventù qualificata, pronta per atti– tudine e responsabilità, ad assumere la po– sizione di « quadro » nell'organizzazione so-

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