Inoltre, restano fuori da queste pagine le pubblicazioni delle associazioni studentesche nazionali (attiva a Giurisprudenza è per esempio Elsa, che pubblica il bollettino "Elsianer", mentre l'Associazione italiana degli studenti di storia realizza, insieme con la Società torinese per gli Studi storici, un interessante bollettino, "L'orco") e le controguide, che meriterebbero un discorso a parte. Le riviste universitarie nascono a catena a partire dai r.rimi anni Novanta, finanziate dall'Ente per 11diritto allo studio (legge 429/85). Raggiungono la loro massima diffusione nel '94/95 con una tiratura complessiva annuale di 50.000 copie. Oggi, con la conclusione degli studi da parte di molti fra i promotori e a causa di un rinnovato meccanismo di finanziamento - un decentramento dei finanziamenti presso le sin gole Facoltà, che ha procurato la complicazione delle procedure burocratiche e la razionalizzazione del numero di riviste per Facoltà - il boom delle riviste sembra rientrare (Stelle cadenti? titolava "Cenere" nel n.14 del '95, preoccupandosi del loro futuro). Ne sopravvivono meno di una decina, e non sembra esserci un gran fervore editoriale - di recente ha visto la luce soltanto "Pulp". Senza pretesa di completezza, ma sottolinearne le diverse impostazioni, eccone un breve panorama. Riviste come "Dinamite" e "Comma" si rivolgono esclusivamente agli studenti della propria Facoltà, in questo caso Psicologia e Giurisprudenza, facendosi notare per il loro pragmatismo, per la vocazione informativa e la tendenza a colmare il vuoto fra l'istituzione e gli studenti ("Comma", in particolare, è molto popolare a Giurisprudenza, dove da sette anni promuove iniziative per migliorare la qualità dello studio: referendum su li' efficienza della Facoltà, tutorati, inchieste). Altre ambiscono a rappresentare la "sinistra antagonista" ("Cenere" e "Riff Raff") e ne sviluppano i classici temi: lavoro, sindacato, antirazzismo, centri sociali, mafia, sperimentazioni artistiche. Sono molto ideologizzate e privilegiano le grandi questioni al discorso sull'università: una recensione all'ultimo libro di André Gorz o un reportage dal Chiapas è più frequente che un intervento sul sistema universitario. "Zadig", espressione della sinistra ufficiale e moderata di Scienze sociali, è stata probabilmente, a costo di un eccessivo accademismo, la rivista più densa e curata. Mossa dalle ambizioni professorali, ha promosso un convegno sul carcere e ha intervistato studiosi della fama di Paul Ginsborg e di Michael Walzer (un 'altra vecchia rivista sussiegosamente accademica è "Epodé", in prevalenza orientata sulla filosofia e la sociologia, ma con rubriche letterarie. "Cinemah !" invece rispecchia fedelmente interessi nati e cresciuti fra i duecento metri che separano le aule di Storia del cinema di Palazzo Nuovo dal Museo nazionale del cinema). In ultimo, le testate di ispirazione liberale: "L'Analo~ia", diretta da un gruppo di ex compagni di liceo, affronta nei suoi numeri tutti monografici argomenti quali l'ideologia, la religione, la libertà. Il tono prevalente è un pesante moralismo naif. "Energie Nove" e "'Il Baretti" si ricollegano spericolatamente all'eredità gobettiana, di cui vorrebbero proseguire la tradizione filosofica e letteraria. La prima si è occupata di liberalismo, dittatura e filosofia politica, mentre la seconda pubblica insostenibili testi letterari intimisti e neo-carducciani. "Mi manca una terra" ("Il Baretti universitario") Ci sono due caratteristiche proprie dei giornali studenteschi sulle quali vale la pena riflettere. La prima è la loro vita effimera, condizione questa che non dipende soltanto dalla irregolarità dei finanziamenti. Il mancato avvicendamento fra i redattori è dovuto infatti alla forte personalizzazione dei progetti editoriali. A ciò si aggiun~e la scarsissima collaborazione fra le singole riviste, culminata nel fallimento del Coordinamento dei giornali universitari (Co.Gi.To). Il carattere fantasmatico delle pubblicazioni e la loro personalizzazione è un fatto talmente scontato che né l'università né gli stessi promotori delle pubblicazioni hanno mai ritenuto di doverle racco!$liere e conservare. La seconda caratteristica è un atteggiamento in bilico fra il pragmatismo ironico e la circospezione. Il tono di chi scrive sulle riviste universitarie non è infatti, come ci si potrebbe aspettare, un radicalismo frutto di ambizione e protesta (abituali compagni della "giovanile presunzione" da op_porre ai "muri alti e resistenti della burocrazia, del favoritismo e dell'ignoranza", Baretti, 1, 1995), ma una programmatica moderazione. La "paccottiglia", come la rivista più Beat definisce l'orizzonte dei problemi comuni a questa !$enerazione universitaria in mano a studenti d1Filosofia e Scienze Sociali, Lingue e Letteratura, diviene religione, questione sociale, welfare e lavoro, sofferenza esistenziale, senza tuttavia che 1'assolutezza dei-temi scalfisca lo scettismo dei giovani operatori culturali: "diciamolo, le riviste studentesche non vengano prese sul serio da chi le legge" (Riff Raff, 2, 1993). Siamo costretti a fare i conti con tale sobrietà delle rivendicazioni. Una prima riflessione porterebbe a vedere in questo atteggiamento la spia di una condizione più vasta, che le riviste accetterebbero consapevolmente come limite e condizione del loro operare: esse infatti non hanno un vero pubblico(" Ai nostri cinquanta lettori" si rivolge il primo numero di "Energie Nuove"), non suscitano reazioni e dibattiti, non creano lettori affezionarti o fan intellettuali, non sono modello di alcun comportamento né penetrano nell'orizzonte dei docenti. Le poche migliaia di copie di ogni numero semplicemente spariscono dai corridoi e dalle biblioteche di Palazzo Nuovo, allo stesso modo dei volantini pubblicitari: "Resta l'approccio casuale e distratto verso queste pile di carta che gli studenti vedono nell'atrio: quello che dovrebbe essere uno strumento di maggiore partecipazione diventa l'oggettivazione di un feticcio partecipativo ... " (Riff Raff, 2, 1993). Ma poiché alle riviste manca una vera e propria consapevolezza del ruolo e del contesto comunicativo in cui operano, l'origine e le conseguenze del moderatismo deviante dei giornali universitari andranno indagati attraverso l'analisi degli altri stili a loro congeniali. "Che la democrazia sia diventata un vassoio di pasticcini?" ("Riff Raff") La precarietà e il radicalismo negato della maggior parte di queste riviste rimbalza nei testi attraverso due forme distinte di espressione: l'autoironia e l'invettiva morale (sia essa condotta con toni nichilstici o scientificoideologici). Il primo genere di scrittura, asso-
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