La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 17/18 - lug.-ago. 1996

a fare da supporto a un tipo di scuola che emarginava i "nostri" bambini, massicciamen te bocciati e respinti da una logica normaloide, liberticida e acreativa. Si era per questo elaborato (con l'aiuto del prof. Mario Manno e di altri suoi collaboratori della facoltà di magistero) un tentativo di mediazione fra le nostre istanze (ancora "rozze" ma "altre") e quelle degli insegnanti di una scuola elementare da cui provenivano la maggior parte dei nostri bambini. Con l'esperimento intendevamo realizzare laboratori aperti, in cui i bambini avrebbero potuto scegliere liberamente di lavorare. Col tempo sarebbero passati dalla manualità alla fase della concettualizzazione, dell' astrazione. L'esperimento fu cond<;mo per brevissimo tempo in poche classi e fu prontamente bloccato dal massiccio ostracismo opposto dalla quasi totalità del corpo insegnante, abituato a sistemi obsoleti e abituato da sempre anche a non essere sottoposto ad alcuna verifica da parte dei genitori dei bambini, in passato a loro volta anch'essi penalizzati dalla stessa illogica scolastica. Intanto, nella speranza che si moltiplicassero esperienze simili alla nostra, avevamo provveduto a stampare un opuscolo ("L'arancia che ride: un centro sociale in ogni quartiere") in cui spiegavamo elementarmente cosa era necessario fare per creare un centro sociale (possibili obiettivi, statuto, atti notarili, ecc.) e finivamo col fare un elenco degli edifici di proprietà della Curia inutilizzati, con l'implicito invito, ai possibili operatori, a richiederli o prenderli per utilizzarli al meglio. Duecento copie, distribuzione "militante". A un anno di distanza si erano formati altri due centri sociali alla Vucciria e al Capo, altri due quartieri del centro storico di Palermo. Finanziati, un minimo, anche questi. A noi era stata intanto triplicata la convenzione: circa 180 bambini ogni giorno. Il terzo anno i (possibili) centri sociali erano una quindicina, fra cui, meritevole di essere menzionato, soprattutto quello autogestito da un gruppo di mamme di Borgo nuovo. A questo punto venivano sospese le convenzioni a tutti. "Non ci sono soldi" era la lapidaria risposta delle istituzioni. Il "Coordinamento dei centri sociali", nato con l'intento di creare un luogo autogestito di formazione e di scambio di esl?erienze per gli operatori co111voltinei centri sociali, assumeva, a questo punto, anche una funzione rivendicativa, di pressione nei confronti delle istituzioni. Incontri, manifestazioni per le strade della città, articoli sui giornali, occupazione dell'assessorato alle attività sociali. Niente. La gran parte dei possibili centri sociali moriva così prima di nascere. Gli altri, fra cui il nostro, continuavano arrancando. Si faceva intanto sempre più corposa l'esigenza di dare una consistenza più politica al nostro lavoro, e di collegarci a certe realtà che operavano sul territorio, palermitano ma non solo. Nasceva così il Co.c.i.pa (Comitato cittadino / di informazione), "luogo" informale d'incontro e di dibattito politico e sociale, senza gerarchie e senza tessere. Luo~o materiale di riunione la chiesa di S. Saverio, da tempo aperta agli incontri con la gente, a concerti settimanali, a spettacoli teatrali, ecc. In quel periodo si ventilava, nel 1987, una possibile crisi al Comune di Palermo. Siluri ami-Orlando, verso cui noi, allora, hutrivamo un senso di (fondata?) fiducia. Il Cocipa, che raccoglieva un nutritissimo e battagliero numero di associazioni e di singoli cittadini, si pronunciò vistosamente a favore della continuazione di quella promettente esperienza amministrativa, dando quindi modo ad alcuni di apparire come un gruppo funzionale e pilotabile. Rientrata la temuta crisi, quindi, sempre seèondo il parere di alcuni che di fatto si allontanarono, il Cocipa non aveva più motivo di esistere. Il tempo stesso, dal canto suo, favoriva la diminuzione del numero dei partecipanti. Il nucleo superstite cominciava invece una lettura-interpretazione dei ~ilanci comunali relativi agli anni 19861991. Da una mole immane di dati all'apparenza illeggibili venivano fuori informazioni importantissime riguardanti il modo reale (non /quello strombazzato) di amministrare la città. Miliardi e miliardi spesi per finanziare circa 80 istituti, in prevalenza religiosi, per il ricovero in semiconvitto di 5000 bambini, con rette molto alte ( immaginabile il "ritorno" i termini di voti). Centinaia di miliardi non spesi e perduti, utilizzabili invece per la ristrutturazione del centro storico. Un centinaio di appartamenti di proprietà del Comune inutilizzati anch'essi. Altri beni immobili, di proprietà del Comune, l?ressoché regalati ad "amici". Miliardi pagati a costruttori sciacalli per 1: affitto di interi stabili adattati malamente a scuole pubbliche. Miliardi distribuiti per attività culturali senza alcun criterio che ne garantisse ti:asp_arenza e correttezza. E via d1 questo/asso. Queste e altre perle venivano fuori da un lettura arida di numeri, ma diventavano propellente per le future lotte sociali. Ecco perché si preferiva una logica della deportazione dei bambini in istituti, anziché favorire le strutture di base quali i centri sociali. Ecco perché molta gente nei quartieri abitava in case fatiscenti, con al massimo il miraggio di essere deportata nei nuovi quartieridormitorio e perché grosse imprese ed'ili stavano già cominciando l'arrembaggio di interi isolati, ormai disabitati e acquistabili a prezzi irrisori. Nasceva da qua il "Comitato di lotta per la casa". Dopo un estenuante porta a porta, si era riusciti a coinvolgere una quarantina di famiglie che abitavano in condizioni proibitive. Riunioni settimanali in chiesa, fra frotte di bambini vocianti, per spiegare l'importanza di creare un fronte comune, per tradurre in termini comprensibili quanto si era dedotto dall'analisi dei bilanci. Proteste, tende in piazza, sciopero della fame, media YQQ

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