La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 17/18 - lug.-ago. 1996

nastero delle clarisse un ufficio anagrafe che, nelle intenzioni di di Don Meli, dovrebbe far riavvicinare alcuni antichi frequentatori allontanatisi per "gelosia" dei nuovi e "dare un messaggio ai cittadini di Palermo sul fatto che S. Chiara è casa di tutti e non solo degli arabi e dei neri.". Ancora una volta però, si rammarica padre Mcli, la stampa cittadina superficiale e malinformata ha scritto che si trattava di un' "anagrafe per immigrati", cosa inverosimile dato che molti di loro, non avendo ancora il permesso di soggiorno, non potrebbero comunque usufruire dei servizi: si rammarica anche del fatto che comunque spesso, sia in positivo che in negativo, si parli molto di lui e poco degli obiettori e dei volontari senza i quali il centro non potrebbe vivere. Un altro suo cruccio è quello di avere ormai una mole di lavoro tale ed una serie d'impegni anche a livello istituzionale da non consentirgli tutti gli spostamenti che vorrebbe fare almeno in Sicilia per vedere qual è la situazione degli immigrati fuori da Palermo e in che condizioni vivono. Quando gli chiedo se considera questa città più o meno accogliente di altre mi risponde che non sa dirlo J?roprio perché non ha la possibilità di viaggiare molto e di conoscere altre situazioni. Presto forse potrà farlo dato che è imminente il suo trasferimento in altra sede, dopo dieci anni a S. Chiara. Con l'aria malinconica di chi sa di andare incontro ad una decisione inevitabile ma non per questo meno convinta della bontà di quella stessa decisione e no per questo con spirito meno sereno Don Meli m'informa che spostarsi è una delle regole fondamentali del suo ordine: i salesiani non possono mai restare in uno stesso luogo per più di un certo tempo soprattutto se sono superiori perché altrimenti correrebbero il rischio di diventare indispensabili, ed essendo già passati ed andati via tutti I preti che in questi dicci anni hanno lavorato con lui, verrà presto anche il momento della sua partenza. ♦ GRUPPI Dieci anni all'Albergheria. Un bilancio Maria Di Carlo Nino Rocca Maria Di Carlo e Nino Rocca lavorano da anni a Palermo con il Centro Sociale S. Francesco Saverio, all'Albergheria. ♦ Nel 1986, quando è nato il Centro sociale S. Francesco Saverio, noi possibili operatori non avevamo le idee chiare sul da farsi, sul come e da dove cominciare. I primi tentativi di approccio con la gente del quartiere (porta a porta che avevano l'intento d1 farci conoscere, di sentirci fare delle propo~te, di farle noi) erano andati a vuoto. La cosa che balzava più agli occhi era la quantità notevole di bambini per le strade. Cominciare da loro? Era una possibilità. E allora le "olimpiadi di quartiere", tre giorni di giochi nelle strade e nelle piazze, appositamente chiuse al traffico. Pensato e fatto. Approccio realizzato presentazioni fatte fra noi e la gente del!' Albergheria, uno dei quartieri, ovviamente degradati, del centro storico di Palermo. I primi incontri (ma non solo quelli) con la gente del quartiere, in mancanza di una sede, si tenevano in Chiesa. In seguito a settimanali riunioni con un buon nucleo di persone più ben disposte o più bisognose, si erano costituiti dei sottogruppi più specifici, con l'intento di cominciare a organizzare attività coi bambini, un corso di alfabetizzazione, il supporto a un gruppo di persone perché frcquentassero i corsi serali per la licenza elementare e media, l'organizzazione di attività di carattere culturale (mostre, concerti ...) ecc. Individuato un edificio abbandonato nel quartiere, un ex monastero gestito pessimamente da un'Opera pia sopravvissuta alla soppressione degli enti inutili, ne avevamo fatto la nostra sede, il luogo delle attività, grazie anche al supporto dell'allora sindaco, ancora democristiano, Luca Orlando. Dall'amministrazione comunale avevamo ottenuto, su nostra richiesta, un contributo pecuniario per pagare un nucleo di operatori stabili. Così ogni pomeriggio circa 60 bambini erano supportati nelle loro attività dopo-scolastiche e ludiche. Necessario supporto, per gli operatori, i contributi analitici e le proposte del Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, di Danilo Dolci, di Aurelio Grimaldi (allora reduce dell'esperienza presso il carcere minorile di Palermo), di don Ciotti, di alcuni docenti universitari di pedagogia, e poi i riferimenti alla pedagogia di don Milani, a Paulo Freire, a quanti potessero offrirci una lettura della realtà sociale del quartiere. I bambini diventavano, a poco a poco, la nostra "testa d'ariete", erano il "mezzo" che ci consentiva di approcciare anche le loro famiglie, che cominciavano a non recepirci come estranei. Era così stato possibile realizzare una approfondita indagine sul quartiere (guidata dalla dott. Daniela Natoli e da una équipe di suoi collaboratori) che aveva messo in luce in maniera inequivocabile il grave tasso di disoccupazione maschile e femminile, il livello altissimo di dispersione scolastica (circa il 40%), il grado di conoscenza delle pratiche contraccettive, la condizione degli anziani, lo stato delle abnazioni, ecc. Donatella Natoli sarebbe stata di lì a poco l'artefice tenace del primo distretto sociosanitario della Sicilia, a 10 anni dalla riforma sanitaria che ne prevedeva la realizzazione , e da allora rimasto purtroppo ancora un caso unico, nella nostra regione. Intanto ci si rendeva conto che non potevamo continuare

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