sentito tra l'altro indebolito dallo sfaldarsi del gruppo diviso sostanzialmente tra chi aveva per obiettivo il ritiro del decreto e chi, come lui, si batteva per delle modifiche sostanziali ma non per l'annullamento. Secondo lui infatti, cambiandone alcuni articoli, ci sarebbe stato il vantaggio per molti immigrati di ottenere il permesso di soggiorno ed uscire dall'illegalità. La sua lotta è stata, come tiene a sottolineare, per la "umanizzazione del provvedimento". Gli elementi disumani del decreto, come il non consentire lo svolgimento di un regolare processo quando l'imputato viene colto in flagranza di reato, o come quello di pretendere il versamento di sei mesi di contributi Inps anticipati, hanno comportato secondo lui conseguenze ancora peggiori di quelle che si prevedevano. "Oltre ai numerosi licenziamenti che sono seguiti al decreto è accaduto che molti immigrati, nell'impossibilità di pagarsi di tasca loro i contributi che i datori di lavoro non erano disposti a versare, siano entrati a far parte di micro-organizzaz ioni di delinquenza locale, soprattutto spaccio e che altri, che non avendo datori di lavoro disposti a garantire per loro, siano caduti nel ricatto di ottenere dietro compenso, da parte di piccoli criminali, dei finti contratti di lavoro con cui spe~ ravano di ottenere il permesso di soggiorno e che, invece, una volta riscontratane la falsità da parte della prefettura, ne hanno comportato l'immediata espulsione." Inoltre continuano ad essere a rischio di coinvolgimento delinquenziale tutti i lavoratori autonomi che non hanno potuto fare regolare richiesta di soggiorno perché il decreto non prevedeva per loro alcuna possibilità in questo senso e anche coloro i quali, avendo lavorato almeno per quattro mesi durante l'anno che va dal novembre 1994 al novembre 1995, hanno difficoltà a dimostrarlo. Infatti "l'ispettorato del lavoro deve compiere a loro carico indagini per accertare se le loro dichiarazioni corrispondano a verità e, in questo caso, viene data comunicazione alla questura ma non sempre i vecchi datori di lavoro si mostrano così disponibili e devono essere fatte ulteriori indagini che, con le lungag~ini della burocrazia italiana, finisconoper avere dei tempi infiniti durante i quali gli indagati non possono' cercare un altro lavoro e sono costretti a condizioni di vita disumane". Questi, come racconta Don Meli, "sono stati i principali motivi che mi hanno indotto nel mese di gennaio a cominciare uno sciopero della fame, sostenuto dai volontari, dagli otto obiettori di coscienza che lavorano con me e da un prete a me vicino, padre Noto. È stata una decisione estrema che ho dovuto prendere quando ho visto calare l'interesse nei confronti del decreto e ho temuto che sarebbe caduto nell'indifferenza generale". La protesta non violenta di padre Meli, se non ha avuto grosse risposte a livello nazionale, ha quanto meno suscitato l'interesse del consiglio comunale di Palermo, che ha deciso in quei giorni di convocare uan seduta straordinaria di giunta a S. Chiara. Era il 18 gennaio, il terzo giorno che Don Meli, insieme ad altre otto persone, faceva lo sciopero della fame e la prima volta che la $iunta si riuniva in un luogo diverso da Palazzo delle Aquile. In quella occcasione gli fu proposto dal sindaco l'incarico di "esperto nlle politiche per l'immigrazione" carica che attualmente ricopre e che lo pone in una posizione non solo di consigliere ma anche d'intermediario tra sii immigrati e i loro referenti istituzionali. Don Mcli vorrebbe che questo fosse un incarico di breve durata e che presto gli si affiancasse, per poi sostiuirlo, una "consulta di immigrati" che dovrebbe fare direttamente al comune le proprie proposte. Un progetto che gli preme realizzare al più presto è la creazione di un "centro culturale plurictnico" che dovrebbe avere come sede un palazzo di proprietà del comune poco distante da S. Chiara che è in corso di restauro cd accogliere tutte le associazioni etniche presenti in città. Fino a due anni fa S. Chiara ospitava nei suoi locali una scuola per i bambini Tamil che oggi è stata trasferita in un'altra zona della città per via di alcuni episodi di vandalismo e violenza da parte della gente del quartiere. Come dice padre Meli è tuttora lì la "sua più grossa lotta". Con amarezza mi elenca tutti gli articoli di giornale che negli anni hanno parlato di un suo "abbandono del quartiere" in favore degli immigrati e mi mostra l'ultimo furto avvenuto in chiesa augurandosi che non sia per sfregio ma su commissione di esperti antiquari innamorati come lui delle colonnine barocche delle nicchie laterali. Il punto, dice, è che "Santa Chiara è sempre stata vista come un luogo da cui attingere e sono sempre venuti ad attingere a piene mani; per un periodo in cui la Croce Rossa ci ha aiutato io potrei testimoniare di persone che sono venute due, tre volte a settimana per cibo e vestiti ed inoltre non va dimenticato che gli altri due salesiani che abitano qui insieme a me lavorano per i ragazzi del quartiere, all'oratorio. Negli anni non è mai venuta meno la solidarietà nei loro confronti ed anche il poliambulatorio, che oggi occupa tutta un 'ala del primo piano e viene gestito da venti volontari, è stato creato all'inizio come servizio pediatrico per i bambini dell'Alber~heria." Di bambini, arrivando a S. Chiara da uno qualsiasi dei confini che separa la zona di Ballarò dal resto della città, per la verità se ne incontrano un sacco che hanno scelto come loro luoghi naturali di gioco i dintorni del centro o alcune piccole stanze all'interno e questa familiarità con la struttura è il segno di una relazione col centro che forse si è modificata ma non si è mai interrotta. Mi ricordo che l'anno scorso, in occasione di una mostra sull'Africa raccontata e disegnata da un gruppo di bambini da 2 a 5 anni della ludoteca Lo Scarabocchio, ospitata a S. Chiara nella stanza adiacente il cortile, molti bambini del quartiere venivano incuriositi dai disegni e dai giocattoli e poi, presi dei_fogli e dei pe~zi di pongo, nmancvano a giocare anche per un'ora con alcuni ragazzi del Ghana e della Costa d'Avorio con calma, mantenendo uno strano silenzio. Il rapporto degli adulti col centro è forse più difficile per il fatto che si sono sentiti espropriati di uno spazio che per più tempo è stato loro e soltanto loro; da due settimane è inoltre attivo nell'ex mo-
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