SCUOLA Marta e Isabella. Un diario ... Claudio Lolli Cl.audioLolli, cantautore e narratore, insegna in una scuola media bolognese. ♦ Classe 2a B, il nostro amore è cominciato lì.... Da quest'anno c'è Marta, seduta in prima fila. Io e Isabella, l'insegnante di sostegno, abbiamo fatto un faio di riunioni per studiare i fascicolo che le scuole medie ci hanno consegnato, per cercare di capirci qualcosa, con un grave sospetto: nonostante tutte le assicurazioni della Usi, del provveditorato, della stessa presidenza, temiamo, sappiamo che ci lasceranno soli a gestire il "problema". Soli e un po' spaventati, abbiamo paura di non essere all'altezza della situazione. La sperimentazione pare importante. È la prima volta in regione che un Liceo "apre le porte" (qualcuno si è espresso così, ma non ricordo chi è stato) ad alunni portatori di handicap. Marta, accompagnata dalla madre, ha fatto un paio di incursioni l'anno scorso, una specie di inserimento. Delle volte, al sabato, me la trovavo in classe, in un banco appartato. Doveva vederci, ascoltarci, in qualche modo giudicarci. Il giudizio è stato positivo e così i suoi, due solidi, quasi troppo solidi padani, intellettuali e campagnoli e di sinistra, l'hanno iscritta. Da quest'anno c'è Marta, seduta in prima fila e si vede subito che ha voglia e bisogno, forse più voglia che bisogno, di qualcosa, ma capire di che cosa è un'altra questione. Marta ha avuto un'emorragia cerebrale postnatale, e questo le impedisce una completa padronanza di sé, il suo cervello non controlla tutto, e non si controlla del tutto. Marta deambula, 'iS2.Q anche se un po' traballante; Marta scrive, anche se solo lettere grandi, in stampatello, con grafia incerta; Marta parla, sottovoce e quasi a voce alta, e non può fare a meno di nominare quello che legge. Marta, quando rientra, sbatte violentemente la porta, ci guarda e sorride. Non sappiamo cosa fare con lei, questo vuol_ dire che siamo pronti a partire. Bastano un paio di mesi perché arrivino i primi problemi. Non sono, naturalmente, quelli che avevamo previsto. Noi insegnanti ci troviamo bene con lei, è sempre allegra, caricata, è quasi un sollievo vederla nelle mattine grigie, alle otto, con la sua inossidabile voglia di esserci. È quasi un sollievo per noi che spesso ci abbandoniamo alla voglia contraria. Marta sa già a memoria tutto il "rosa-rosae". Non sappiamo se serve né a cosa eventualmente serve, ma sappiamo che lei è contenta di infilare quelle sei brevi parole così simili in un ordine incomprensibile ma rituale, sacro, eternamente stabilito: quell'ordine è un limite a cui cerca di aderire, e aderire, in fondo, significa stare attaccati a qualcosa, a una madre putativa che dà_affetto e disnità, stima, autostima, mette 111 moto un circolo virtuoso. No, i primi problemi sono dei ragazzi, dei suoi compagni di classe, dei nostri studenti. Non la trattano male, magari! Non si può dire che la trattino bene. Dopo un po' siamo costretti ad arrivare a una conclusione amara: non la trattano affatto, la tollerano con cortesia, sono troppo fragili per discutersi. Proviamo, con poca convinzione, a parlarne. Tutte le tecniche oratorie vengono saggiate. La reprimenda, la predica, il confronto amichevole, l'apriamoci e il discutiamone ... Forse ci fermiamo in tempo, prima di fare dei danni. Durante l'intervallo, e anche nella gita scolastica a Rimini, alla mostra delle antichità cristiane, organizzata con piglio scoutistico dall'insegnante di religione, Marta è sempre sola, nessuno le offre una caramella né il braccio per scendere dal treno. Per disperazione ci ributtiamo sul latino e sulla matematica, almeno questo la diverte. E poi un giorno, di fronte ai "lupi" Marta dice, con quella voce un po' gutturale, ma via via sempre più chiara: "del lupo - comemento di specificasione". Lo sbaglierà altre mille volte, altre diecimila, sappiamo cos'è un limite. Forse siamo poco abituati a considerare i nostri. Gli altri, cosa fare degli altri? Per un po' non riesco a non disprezzarli. Ho sempre in bocca la rimozione, lo struzzo, la ricchezza dell'altro, del "diverso", la prigione dell'identità, la debolezza dell'indifferenza. Fino al pomeriggio del ricevimento generale dei genitori. Allora vedo da dove vengono i miei studenti, riconosco i loro tratti in quelli, .invecchiati male, di chi li ha messi al mondo. Confronto la rozzezza del loro giovane parlare con quell' esibizione di tenace banalità, con la ricerca disperata del vuoto, del nulla, del successo e del denaro, che informa i loro genitori e penso: hanno già fatto molto, hanno già fatto troppo. Non posso fingere: da queste famiglie, da queste chiusure vengono, da questo deserto; il fatto che siano ancora vivi, curiosi, che abbiano voglia di fare l'amore e di farsi scompigliare i capelli dal vento che frena i motorini, che pensino per _due settimane a come orgamzzare un sabato pomeriggio, 17-19, e a come scansare un'interrogazione di storia greca, li rende sublimi. Mi lascerò andare al sentimento giusto che contrastavo dentro di me: benedetti, li amerò, come ho sempre fatto, come farò sempre finché starò in una scuola, come è giusto fare. Non è separandoli da Marta, nelle mie graduatorie di merito, che riuscirò a unirli a lei. Sarà un amore critico, ma sempre amore. Le vacanze di Natale ci trovano così, stanchi, depressi e felici, con un punto di partenza. Sempre al punto di partenza. Ma il punto di arrivo fa parte
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