BUONI E CATTIVI GLI ZINGARI Filippo Là Porta Giorgio Trentin GLI ZINGARI E NOI. CONSIDERAZIONI DI UN IMPOLITICO FilippoLa Porta Ho l'impressione che sulla questione dei nomadi (ancora più che su quella generale degli extracomunitari) si giochi la credibilità della sinistra di fronte alla cosiddetta "gente comune", proprio nei termini della cruciale questione della coerenza tra convinzioni e comportamenti. Credo che alla luce di questo la fatale, ricattatoria domanda "Se ti facessero un campo-nomadi di fronte a casa, come reagiresti?", possa avere un senso. Personalmente risponderei che la mia prima reazione sarebbe di paura ancor prima che di disagio (tanto da indurmi probabilmente a cercare casa altrove). Naturalmente lo spettacolo visto in tv dei cortei di nostri connazionali ben vestiti ed esagitati, con cellulare in una mano e autoradio nell'altra, che gridano lividi slogan di origine calcistica contro l'invasione dei nomadi, è desolante e anche disgustoso. Ma io, cosa farei? Appunto: l'alternativa individuale a una mobilitazione così turpe sarebbe la fuga, l'evasione ... E si tratta di alternativa in certo senso "aristocratica" perché implica comunque un agio relativo, un campo di possibilità di scelta. Sui giornali apprendiamo dell'imbarazzo e del silenzio dei sindaci progressisti, e poi di certe spaccature (o inquietanti alleanze trasversali) nel "popolo della sinistra". Ma come affrontare una materia così scottante? In un bell'articolo-inchiesta dell' "Unità" sul quartiere genovese di Quarto Alto, Oreste Pivetta ce la metteva proprio tutta per elogiare la cultura dei rom, la loro estraneità a stati nazionali e a suerre, il loro meraviglioso, fiabesco nomadismo, sempre perseguitato dai truci sedentari. Anche se poi ammetteva che, certo, l'assenza dello stato era ben compensata dall'assoluta, dispotica centralità della famiglia (e del potere dei capi-famiglia); che il nomadismo stesso si avviava a diventare per gli stessi rom solo una pallida memoria; che certe nobili tradizioni (per es. l'artigianato, l'allevamento dei cavalli) cedevano il posto al furto generalizzato, a illegalità e sfruttamento. Dunque: il flamenco gitano e Django Reinhardt, i Gypsy King e Claudio Lolli e Bob by Solo ("Dammi la tua mano ..."), i film di Kusturica e Soldini, un bel racconto crudele della Tamaro (da Per voce sola), la focosa Carmen di Mérimée nelle sue cento e passa incarnazioni, la malefica Azucena verdiana e la Ava Gardner contessa scalza, e poi la protagonista del dickensiano Tempi difficili che vuole scappare da una Londra ~rigia e opprimente con il circo e con gli zingan, e molto altro ... Certo, tutto questo è entrato a far parte del nostro immaginario culturale, ma proviamo invece a pensare che gli zingari si sono irreparabilmente allontanati dalla loro stessa tradizione; proviamo per un mo~ento a immaginarceli "brutti, sporchi e cattivi" (pur sapendo, sulla scorta dell'articolo di Pivetta, che molti di loro lavorano come carpentieri, parrucchieri ecc.). Se le cose stessero in questo modo, cosa realisticamente faremmo? Hai un bel conto .ad auspicare pazienza e reciproco ascolto. E se l'ascolto non fosse affatto reciproco? Nella sua problematica riflessione intorno alla "tribù occidentale" Rino Genovese sottolinea giustamente il valore immenso del compromesso, consustanziale alla modernità stessa. Certo, l'unica alternativa alla tolleranza è la guerra. Ma se il compromesso non è possibile per "resistenza" o cattiva volontà di una delle due parti, cerchiamo almeno di mantenere una "distanza" che renda la tolleranza possibile. Nell'articolo sopra citato si fa riferimento al doposcuola con i bambini dei rom, ecc. Iniziativa lodevole, doverosa (così come il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie nei campi, la salvaguardia dei diritti fondamentali, ecc.) ma non confondiamo doveri delle istituzion.i e doveri del singolo cittadino: non si può certo imporre a nessuno un coinvolgimento "·civico" o un pathos umanitario di questo tipo. Anzi, attenzione a non chiedere troppo alla gente, almeno più di quello che può umanamente dare (anche in tempi di conclamato "buonismo"). Non profonete morali eroiche, superomistiche: beato i paese che non ha bisogno né di eroi né di santi né di antropologi relativisti o di assistenti sociali full-time! Ricordiamoci le pagine assai amare di Christopher Lasch sul crollo politico dei democratici in Usa negli anni Sessanta: l'azione liberale e kennedyana del busing (ovvero l'integrazioBUONI E CA7TIV/
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