La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 17/18 - lug.-ago. 1996

CINEMA Etica ed estetica del realismo: il cinema di Kiarostami Emiliano Morreale Attori/non attori Kiarostami non parla mai di "attori", ma di persone o di "materiale umano". Ed ama raccontare delle sue esperienze con questo "materiale umano", sembra quasi che esso gli serva come zavorra e fonte _d\a~prov~igionamen~o, da cui il film s1 deve nutnre durante la lavorazione stessa. E però non è, questo, "materiale" qualunque: è quello delle zone più arretrate dell'Iran, sono spesso i bambini, è insomma materiale veramente "umano". Quando Kiarostami ha voluto trasportare il suo metodo da noi, al seminario tenuto a Palermo, non c'è riuscito: gli allievi, giovani cinefili già narcisetti, facevano asgrippare il meccanismo, invitati a parlare e a raccontarsi davanti alla macchina da presa si recitavano addosso. Il "cinema" non riusciva a partire, tutto girava su se stesso e sembrava morire d'asfissia. Domanda: così com'è, è il modello Kiarostami importabile da noi, in un paese dove la "gente comune" non teme e spera altro che di "essere su Candid Camera", e la gran parte dei bambini imita dall'asilo le mossettine di Ambra &simili? Caso Meglio "caso" che "improvvisazione": il caso è qualcosa con cui l'arte del Novecento fa continuamente i conti, e Kiarostami nel rapportarsi con esso è tutt'altro che ingenuo. Cita Renoir (Auguste, non Jean, che pure ha al riguardo una frase molto simile e celebre): "Se una goccia d'acqua cade sul quadro, non cercare di toglierla, ma vedi come puoi utilizzarla al meglio nel quadro". Il caso è la materia di cui è fatto il cinema, ogni "messa in forma" è parziale ed illusoria; il regista ha un lato da maieuta, più che da demiurgo. Ma paradossalmente l'opera di costruzione del film ha così un carattere ancor più megalomanico, vuole riscattare il caso e la possibilità lavorandoci su. È la presunzione di chi non si inventa un mondo poetico tutto suo, ma forza i confini del mezzo artistico e quelli della realtà P.er intrecciare ibridi impossibili. L'arte moderna è f111dalle origini tentativo di riscattare (o quantomeno di fronteggiare) l'accidentale, il casuale, il brutto; il realismo di Kiarostami è, oggi, una via tra le più ricche e consapevoli. Bambini/adulti Kiarostami racconta spesso i bambini, ma non parla anzitutto a loro e non sta neanche semplicemente "dalla parte dei bambini", non necessariamente i bambini sono migliori degli adulti (anzi gli alunni della prima classe è tutto un elenco di piccole sopraffazioni, violenze che gli alunni si infliggono l'un l'altro). Piuttosto, l'infanzia è la condizione ideale per studiare l'uomo allo stato puro, "sottovuoto". Raccontare l'infanzia significa essenzialmente, per Kiarostami, radicalizzare gli interrogativi, la loro forma più generale possibile. E questo spiega anche il particolare tipo di approccio di Kiarostam1 al mondo dell'infanzia. Abbiamo avuto, nonostante tutto, dei grandi narratori dell'infanzia al cinema: hanno saputo narrare la dolcezza, la fragilità, persino la cattiveria o la crudeltà, l' energia e la rabbia ... Ma nessuno ha saputo finora raccontare come Kiarostami la paura di essere bambini, quel terrore che di fronte al mondo provano i bambini e che è il terrore più assoluto perché è l'angoscia di fronte alla intera esistenza, è la visione d'assieme quasi animale dell'insensatezza e della pena della vita degli adulti. La trama dei film di Kiarostami si avvita su se stessa, è l'ossessiva mancanza di risposta a una domanda, fosse anche la più semplice. ("Dov'è la casa del mio amico?") Gli itinerari dei bambini di Kiarostami sono angosciosi e ripetitivi, e riescono a trasmettere l'angoscia allo spettatore adulto. Perché non è che i bambini (di Kiarostami ?) non vedono il senso del mondo; piuttosto, i bambini vedono meglio degli adulti il non-senso del mondo. Padri e madri on ci sono padri, sono sempre fuori campo o estranei come tutti gli adulti, verso il cui mondo il tramite sono le donne - anzi -, le madri. La madre è la casa, la sicurezza, ma (come nelle fiabe) allontanandosi dalla madre comincia il racconto vero e proprio. E le vicende dei bambini di Kiarostami si svolgeranno per lo più fuori dalla famiglia, per la strada o a scuola. L'unico padre raccontato da Kiarostami è lui stesso, fisicamente in scena (Compiti a casa, inchiesta sui piccoli scolari in famiglia) o tramite l'alter-ego che è il protagonista di E la vita continua. Fuori campo "Ho girato E la vita continua per mostrare il fuori campo di Dov'è la casa del mio amico, che era più interessante del film stesso. Ma il fuori campo di E la vita continua era a sua volta migliore del film e così ho girato Sotto gli ulivi che raccontava un vero episodio della lavorazione di quel film. Ma ancora una volta il fuori campo di Sotto gli ulivi era migliore del film ...". Nessun sofisma cinefilo, in queste parole di Kiarostami. Solo un riconoscimento dei limiti del cinema e della capacità (letteralmente) sublime che esso ha di oltrepassarli. Forse l'arte è un Re Micia alla rovescia, che corrompe ciò che tocca, cioè la vita, sacra ed innominabile. Eppure, solo perseguendo nell'impossibile raggiungimento alla fine qualcosa può rimanere. E questa non è una via ingenua, ma il punto di approdo di una riflessione approfondita: Kiarostami sa già che il fuori campo resterà tale e che il cinema, come la colomba kantiana l'ossigeno, ne ha bisogno per esistere. Non a caso nei suoi film "il regista" è di volta in volta interpretato da un attore, mai da ARTE E PARTE

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