aspettare il loro arrivo. Avevamo deciso di lottare fino alla morte. Il nostro sangue sarebbe rimasto per sempre, come inchiostro, nella terra di Jaguaripé. E' meglio così che vivere ammucchiati con altre comunità.", racconta Rosalino. Ma la data dello sgombero arrivò e la polizia non si presentò. I kaiowas fecero tanto casino che il Tribunale Regionale Federale annullò, all'unanimità, la sentenza del giudice di Iguatemi. Resistenza agli sgomberi Nonostante la vittoria, le preoccupazioni al villaggio non sono finite. Parte della riserva, omologata nel novembre del 1993, continua nelle mani di fazendeiros, con processi giudiziari lentissimi. È il caso delle terre della coppia Zé Benite e Emflia, di 89 e 79 anni rispettivamente e da quasi 1O anni lontani dalla terra dove sono seppelliti i loro antenati e dove Benite, pai del suo villaggio, aveva la sua casa di preghiera. Essi sono già stati sgomberati due volte. La prima, furono portati, con sette figli e. dodici nipoti, nella riserva sovrappopolata d1 Limao Verde, dove sono rimasti sei mesi. "Siamo tornati e abbiamo fatto la nostra casa vicino al ponte", racconta Emflia, con l'aiuto di un interprete. Fino a trent'anni fa, lei non aveva mai sentito parlare portoghese. E nemmeno conosceva 1 vestiti dell'uomo bianco, cucchiaio, ~oltello_, l?iatto o qualsiasi altro strumento mdustnalizzato. Non conosceva neanche il nome Emflia. Lei era semplicemente Dieguapote. Nel secondo sgombero, furono portati a Sassor6, dove rimasero quasi cinque anni. "Ma là è un altro villaggio, terra di altri indios. Là la terra non bastava per tutti. Per questo abbiamo deciso di andarcene", racconta il marito Benite. Hanno costruito una nuova casa vicino alla zona tradizionale, ma la terra dove erano nati e il cimitero dove avevano seppellito i loro avi sta dall'altra parte del recinto di filo spinato, sotto le zampe del bestiame. Il cimitero è stato raso al suolo dai trattori, ma la decisione della coppia di tornare alla loro terra d'origine, stavolta portando oltre ai sette figli e i dodici nipoti, quattro pronipoti, è irremovibile. "Devo ritornare presto per costruire un'altra volta la casa di preghiera grande. Queste cose sacre devono tornare al loro posto", racconta Benite mostrando bastoni e oggetti sacri che i kaiowas usano nelle loro cerimonie religiose. Per lui, i suicidi si spiegano perché gli indios stanno smettendo di pregare. Allora dio castiga i kaiowas con la "malattia" del suicidio e della siccità. Nella sua comunità, secondo lui, non c'è mai stata la "malattia" perché lui non ha mai smesso di pregare, di fare la chicha e tutte le tradizioni che hanno mantenuto la sua grande discendenza unita fino a oggi. Frattanto, stanchi di aspettare, lui, sua mo~lie e gli altri parenti della stessa generazione s1 dicono decisi a suicidarsi se non potranno ritornare nelle loro terre d'origine. "Voglio tornare nella terra dove mi sono sposato, ho allevato i miei figli e ho seppellito i morti. Preferisco morire che continuare lontano da là. Non ho paura di uccidermi e lo farò se non potrò ritornare entro la fine dell'anno", dice Dieguapote, con voce veemente. Il suo sguardo è fermo, pieno di decisione, ma anche di una vivacità che contrasta con l'idea della morte. Alla fine, aggiunge con un sorriso impercettibile che lascia intravedere i suoi magnifici denti, di chi non è cresciuto con lo zucchero dei bianchi: "Ma prima di morire, penso che, con o senza fazendeiro, riporto là la mia famiglia." ♦ PIANETA TERRA
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