l'Indio (Spi), la riserva di Dourados ospitava tradizionalmente kaiowas e ii.andevas. Durante gli anni 30, lo Spi vi ha trasferito alcune centinaia di indios terenas, appartenenti all'altro gruppo etnico e considerati i più civilizzati, perché aiutassero nel processo di integrazione dei guarani. Ma tra i due popoli non si è mai instaurata una buona relazione e, col passar degli anni, i civilizzati terenas si sono impossessati di buona parte della terra dei kaiowas e dei ii.andevas. "Qui la riserva è lottizzata. Per la fame, molte famiglie hanno venduto il proprio lotto agli indios più ricchi, quasi sempre terenas. Senza terra, i guarani sono obbligati a lavorare la terra affittata o ad andarsene. Conosco indios che si sono arricchiti comprando lotti e bestiame", racconta Epitacio Souza. L'espulsione dei $uarani dalle loro aree tradizionali ha avuto inizio in Brasile a partire dal secolo XIX, con lo sfruttamento dell'erba-mate delle loro terre da parte della Companhia Mate Laranjeira. L'impresa è stata pioniera nel disboscamento della regione e nella utilizzazione di mano d'opera indigena, che lavorava in cambio di ferramenta, vestiti e sale. Anche la politica di concentrare le popolazioni indigene di diverse regioni in aree prossime ai centri urbani è cominciata in quell'epoca. L'obiettivo, mai raggiunto, mirava a promuovere l'integrazione attraverso il contatto forzato. Per questo, tra il 1915 e il 1935, sono state demarcate le prime otto riserve indigene nelle vicinanze di città, dove si concentrano oggi i problemi e i suicidi. Colonizzazione e espulsione A partire dagli anni 60, l'espulsione degli indios si è intensificata con il disboscamento sfrenato di tutto il Mato Grosso, per lasciare spazio ai pascoli e alle pianta&ioni di soia. Le riserve arrivarono a perdere il 50% dei loro territori a causa della voracità dei fazendeiros. Il ruolo della Funai durante quel periodo fu principalmente quello di trasferire gli indios nelle riserve, per evitare che intralciassero i progetti di colonizzazione e sviluppo dei governi militari. Quando un fazendeiro invadeva la terra di un gruppo di kaiowas, la Funai semplicemente dislocava gli indios in una delle poche riserve già demarcate. Soltanto pochi indios rimasero nelle fazendas, integrati come mano d'opera a buon mercato. È il caso di Marcelina Martins. Più di trenta anni fa, suo padre, espulso dalla sua terra, optò per rimanere a lavorare in una fazenda. Nella fazenda, Marcelina si è sposata, ha avuto quattro figli ed è rimasta vedova. Un anno fa, il fazendeiro ha deciso di vendere la proprietà e ha portato Marcelina, con più di 50 anni, ad abitare nella riserva di Caarap6. Lei ci è andata con i due figli maschi e Sandra, la più piccola, di 14 anni. Nella riserva, i quattro occupavano una piccola baracca, con il tetto talmente basso che non si poteva stare in piedi. Nonostante questo, Sandra si è suicidata, impiccandosi in ginocchio a una trave del tetto della casa. "Preferivo la fazenda perché là ho allevato i miei figli. Non avevo mai abitato in un villaggio, anche se pure nella fazenda ci si sentiva diversi. Né a Sandra né ai suoi fratelli piaceva stare qui e adesso che lei è morta, mi è diventato sempre più difficile abituarmi", dice Marcelina, con la voce rotta dal pianto. Fu solo a partire dalla fine degli anni 70, racconta l'antropologo Celso Aoki, che l'espulsione degli indios dalle loro terre originaPIANETA TERRA rie ha cominciato a essere frenata, perlomeno parzialmente, dalla determinazione degli indigeni e dalla pressione di alcune organizzazioni non governative. Il problema è venuto alla luce nel 1979, quando circa 100 indios sono stati espulsi dalle fazendas Jacaré e Guaiambé, e sono stati spinti verso il Paraguay. Il governo paraguaiano ha protestato, e la Funai ha dovuto riportarli indietro. Li ha portati a Bodoque, una zona a 600 chilometri dai loro territori originari, abitati dagli indios kadiweus, loro nemici storici. I kaiowas hanno cominciato allora a ritornare a piedi, provocando problemi talmente grossi che la Funai è stata obbligata a riportarli nelle loro terre originarie. Nel 1984 sono stati finalmente demarcate le riserve della Guaiambé e J acaré. L'episodio ha dato origine a una valanga di denunce. "Noi, che allora facevamo parte dell~organizzazione chiamata Projeto KaiowaNandeva, e il Conselho Indigenista Missionario, abbiamo cominciato a far pressione sulla Funai ricorrendo alla giustizia per recuperare la terra degli indios", racconta Aoki, che lavora con i guarani da diciotto anni. E' finito tutto con la demarcazione di sedici nuove aree indigene. Nonostante questi precedenti, negli ultimi sei anni, molte comunità sono state cacciate. Ma le vittorie delle nuove demarcazioni hanno animato gli indios a lottare per rimanere nelle loro terre. In questo processo, Celso Aoki richiama l'attenzione su un fatto: "Quando i kaiowas lottano per rimanere nei loro territori, non ci sono suicidi." I circa 300 kaiowas che compongono la comunità di Jaguapiré ne sono un esempio. La regione ospita due cimiteri e una comunità che conserva intatte le sue forme tradizionali di vita. Pochi parlano portoghese. Il gruppo viveva in una tranquillità relativa fino al 1985, quando furono espulsi dai fazendeiros vicini con l'aiuto della Pm (polizia militare), nonostante non ne avessero l'autorità giudiziaria. Furono tutti portati al villaggio di Sossor6, ma vi rimasero solo 18 giorni. Per iniziativa delle donne, ritornarono e rioccuparono le loro terre. "Abbiamo fatto tanta pressione sulla Funai che la Polizia Federale è venuta per riportarci indietro. Abbiamo ritrovato le nostre case, le terre e perfino il cimitero distrutti dai trattori dei fazendeiros. La Funai e altre entità dovettero aiutarci per non morire di fame mentre stavamo lavorando peç preparare la terra a essere coltivata di nuovo", racconta Rosalino Ximenez, capitano del villaggio, ricordando che a quel tempo lui, che oggi ha 33 anni, parlava appena il portoghese. "In questa contesa ho imparato a parlarlo meglio", spiega. Da allora, gli indios continuano a essere minacciati e sono oggetto di intimidazioni da parte dei fazendeiros vicini e, l'anno scorso, c'è stata una nuova minaccia di sgombero, quando il Tribunale di Giustizia di Iguatemi ha ordinato la reintegrazione di possedimento per l'allevatore José Fuentes Romero. Ma i kaiowas hanno deciso di lottare. In solidarietà, circa 1300 di loro hanno minacciato il suicidio collettivo nel caso si concretizzasse l'espulsione. Il villaggio di Jaguapiré si è riunito ed ha deciso che se ne sarebbero andati dalla loro terra solo da morti. "Ci siamo armati di frecce, bastoni e persino alcune armi da fuoco per affrontare l'eventuale arrivo della polizia. Abbiamo occupato il ponte e siamo rimasti ad
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