La Terra vista dalla Luna - anno II - n. 17/18 - lug.-ago. 1996

proprio per caso che la maggior parte dei suicidi si consuma in famiglie smembrate. Dei 50 mila indigeni che vivono nello stato del Mato Grosso do Sul, si stima che tra 3 e 4 mila lavorino oggi nelle fazendas o nelle fabbriche, molte volte in condizioni disumane. Nel 1993, per esempio, la polizia irruppe nella Distilleria Brasilandia, che teneva 1370 indios terenas, kaiowas e nandevas in condizioni di semischiavitù. Più di 500 di loro erano minorenni. Tutti lavoravano 12 ore al giorno e del magro salario promesso, l'equivalente di 80 reais, l'impresa scontava 15% di commissione per l'intermediario - o gato (il gatto) -, più cibo, alloggiamento e una tassa per l'uso dell'acqua del fiume e servizi della fazenda. Alla fine non avevano praticamente niente da ricevere. Da allora, la situazione è migliorata, per lo meno parzialmente. Oggi, buona parte della contrattazione degli indios nelle fazendas è fatta con l'intermediazione della Funai, che prende il 20% dei salari per il servizio e accetta solo maggiori di 14 anni e giornate di lavoro di otto ore. Nonostante questo, persistono denunce di lavoro semischiavo degli indios. È stato il caso, nel passato giugno, della fazenda de Sao Domingos, dove circa cinquanta persone, la maggior parte indigene, lavoravano come raccoglitori di semi, dormendo in baracche senza servizi igienici e bevendo acqua raccolta in buche nel terreno. Tra loro, ce n'erano diversi con tubercolosi, polmonite e perfino donne incinte. Braccati nelle loro riserve, i kaiowas stanno morendo. Disperati, si danno all'alcofismo, alla prostituzione, al suicidio. I tradizionali legami di solidarietà si stanno rompendo, mentre aumentano gli indici di criminalità nelle riserve. Crimini e suicidi Storie come quella di M.L., india di 13 anni che vive nella zona indigena di Dourados, sono comuni. "La nostra terra non basta per alimentare tutti. Per questo mio padre lavora in una fazenda e io l'aiuto "lavorando" di notte in città", racconta con tristezza. M.L. si prostituisce nelle strade di Dourados, ricevendo 20 reais a prestazione. Con i soldi dell'ultimo cliente, ha comprato una trousse completa di maquillage. Anche lei ha tentato di suicidarsi l'anno scorso, dopo che un indio aveva cercato di stuprarla. Il suo caso non è isolato. Lo stupro, crimine condannato e estremamente raro nella cultura kaiowa, comincia a essere frequente in alcuni villaggi, quasi sempre associato all'alcolismo. Negli ultimi anni sono stati registrati decine di casi, in alcuni dei quali sono rimasti coinvolti bambini di 9 anni. In questa situazione, molti Kaiowas scelgono di abbandonare le riserve. Si stima che circa 4 mila di loro, chiamati dalla Funai "desaldeados" (senza villaggio), vivano oggi nelle periferie delle città e •ai margini delle strade, sopravvivendo miseramente di artigianato e di eventuali lavori come bracciante giornaliero. La polemica più recente su questi casi è nata nella periferia della città di Itahumabitante, dove tre famiglie di kaiowas stanno accampate in precarie baracche di teli di olona da più di nove mesi. Nonostante le pessime condizioni, non vogliono tornare a Dourados. I kaiowas (nome che nella loro lingua significa abitante della foresta alta) sono, in Brasile, il più importante dei tre sottogruppi basilari in cui si dividono i guarani, uno dei più numerosi popoli indigeni della America Latina, con circa 80 mila persone sparse tra Argentina, Bolivia, Paraguay e Brasile. Popolo essenzialmente contadino e sedentario, pratican- ~e di una agricoltura di sussistenza basata sulla rotazione delle coltivazioni, i guarani sono conosciuti per la loro grande religiosità e per una resistenza culturale che ha permesso loro di conserv'are quasi integri lingua e costumi, resistendo a secoli di contatto con i bianchi. Da 200 anni, occupavano il 40% del territorio attuale dello stato del Mato Grosso do Sul, oltre ad ampie porzioni della costa meridionale brasiliana e grande parte del terrirorio del Paraguay. Attualmente, la maggioranza dei guarani brasiliani si concentra nel Mato Grosso do Sul, dove si stima che raggiungano fiù di 25 mila persone, la maggior parte de gruppo Kaiowa e il restante nandevas. Essi rappresentano metà degli indios di questo Stato, che ospita la seconda maggior popolazione indigena del paese. Vivono là, compressi in 22 aree indigene, che nell'insieme arrivano a 31291 ettari: meno del 5% del territorio dello Stato. Altri 12 mila ettari sono oggetto di dispute giudiziarie tra indios e fazendeiros. La questione della terra sembra essere il nodo cruciale del dramma dei guarani in Brasile, ma non è l'unico elemento in grado di spiegare la tragedia dei suicidi. Scollamento culturale Il vecchio "pregatore" di Porto Olindo, Henrique Fernandes, spiega le contraddizioni dello shock culturale con l'aiuto di un interprete di guarani. Parla con l'autorità di un rispettato pai (padre) di più di 90 anni: nei villaggi tradizionali, i leader religiosi sono le persone che detengono il maggior prestigio e il potere di decisione. "I guarani stanno entrando nel mondo dei bianchi e perdendo poco a poco la loro cultura", spiega. "I giovam vedono la TV del bianco, mangiano il suo cibo, ascoltano la sua musica, bevono la sua cachaça (acquavite di canna) e vogliono tutto. Vogliono diventare bianchi, ma non ci riescono. Smettono di essere guarani, ma non riescono a diventare bi~nchi. Da qui lo s~~ve!1to ?i non essere nulla.' In altre parole, l'md10 V1cente, di Amambai, esprime la stessa angoscia: "Il kaiowa oggi è quasi come un animale perché non conosce il sistema degli antichi né quello dei civilizzati." Esempio di questo scollamento culturale è Andreza, una meticcia di 18 anni, figlia di un'india e di un paraguaiano che vive nella riserva. Nel settembre scorso ha tentato di suicidarsi nella riserva di Caarap6. Incinta del fidanzato, un bianco della città vicina, era fuggita in un altro villaggio, per paura della reazione del padre. "Il ragazzo mi voleva. bene, voleva venire a parlare con mio padre per sposarmi, ma io non volevo che lui vedesse dove abito. La mia casa è molto brutta e povera. Ho preferito fuggire piuttosto che farlo venire qui", racconta lei. Già con il piccolo figlio Andreza è tornata a casa dei genitori e ha cominciato a lavorare in città, ma non è mai riuscita a non sentirsi estranea nell'ambiente. "Sento che nessuno mi vuole bene. Dicono che vado in città solo alla ricerca di uomini, per questo ho tentato di uccidermi", racconta, con rossetto sulle labbra e il piccolo figlio tra le braccia. Nel suo villaggio, soltanto quest'anno si sono registrati nove casi di suicidio, quattro PIANETA TERRA

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