Permanendo una situazione di insicurezza e di inesistenza di libertà di movimento, molti rifugiati non intendono fare ritorno. Inoltre permangono insostenibili condizioni logistiche. Nei ra1;1portiinformativi dell' Acnur relativi alla possibilità di rientro nelle varie muncipalità sono evidenziati innanzitutto la carenza drammatica di alloggi e delle possibilità di lavoro. Alcuni esempi. A Bosanki Petrovac c'è "una larga distruzione delle abitazioni, specialmente nel centro". A Zavidovici 3.143 delle 12.900 abitazioni sono state distrutte (25% del totale); qui le possibilità di lavoro si sono ridotte del 60%. A Sanski Most le case distrutte sono 1.700. Anche a Glamoc il 50% delle case sono distrutte. A Gracanica (dove circa 200 famiglie sono tornate alle loro case), il 60% delle abitazioni sono danneggiate. A Breza oltre il 55% delle case ha una percentuale di danneggiamento tra il 15% e il 100%. A Mlagaj il 45% della popolazione è disoccupata e su 8.313 case 5164 sono distrutte. A Goradze su circa 7.100 abitazioni, 3500 hanno bisogno di riparazioni. A Bosanka Krupa la situazione più drammatica: il 90% delle abitazioni è stato danneggiato. E si potrebbe continuare. Per ora il rientro dei profughi alle loro case è ancora proibitivo. Senza un'inversione di tendenza non sarà possibile alcun ritorno della convivenza e stabilimento di una prospettiva di pace e di stabilità. È necessario ~arantire ali'Acnur i fondi necessari per organizzare le attività informative e concrete per il rientro dei profughi e pretendere dalle Parti la libertà di movimento e la possibilità per i profughi di ritornare alle loro case. Bisogna pretendere dai paesi dell'Unione Europea che si rinnovi il permesso di soggiorno ai profughi della ex Jugoslavia, finché non ci saranno condizioni sicure per il rientro. In ogni caso bisogna agevolare (con provvedimenti legislativi e aiuti economici e sociali) l'integrazione dei profughi della ex Jugoslavia nei paesi dell'Unione Europea, qualora non se la sentissero di ritornare ai loro luoghi di origine. L'amnistia Gli accordi Dayton prevedono l'amnistia per tutti i reati commessi durante la guerra (anche la diserzione e la renitenza alla leva), a eccezione di quelli comuni e di quelli che rientrano nelle competenze del Tribunale per i crimini di guerra dell'Aja. Il 23 febbraio scorso il Parlamento della Bosnia Erzegovina ha promulgato una legge di amnistia. È entrata in vigore. La legge sull'amnistia prevede il condono di una serie di reati: "mancata sottrazione e risposta agli obblighi militari attraverso l'inganno per ottenere l'inabilità, l'allontanamento volontario e la fuga dalle forze armate". L'agenzia di stampa di Oslobodenje, il 4 maggio, ha detto che tale provvedimento è stato preso "in modo trascurato e disordinato". Si tratta di un provvedimento decisivo che riguarda tutti i maschi dai 16 ai 55 anni. Se non è chiaro l'ambito della sua applicazione, difficilmente gli uomini torneranno in Bosnia Erzegovina. L'Alto Commissariato per i Rifugiati derle Nazioni Unite nei suoi rapporti informativi per il rimpatrio dei rifugiati dice che "l'applicazione di questo provvedimento è ancora incerta". La Repubblica Serba di Bosnia e la RepubPIANETA TERRA blica Federale di Jugoslavia non hanno ancora approvata alcuna legge di amnistia. È da ricordare che i disertori e gli obiettori di coscienza serbi sono decine di migliaia. La Repubblica Croata ha approvato il 18 maggio scorso un provvedimento di amnistia, ma solo per i residenti della Slavonia orientale. Tale provvedimento non è valido per gli abitanti residenti nelle Kraijne occidentali. In queste condizioni gli autoctoni di origine serba non torneranno mai nelle loro case. Per questo sono necessari provvedimenti di amnistia generale anche nella Repubblica Serba di Bosnia, nella Federazione Jugoslava e nella Repubblica Croata; è indispensabile il riconoscimento, and1e per il futuro, del diritto all'obiezione di coscienza nei paesi interessati, attraverso un provvedimento legislativo ad hoc. La ricostruzione I quattro anni di guerra hanno lasciato immensi danni sul territorio della Bosnia Erzegovina. È stato distrutto o gravemente danneggiato il 90% delle infrastrutture, il 50% delle scuole, il 33% delle strutture sanitarie, il 63% del fondo abitativo. La produzione industriale è ridotta a solo il 5% ri.spetto all'ultimo anno della guerra. Il 90% della popolazione tuttora dipende, totalmente o in parte, dagli aiuti umanitari. Il sistema dei trasporti ferroviari o aerei è di fatto inesistente, così come il sistema banca(io e della previdenza sociale. Prima della guerra il reddito procapite era di 1900 dollari anni, oggi di 200. La Banca mondiale ha stimato in 5 miliardi di dollari la cifra minima per la ricostruzione nei primi tre anni. La somma è sottostimata. Probabilmente i danni ammontano a 30 miliardi di dollari. Il governo bosniaco parla addirittura di 80 miliardi di dollari. . Dopo l'Accordo di Dayton, alla prima riunione dei paesi donatori si è riuscita a trovare una co1;1ertura per soli 600 milioni di dollari. Nella nunione del 12-13 aprile scorso è stato raccolto un altro miliardo e duecento milioni di dollari. I primi stanziamenti di fine marzo degli Stati Uniti (per 198 milioni di dollari) hanno riguardato la ricostruzione in linea teorica: infatti sono stati indirizzati al rafforzamento dell'esercito bosniaco (l'Armja) e al sostegno delle spese dell'Ifor. I progetti approvati dalla Banca Mondiale riguardano i settori chiave dell'economia (agricoltura, industria) e delle infrastrutture (rete idrica e fognaria, ponti e viabilità, sistema elettrico) per un valore di oltre 4 30 miliardi di dollari.Altri progetti della Banca Mondiale che stanno per essere approvati riguardano invece le telecomunicazioni (telefoni), la ricostruzione del tessuto finanziario con la privatizzazione delle banche e degli istituti di credito. Uno dei problemi della Bosnia Erzegovina è la transizione tra una condizione - legislativa e normativa ed economica - anteguerra sostanzialmente ancora legata all'impianto economico socialista autogestionario e il rischio di un impatto postguerra legato a un'impostazione liberista classica. Abbiamo già visto l'impatto negativo che questo passaggio brusco ha avuto in molte società dell'est europeo. Il rischio è che questo tipo di interventi vadano nella logica (tra l'altro miope) di rafforzamento delle singole entità nazionali, più che in una logica di integrazione. Soprattutto nel campo delle infrastrutture, dei servizi, nelle
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